MokaByte 100 - 8bre 2005
 
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Fabrizio Giudici
fgiudici@mokabyte.it

Se all'epoca pionieristica della Silicon Valley tutto iniziava in un garage, era lecito aspettarsi che nell'epoca di Internet tutto sarebbe nato in una mailing list. Infatti così conobbi Giovanni e così iniziai a collaborare con MokaByte. Ma andiamo per ordine.

Tutto iniziò a fine 1995, quando avevo appena iniziato il mio dottorato di ricerca all'Università di Genova. Nell'ambito di un programma di collaborazione con una grande azienda italiana stavo preparando un seminario tecnico su Internet e dintorni (riguardate la data: oggi navigano anche i bambini, ma era l'epoca in cui Internet iniziava appena a far capolino fuori dall'università, almeno in Italia). Un capitolo era dedicato alle tecnologie del futuro e tra queste mi era stato chiesto di illustrare brevemente Java.
Ne avevo appena sentito parlare e dopo un approfondimento mi convinsi subito che avrebbe rivoluzionato il mondo dello sviluppo software! Terminata la serie di seminari tecnici richiesti, in cui Java ebbe un ruolo marginale, decisi di focalizzarvi il mio dottorato - in quell'epoca avevo anche capito che il mondo universitario italiano non faceva decisamente per me e, pertanto, dovevo dare un taglio "industriale" alle mie attività di ricerca. Quale argomento poteva essere migliore di una tecnologia nuova e promettente? Fu evidentemente un'intuizione vincente.

Tuttavia intuito e capacità personali non sono sempre sufficienti. Bisogna incontrare anche le persone giuste - da soli si può fare ben poco oggigiorno -, quelle che sanno organizzarsi, hanno spirito d'iniziativa, coraggio, capacità di presentarsi bene e quel tanto di spregiudicatezza necessaria per percorrere strade nuove mai percorse prima. Io fui anche fortunato: stavo per fare un incontro, del tutto casuale, senza il quale non sarei stato capace di esprimere tutto il potenziale che avevo a disposizione.

Mi ero da poco iscritto alla mailing list "strong-java" per capirne di più (era il 1996 e ci scriveva Gosling in persona!) quando fui contattato da un laureando in informatica di Firenze, tal Giovanni Puliti, il quale aveva in mente addirittura di fondare un e-magazine focalizzato su Java e cercava collaboratori. Che idea balzana! Ricordo che qualche mio collega all'università ci fece su dell'ironia. Pertanto io decisi di aderire subito all'iniziativa.

I primi articoli furono una comparazione tra il linguaggio C++ (che all'epoca era la mia competenza primaria) e il nuovo linguaggio di Sun, seguiti qualche mese dopo da RMI. Pochi mesi dopo Giovanni riuscì a portare tutto il gruppo di Mokabyte ai Developer's Forum di Infomedia, che pure aveva intuito il promettente avvenire della nuova tecnologia. Di fatto eravamo i primissimi in Italia a fornire formazione (e successivamente consulenza) sul linguaggio Java e dintorni.

A farla breve, negli anni successivi arrivarono le richieste di docenze mirate, le consulenze, la collaborazione con Sun Education Services, poi un'azienda fondata insieme a due soci e tanta, tanta progettazione Java enterprise. Ultimamente ho lavorato come libero professionista, proseguendo in particolare la collaborazione con Sun, sempre alternando formazione e progettazione. Da poco tempo ho di nuovo una mia piccola azienda che funge da contenitore delle mie attività e, oltre al ruolo di Java Architect, mi occupo anche di project management. E Java mi impegna ancora al 90%.

Che dire di questi dieci anni? A parte la risposta scontata, cioè che il tempo passa troppo velocemente, sono stati anni divertenti. Java si è rivelata una vera rivoluzione tecnologica all'interno della quale chi si era mosso in anticipo, come Giovanni ed il gruppo di Mokabyte, ha avuto ampie possibilità di manovra e soddisfazioni professionali. Abbiamo fatto veramente molta strada e possiamo dire di essere "cresciuti con la tecnologia", anche perché, oltre agli aspetti meramente legati al "linguaggio di programmazione", abbiamo dato il giusto peso a quegli argomenti che Sun Microsystems gli ha da sempre associato: in poche parole quelli relativi al metodo di progettazione - sto parlando di UML, UP, patterns ed affini - le vere chiavi del successo di qualsiasi progetto serio.

Ho ancora un ricordo, in particolare, di quei primi anni di Mokabyte. Consci del fatto che eravamo sbarbatelli appena arrivati su quel palcoscenico, puntavamo molto sulla precisione e sulla concretezza - in poche parole, quando si parlava di evoluzioni future della tecnologia, andavamo con i piedi di piombo. Purtroppo, in Italia, se tenti di fare innovazione con troppo entusiasmo rischi di passare per un visionario (è interessante notare come questa stessa parola, che da noi ha una valenza del tutto negativa, in USA indichi invece un profilo professionale estremamente specializzato e ricercato dalle aziende che vogliono mantenersi competitive - poi chiedetevi se le aziende italiane hanno problemi a stare sul mercato per propria miopia o per colpa dei cinesi).

Ma negli ultimi cinque minuti di un seminario, quando il programma era stato portato a termine (e sempre con grande soddisfazione degli utenti), concludevamo con una breve "fuga in avanti". Illustravamo come, nel giro di pochi anni, Java avrebbe conquistato il settore entrerprise rivoluzionando il modo di progettare sistemi per componenti. E come, qualche tempo dopo, sarebbe stato distribuito in centinaia di milioni di installazioni sui computer palmari e sui cellulari di prossima generazione. Ricordiamoci che, ancora nel 1998, Java era prevalentemente visto come un cazzillo per mettere un po' di animazione nelle pagine Web e poco più. Si iniziava appena a parlare di servlet e gli EJB erano un acronimo del tutto sconosciuto. E poi, essendo un linguaggio interpretato, Java doveva essere necessariamente lento, lento, lento... Insomma, per cose serie ci voleva il C++. Il risultato di quelle panoramiche sul futuro era qualche sorriso ironico e quelle due slide finali venivano considerate semplicemente come il classico modo di terminare un seminario "in leggerezza".

Noi non avevamo la palla di cristallo: semplicemente ci documentavamo su riviste scientifiche d'oltreoceano, partecipavamo a discussioni su mailing-list di esperti, cercavamo di guardare un po' oltre l'orizzonte. Potete quindi immaginarvi quale sia la soddisfazione, a distanza di anni, di aver visto Java conquistare gran parte del mondo di back-office in banche, borse, assicurazioni, compagnie telefoniche e di servizi. Per non parlare dei telefonini. Fino ad arrivare in aree per certi versi sorprendenti: se avrete il desiderio di leggere l'articolo che presento in questo numero speciale di Mokabyte, potrete apprendere come Java oggi sia usato con successo come motore di distribuzione di dati di telemetria in tempo reale in Formula Uno - e non si tratta di un prototipo sperimentale, ma di un'applicazione reale e mission-critical con cui si è appena vinto un mondiale.

Dieci anni sono passati e la spinta propulsiva di Duke non si è ancora esaurita. Lunga vita a Java. Lunga vita a Mokabyte.