Copertina: Foto di Pramod Tiwari su Unsplash
Avvertenza
Questa storia non è proprio vera. Ma non è affatto finta.
È il resoconto verosimile di un processo di trasformazione aziendale e organizzativa basato su fatti ed eventi reali che però sono stati opportunamente modificati, adattati e combinati per far loro assumere un significato più generale e per dare al racconto anche un valore “didattico”: la narrazione di una trasformazione organizzativa ispirata ai principi e alle pratiche Lean/Agile e alle conoscenze e alle tecniche dell’Organisational Design.
Pertanto i nomi, l’azienda, i luoghi non fanno riferimento a elementi precisamente identificabili e i personaggi sono da intendersi come di fantasia. Anche se poi magari qualche persona potrà riconoscersi in essi.
La storia comincia nei primissimi mesi del 2021 ed è tuttora in svolgimento…
Come si prendono le decisioni?
Anche nella ormai più che ventennale storia delle metodologie ispirate ai principi e alle pratiche Lean/Agile ci sono state delle “mode”. Ci sono stati infatti dei temi che sono andati per la maggiore in anni ben precisi, salvo poi finire in secondo o terzo piano, se non addirittura completamente dimenticati. Per due o tre anni, il tema No Estimates fu all’ordine del giorno e non c’era conferenza, pubblicazione o discussione del mondo Agile che non ne facesse menzione.
In pratica, preso atto che le previsioni a lungo termine all’interno dell’azienda — con piani estremamente dettagliati e milestone precisamente calendarizzate — finivano poi per non essere mai rispettate, si diffuse un approccio che, spiegandola semplicisticamente, eliminava le previsioni e le stime, o meglio, le legava a elementi più contingenti e più ravvicinati.
Tra le varie strategie che venivano propugnate, c’era quella di ritardare le scelte effettivamente dilazionabili fino all’ultimo momento utile. Dovendo prendere una decisione su un determinato argomento, meglio prenderla più tardi possibile, in modo da avere più elementi di conoscenza relativi a quel determinato argomento, invece di prendere una decisione molto anticipata — magari mesi o anni prima — che manca di reali elementi di conoscenza: il più delle volte, una decisione presa troppo presto si rivelerà sbagliata e inadatta a quello che ci si era prefissi. E, del resto, il Manifesto Agile recita chiaramente: “Rispondere al cambiamento più che seguire un piano”.
Strade bianche
Sono più o meno ragionamenti di questo tipo che mi vagano nel cervello, mentre mi trovo, in bici, su una strada sterrata in salita, nella provincia senese. Con alcuni compagni di pedalata, stiamo infatti partecipando a una gara ciclistica amatoriale che si chiama Gran Fondo Strade Bianche, il cui percorso è lo stesso sul quale si svolge la ormai celebre corsa ciclistica professionistica Strade Bianche che in maniera ironica, ma molto efficace, viene definita “La classica del Nord più a sud d’Europa”.
I pensieri sulle scelte dilazionabili mi sono affiorati perché, davanti a me, ho una scelta ormai sempre più vicina: completare l’intero percorso della Gran Fondo oppure al bivio, a cui arriverò fra non molto, optare per il percorso meno lungo, che comunque sono una novantina di chilometri con svariati tratti di sterrato.
È marzo, l’inizio della stagione: nonostante mi sia allenato abbastanza regolarmente, non è quello in cui di solito sono nella mia forma migliore, come invece mi capitò qualche anno fa a ottobre, quando affrontai L’Eroica, manifestazione ciclostorica in cui si percorrono itinerari molto simili a quello di oggi, sempre in provincia di Siena, con molti tratti di sterrato. In quel caso lo si fa con biciclette e materiali d’epoca.
Gli organizzatori della Gran Fondo Strade Bianche hanno intelligentemente lasciato ai partecipanti la possibilità di scegliere liberamente solo all’ultimo momento se fare il percorso lungo (ca. 140 km) o la Medio Fondo (ca. 90 km). Mi chiedo, perplesso, se anche loro non siano stati seguaci dell’approccio No Estimates…
* * *
Ho fatto la mia scelta e stavolta credo di essere razionalmente andato contro la mia indole. Mettendo da parte ogni ragionevole orgoglio, ho scelto prudentemente di fare la la mediofondo per non tirare troppo la corda e, magari, per avere la motivazione di partecipare nuovamente alla Gran Fondo con il percorso lungo. I miei indomiti compagni di pedalata, qualcuno dei quali a livello quasi pro, mentre altri hanno forse meno gamba di me, mi salutano proseguendo per il percorso lungo.
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Ho pedalato con altre persone abbastanza veloci incontrate sul percorso e siamo giunti all’arrivo, pedalando molto bene. Sono soddisfatto di come mi sento fisicamente così come della scelta per il percorso meno lungo. Adesso ho un po’ di tempo per attraversare in sella il centro storico di Siena e giungere alla macchina parcheggiata dove potrò lasciare la bicicletta, fare stretching, darmi una veloce rinfrescata e cambiarmi lasciando gli indumenti da ciclista e indossando invece una più comoda tuta sportiva.
Ho intenzione di tornare con una breve passeggiata fino al centro storico per assistere all’arrivo della Gran Fondo e per ricongiungermi con i miei compagni da avventura.
Per le vie di Siena
Dopo essermi cambiato mi faccio la mia passeggiata in questi straordinari scenari di una città medievale ricca di scorci bellissimi. Oggi oltre ai consueti turisti si mescolano gli appassionati cicloamatori che colorano le vie con le loro biciclette e i loro completi in certi casi molto sgargianti.
Sono ormai all’altezza di piazza Salimbeni, con i suoi palazzi che ospitano la sede del Monte dei Paschi: per quanto l’area come la vediamo oggi sia in massima parte una creazione di fine Ottocento, è comunque in questo luogo che fin dal Quattrocento ha avuto sede una delle banche più longeve del mondo. Mi fermo un momento per controllare Google Maps per capire i tempi che mi separano dall’area transennata verso cui mi sto muovendo. D’un tratto provo epidermicamente una particolare sensazione. Rialzo gli occhi dallo schermo e noto una persona, una donna, che mi guarda perplessa. Non riesco a mettere perfettamente a fuoco, forse per la stanchezza, la figura, ma tutto mi suggerisce che si tratti di qualcuno che dovrei conoscere.
“Giovanni, ma sei tu?”
“Roberta!”.
Ridiamo entrambi.
“Non mi aspettavo di trovarti qui, e soprattutto non vestito così”.
“In effetti…”.
“Ma che ci fai qui?”, mi incalza Roberta.
Cerco di spiegare al meglio cosa sto facendo: la bici, l’evento, la scelta della Medio Fondo, la tuta e il fatto che ora sono a piedi. E apprendo che Roberta è appena arrivata in città per un convegno che inizierà la mattina dopo.
“Ho pensato di fare due passi, anche per non stare in albergo a riguardare le slide per l’ennesima volta”.
La trappola della competenza
Roberta è un’esperta di innovazione digitale in particolare nel campo bancario e finanziario. Ha lavorato in realtà bancarie molto importanti e questo l’ha portata a spostarsi in vari Paesi europei ed oltre. Ci siamo conosciuti alcuni anni fa, a un evento a cui partecipava in rappresentanza della sua azienda. Marco, il mio collega con cui spesso mi confronto, me la presentò come “una brava”. Nel tempo ci siamo incontrati diverse volte. Marco non si sbagliava.
“Ci prendiamo un caffé così mi racconti meglio di questa gara?” Roberta indica il plateatico di un bar all’angolo.
“Va bene, ma dovrò deluderti, non è una gara, sono tutt’altro che un vero atleta” mi schermisco.
Ci sediamo al tavolino di un bar. Nonostante l’intenzione sia rilassarsi parlando del più e del meno, in poco tempo si finisce a parlare di “lavoro”. Dopo tutto ci piace molto quello che facciamo.
Ecosistemi e innovazione
“Sì… parlo, come sempre, degli argomenti che ho a cuore… spero di non essere noiosa. Racconto quello che abbiamo fatto in questo anno e cerco di descrivere il quadro sempre più interconnesso che si è delineato: persone, servizi bancari, fintech, canali diversi che però si integrano perfettamente in maniera trasparente per l’utente finale””.
“Ah!”, esclamo. “Parli di ecosistemi digitali, quindi”.
Roberta mi osserva un po’ divertita, e un po’ pensierosa: “Sì, possiamo chiamarli ecosistemi digitali, platform, servizi integrati… Almeno credo, se interpreto bene il tuo pensiero”.
Da un lato non voglio rovinare il pomeriggio a Roberta, ma dall’altro avrei il desiderio di raccontarle un po’ quello che sto facendo con Alessio, con l’azienda nella quale stiamo cercando di introdurre i concetti e le pratiche legate agli ecosistemi digitali. Scelgo la seconda opzione. Oggi è giornata di decisioni… quella sensata e misurata l’ho già presa prima.
“Guarda Roberta, in questo periodo sto lavorando per un’azienda del settore automotive; loro ci hanno ingaggiato per aiutarli a sviluppare dei prodotti che loro chiamano integrati e che noi stiamo etichettando come appartenenti ad un ‘ecosistema digitale’. Sono applicativi che forniscono servizi connessi fra di loro con lo scopo di offrire la classica esperienza utente seamless e frictionless.
Si tratta di uno scenario simile a molti altri, anche nel ‘tuo’ settore bancario: un cliente compra un’automobile, e dopo ha bisogno di tanti altri prodotti e servizi. La manutenzione in officina, l’assicurazione, l’eventuale finanziamento per l’acquisto, i servizi di assistenza e così via per gestire tutto il ciclo di vita del prodotto automobile.
Stiamo lavorando per creare questo ecosistema digitale in cui i diversi applicativi si integrano perfettamente e forniscono all’utente i servizi di cui ha bisogno con un solo accesso, una sola app, un’esperienza unitaria, anche se poi a gestire questi ‘pezzi’ sono aziende e fornitori diversi. E poi stiamo cercando di sviluppare degli automatismi, quasi ‘magici’ affinché, proprio come in un ecosistema naturale, i servizi si possano comporre in maniera flessibile, andando a pescare i fornitori di microservizi identificati da un adeguato Service Level Agreement e da una descrizione semantica di ciò che quel dato servizio è in grado di fare”.
Roberta ascolta attentamente e si vede che sta elaborando qualcosa di complesso. “Sono temi che rientrano in quel che viene chiamato Embedded Finance e Open Banking…”.
Annuisco. Le brillano gli occhi, sapevo che sarebbe salita a bordo subito.
“Pensa a questo ecosistema digitale in cui avvengono scambi e in cui si compongono servizi combinando quel che i diversi attori — produttore, concessionari, assicuratori, officine etc. — possono mettere in questo ‘mercato’ da cui tutti traggono qualche vantaggio. Abbiamo addirittura pensato a una metafora come quella del Bazar…”.
Ormai Roberta ha compreso lo scenario. A questo punto, ha voglia di contribuire con i ‘suoi argomenti’.
Digitale non significa senza regole
“Ricordiamoci che quello bancario e finanziario è un settore altamente regolamentato”, afferma Roberta “ e quindi è molto difficile introdurre il concetto di bazar. Qualsiasi passaggio si faccia, deve seguire forzatamente determinate logiche. Prendiamo questo come principio fondamentale, da non perdere di vista.
Se ho ben capito, la parte automotive propriamente detta si può concepire anche in modo molto allargato. Poi c’è anche la parte banca che consente l’effettivo pagamento del bene: l’addebito dal conto corrente dell’acquirente al conto del venditore.
Accanto a questo pagamento, ci può essere la linea di credito, che è un’altra cosa completamente: se l’acquirente non ha la disponibilità sul conto corrente per affrontare questo pagamento, e quindi magari ha bisogno di una linea di credito, un finanziamento e compagnia cantante, allora tramite banca si attiverà questo.
Per l’automotive c’è la vendita del bene, ma c’è anche la vendita dell’assistenza, c’è la parte assicurativa che potrebbe essere legata o meno all’istituto bancario prescelto…”
“Ecco”, la interrompo. “Hai capito esattamente cosa c’è in ballo per l’acquirente e il lato ‘automotive’; ma dal lato banca? Quali sono i vantaggi per la banca?”.
Roberta riprende: “Be’, innanzitutto, tu alla banca dai un motivo in più di fidelizzazione del cliente, perché se io con la mia banca riesco a fare una serie di transazioni, operazioni o azioni in maniera frictionless e seamless, per usare i termini che hai usato tu, e con un’altra banca non ci riesco… è ovvio che mi fidelizzo alla prima.
Pensa a questa situazione, in cui una banca potrebbe rendere semplice l’ottenimento di un finanziamento, in pochi passaggi: la banca può mettere a punto un finanziamento preapprovato a patto che siano rispettati una serie di criteri — per esempio, cifra non superiore ai 20000 o 30000 €, durata tot e pochi altri “paletti”. E potrebbe renderlo disponibile ai clienti che effettuano l’acquisto della macchina. In questo modo, il cliente ottiene il finanziamento in tempi brevissimi”.
“Si… scenario realistico”, dico a voce bassa.
Roberta continua: “Tutte queste possibilità sono sintetizzate nella Direttiva dei Sistemi di Pagamento del 2015, detta PSD2. E presto avremo una PSD3. Stiamo parlando di Open Banking e Open Finance. L’idea è appunto di riuscire a integrare delle controparti dove ci sia il pagamento di un qualche cosa, adesso rientra anche l’assicurazione. Tutto questo viene integrato in servizi online o comunque digitali.
Ma perché il regolatore si è posto questo problema? Per fornire un sistema più efficace e integrato e proteggere i nostri dati: con un approccio tutto altamente regolamentato e a braccetto con la GDPR, apre il mercato anche a ‘non banche’, quindi fintech o altri soggetti che si possono integrare con le banche tramite API. Questo approccio apre di più il sistema, che però deve avere una sua diligenza per offrire i suoi servizi in un ambiente quanto più protetto”.
“Quindi possiamo dire che questo semplificherebbe ulteriormente l’esperienza utente”.
“Certo. Pensa ai turisti che vedi qui in giro. Devono poter comprare il loro viaggio senza troppe complicazioni. Una volta che hanno capito che è proprio a Siena che vogliano venire, possono comprare il viaggio, l’albergo, il trasporto dei bagagli, magari qualche altra esperienza turistica, semplicemente con 5-6 click dal loro cellulare. Non vogliono conoscere il sottostante, ma solo poter fare gli acquisti senza difficoltà.
Noi tutti esigiamo questo tipo di esperienza utente perché nel momento stesso in cui io sono su Instagram e il mio feed è pieno di roba che è costruito su quello che l’algoritmo ha capito essere il mio desiderio. Io mi aspetto che tutto il mondo giri così…”
Regole e composizione di servizi
È incredibile quante considerazioni siano già emerse dalla nostra discussione, dopo appena minuti che ci siamo incontrati.
“Ci hanno messo di più a portarci da bere qui che un cliente a ottenere un finanziamento pre-approved con i sistemi di cui stiamo parlando…” sussurro a Roberta e poi continuo: “Vorrei a questo punto un tuo parere su un meccanismo, anzi no, il termine corretto è processo.
In un settore regolamentato come quello bancario e finanziario, secondo te quanto siamo lontani dal seguente scenario? Immagina un attore banca che pubblica in questo ecosistema dei servizi che possiedono sia una descrizione semantica di quello che fanno e hanno dei livelli di servizio (SLA) anche di conformità alla normativa.
Quindi la banca pubblica il servizio su una anagrafica in cui sono esposti tutti i servizi disponibili e poi l’integrazione parte, magari anche con la sottoscrizione di un contratto vero e proprio, visto il settore…”
Roberta ci pensa un attimo, poi risponde: “Eh, qui si va oltre l’esposizione di API da parte di una banca, operazione che peraltro già viene effettuata. Qui mi prospetti uno scenario per il quale saranno necessarie delle belle riflessioni: non si tratta solo di mondo banca ma si tratta di mettere insieme varie controparti; quindi, più apri questo ecosistema e più diventa complesso e articolato. Con le attuali regolamentazioni, penso al DORA dell’Unione Europea sui servizi finanziari, le banche sono responsabili legalmente non solo di quello che fanno loro, ma anche di quello che fa il fornitore di come si comporta.
È un tema molto articolato, c’è una filiera complessa, quindi al momento vedo più che altro la necessità di una ampia riflessione per capire come affrontare questo tema. Non dico che non sarà possibile, ma solo che bisogna tenere presenti tutte le implicazioni, sia legali che tecnologiche”.
La vera “piattaforma”
Roberta si ferma un attimo. Inizia a fare caldo… cerca ristoro sorseggiando dal bicchiere. Capisco che sta per dire qualcosa di importante.
“Facciamo un passo indietro. Nel nostro scenario, chi è in rapporto con con tutti? Con tutti, nell’ecosistema digitale, indistintamente?”
Ci penso un po’. Non ho capito dove voglia arrivare, ma provo una risposta: “Dal punto di vista logico, architetturale e tecnologico, noi abbiamo creato il broker, cioè quell’oggetto che sta nel mezzo e sa chi c’è…”.
“No, no, no.” mi ferma Roberta. “L’attore che ha rapporti con tutti quelli che abbiamo nominato è la banca. Tutti hanno il conto corrente in banca. Che sia Stellantis, che siano le Ferrovie dello Stato, la compagnia ITA o qualunque altra azienda che vogliamo nominare… tutti hanno il conto corrente, o più d’uno.
Il collettore di tutti i rapporti è la banca. E stiamo parlando di scambi — in primis i pagamenti — dove il sottostante sono i soldi. Quindi, sembrerebbe teoricamente esplorabile un ecosistema che si sviluppa intorno a una banca.”
“Detta così,” aggiungo, “il denaro, come mezzo di scambio di valore, è quel fattore che unisce tutto, dal comprare il biglietto aereo per venire fin qui, a pagare l’autista, all’albergo, agli oggetti che voglio portarmi a casa da qui…”
“È così, Giovanni. Alla persona che usa il sistema tutto deve apparire trasparente. Ma ricordiamoci cosa c’è di sottostante: stiamo parlando di pagamenti, di comprare e vendere, di linee di credito, e tutto questo ruota attorno alla capacità di sostenere e all’abilità di eseguire.”.
Adesso sono io che mi fermo un attimo a riflettere, perché in questo scenario, il ruolo della banca assume un connotato etico parecchio spiccato, in quanto piattaforma abilitante di questo ecosistema. Lo spiego a Roberta.
Lei risponde: “Eh, ma la banca ce l’ha già. Ed è per questo che è giusto che sia altamente regolamentata, come pochi altri settori, per esempio quello farmaceutico, perché possono influire realmente molto sulle persone, che poi siamo noi. Non ce lo dimentichiamo mai: gli utenti siamo noi… E lo stesso vale per le fintech, che hanno portato ulteriore valore alla vita quotidiana in quanto financial services. Rispetto alla banca, che lavora a tutto tondo, loro magari fanno dei ‘pezzettini’, peraltro fondamentali, del servizio… Però, alla fine, saranno nuove, saranno innovative… ma sono banche pure loro”.
“Davvero”, le faccio eco.
“Giovanni, pensa a dove ci siamo incontrati per caso oggi. La piazza del Monte dei Paschi che è una banca antica, ma non è neanche la più vecchia del mondo. Sono circa settecento anni che, pur inizialmente in forme embrionali, i ‘banchi’ sostengono le attività, diremmo oggi, imprenditoriali e commerciali delle persone. L’industria, pur con tutte le trasformazioni che ci sono state nei secoli, ha vissuto per centinaia di anni su un modello di business che ha servito benissimo gli interessi di tutti, inclusi quelli dei consumatori.
Adesso però viviamo in un mondo digitale, quindi il modello di business deve essere un modello di business digitale ed è questo il cambiamento, perché noi siamo cambiati”.
Il circolo dei dati
D’un tratto guardo l’orologio sulla torre di fronte. Se voglio andare a ricongiungermi con i miei amici, dovrò presto interrompere la conversazione. Ma mi dispiace parecchio, perché stanno emergendo riflessioni preziose; alcune, a dire il vero, un po’ mi hanno fatto un po’ deviare dalle mie considerazioni che ritenevo ormai acquisite.
La conoscenza funziona così: i punti di vista diversi dal nostro ci possono stimolare a indagare e riflettere ulteriormente.
Nel gioco delle domande che ci stiamo facendo vicendevolmente, chiedo a Roberta che cosa, secondo lei, si scambia oltre al denaro, nel nostro ecosistema e quanto questa “materia prima” possa essere preziosa per le banche. Lei capisce subito.
“I dati”, asserisce sicura. “I dati sulle preferenze dei clienti, sul loro orientamento alla spesa, sulle loro necessità. Ma non è una cosa nuova: anche quando Internet ancora non c’era, si compravano le banche dati con Nome, Cognome, numero di telefono e qualche altra semplicissima informazione. Chiaramente, in una situazione come quella in cui stai lavorando tu, dove c’è un sistema integrato e c’è un accordo di condivisione dei dati con l’autorizzazione all’utilizzo, questo fa felice tutti. Fa felice l’automotive perché sa che tipo di macchine costruire, di che colore, di che grandezza, etc. La banca capisce molto meglio di cosa hai bisogno, quando ne avrai bisogno e così via. Sto esasperando il concetto, però è questa cosa qui…”
Torna in auge il concetto di Bazaar, sono contento…
Riprendo la parola. “Abbiamo sistemi di intelligenza artificiale in grado di analizzare ed elaborare innumerevoli quantità di dati, facendo emergere anche delle strutture ‘nascoste’ da questa messe di informazioni. In pratica, da tutto quello che si raccoglie, viene poi creato qualcosa di nuovo, anche se poi spesso non è nuovo, sconosciuto, inaspettato.
In quest’ottica, non pensi che sarebbe bene dare quante più informazioni possibili al nostro ecosistema? Compresi ad esempio tutti gli spostamenti oppure le preferenze d’acquisto, anche di cose che con il nostro settore Automotive non c’entrano nulla. Tipo i fiori che ci piacciono…”.
“No”, risponde Roberta. “Non la vedo così. Capisco esattamente quello che dici e comprendo le potenzialità insite nel fornire tanti dati alle tecnologie che oggi sono in grado di elaborarli. Però ci sono tante ragioni per cui alla fine potrei non voler condividere tanti dati…”
“Non ti fidi?”, la interrompo.
“Non mi fido? Mah, non è solo quello. Certo, di certi attori non mi fido perché oltretutto non hanno una solida reputation. Ma non è solo questo. E un discorso di… di rilevanza. Credo che certe informazioni non siano rilevanti. E che di quel settore che mi chiede le informazioni mi interessa poco. Non è solo un discorso di sfiducia ma che il mio dato lo affido a questi sistemi solo se effettivamente viene sfruttato bene. Bene nel senso che riguarda cose per me rilevanti.”
Time out
Mentre rifletto su questa risposta di Roberta, squilla il telefono. È il mio compagno di pedalate che mi chiama: “Allora, che sei ancora per strada? Noi qui s’è finito il percorso lungo. Dove sei?”
Guardo l’orario sul cellulare e mi rendo conto che è passata un’ora da quando abbiamo cominciato la chiacchierata con Roberta.
Lei si mette a ridere: “Siamo veramente un po’ malati, eh? Un’ora a discutere di ecosistemi digitali o come li vogliamo chiamare. Ci siamo fatti prendere la mano dal lavoro anche oggi che sarebbe giorno senza lavoro”.
“Lo sai anche tu…” le rispondo, “questi argomenti ci entusiasmano, non è lavoro”.
L’ho già detto: oggi è giornata di decisioni.