Buongiorno
dottor Tagliati, come sta?
Ti prego chiamami solo Luca. 1. Non ho ancora terminato
il PhD. 2. Detesto i titoli e diffido delle persone
che si nascondono dietro ad essi. Lo sa che a Roma basta
parcheggiare la macchina per essere chiamati con il
titolo di "Dotto'" o "Commendato'"?
Va
bene Luca.
Grazie.
Di
cosa ti stai occupando?
Sto lavorando ad un progetto molto interessante per
la mia banca, la HSBC Investment Bank. Stiamo reingegnerizzando
il sistema di front-office.
Si
tratta di un sistema di GUI?
Non proprio. Non ti fare ingannare dal nome. I sistemi
di front-office sono quelli nati all'interno delle organizzazioni
di "investment" come conseguenza dell'automatizzazione
dei mercati azionari. Sono sistemi che maggiormente
concorrono alla generazione dell'introito nelle organizzazioni
di investimento. Come ricorderai, intorno agli anni
'80 le varie "Borse" hanno cominciato a svuotarsi
del folclore, degli operatori che urlavano "Compra!",
"Vendi!", per trasformarsi in vertiginose
astratte sequenze di dati. Parlo dei famosi ECN.
Interessante,
e di cosa si tratta esattamente?
È l'ambiente che utilizzano Sales, Traders e
Brokers per contrattare Trades con clienti istituzionali.
La parola chiave di questi sistemi è performance:
è necessario gestire rapidissimamente enormi
quantità di dati provenienti in real-time da
mercati elettronici (streaming price), effettuarvi calcoli
analitici, valutarne i fattori di rischio, e così
via al fine di riuscire ad offrire quotazioni redditizie
e competitive. Il passo successivo consiste nel fornire,
sempre in tempo reale, gli stessi dati a sistemi in
grado di riconoscere autonomamente pattern di investimento
e di avviare il conseguente processo di contrattazione.
E
dal punto di vista più quisitamente tecnico?
Inizialmente il sistema verrà installato nei
quattro principali centri di business della HSBC: Londra,
Parigi, New York e Honk Kong. I principali paradigmi
architetturali usati sono SOA, e ambienti autonomi e
federali. In particolare, ogni centro deve essere in
grado di operare autonomamente, tuttavia, alcuni scenari
richiedono l'interazione di più siti, non solo
in termini di scambio di dati (quote, prezzi, etc.)
ma anche in termini di collaborazione tra utenti del
sistema. Per esempio, un Sale Londinese per gestire
una richiesta di offerta relativa ad un bond governativo
americano, deve interagire, in maniera automatica e
trasparente, con il corrispondente americano, il tutto
sempre in tempo reale. Ogni, sistema (in termini di
deployment) è costituito da una dozzina di sotto-sistemi:
il sotto-sistema di collegamento e gestione dei mercati
elettronici, il sotto-sistema della gestione del mercato
bilaterale interno, i sotto-sistemi di front-end (sales
GUI, traders GUI) con i corrispondenti server-side,
il sotto-sistema del calcolo del rischio, quello della
gestione dei dati statici, il sotto-sistema per la sicurezza,
di gestione del ciclo di vita dei trade, etc.
Inoltre, sebbene il sistema sia uno, ogni deployment
è diverso anche perché è necessario
tener presente le diversificazioni locali, legate al
diverso impianto legislativo, ai differenti modi di
concepire il business, etc.
Qual'è
il tuo ruolo?
Senior Architect
Un
po' giovane per questo ruolo, no?
In effetti sono il più giovane, e ciò,
spesso, mi crea non pochi problemi.
Immagino...
Quali tecnologie avete utilizzato?
L'ambiente di sviluppo è quasi totalmente basato
su Java/J2EE. Tuttavia, vi è un sistema GUI sviluppato
in C#. Inoltre, abbiamo utilizzato un ESB come middleware.
Il relativo processo di selezione ci ha portati ad investigare
le implementazioni di Sonic, CapeClear e Fiorano. Infine,
l'ambiente di produzione è costituito, quasi
interamente, da sistemi Linux.
E
cosa ci dici dell'ambiente lavorativo londinese?
È decisamente faticoso e stressante ma, al tempo
stesso, molto molto stimolante.
Londra non è l'Italia di oggi, è un paese
assolutamente dinamico (con i relativi vantaggi e svantaggi)
in grado di fornire, professionalmente, l'ambiente ideale
per la circolazione di nuove idee. Mafie e "furbizie"
varie non incatenato il paese. Le raccomandazioni sono
assolutamente marginali (qui si chiamano networking).
Poi, si viaggia molto, si interagisce con persone di
diversi background, dotate di diversi schemi mentali,
diversi modi di lavorare, etc.
L'elevato livello di competitività impone alle
aziende ingenti investimenti in tecnologia, considerata
come una preziosa risorsa e non come paravento per accedere
a particolari fondi.
Le aziende, quindi, finanziano progetti di grandi dimensioni,
pianificati nell'arco di diversi anni, i quali pongono
sfide uniche: tutto deve essere attentamente organizzato,
bisogna porre attenzione anche ai minimi particolari,
progettare attentamente le varie parti, coordinare i
team, utilizzare processi di sviluppo formali, e cosi'
via.
Parliamo
della tua esperienza con MokaByte?
Si, certo... Siamo qui per questo, no?
Come
è nata?
Bè... È trascorso molto tempo, però
sono rimasto affezionato a MokaByte: è stata
la prima rivista, a carattere non locale, su cui ho
pubblicato un articolo e poi hanno avuto il coraggio,
assolutamente in contro tendenza, di pubblicare un "mattone"
sullo UML e sull'ingegneria del software, quando molte
riviste preferivano pubblicare articoli su come collegare
la telecamera X.Y al videoregistratore Z.
Credo che tutto risalga intorno al 1999. Venivo spesso
consultato per problemi e quesiti relativi ai processi
di sviluppo del software e all'UML. In quel periodo
si trattava di argomenti pressappoco sconosciuti. Quindi,
dietro consiglio di un mio "tutor" (Roberto
Virgili) e grazie alla collaborazione di un altro (Antonio
Rotondi), decisi di trasformare le mie nozioni in una
serie di articoli. Inviai un primo articolo ad uno sconosciuto
indirizzo di posta elettronica reperito sul web a cui
rispose un certo Giovanni Puliti e quindi, iniziammo
l'avventura e una conseguente amicizia virtuale.
Cosa
ricordi di quell'esperienza?
La cosa più divertente è la confusione
che Giovanni ed io riuscivamo a generare (più
lui che io, però). Da parte mia, lo facevo impazzire
inviandogli decine di versioni dello stesso articolo,
lui, per "rivincita", pubblicava puntualmente
la versione sbagliata, aggiungendo suoi errori ai miei.
A volte, poi, combinava due miei articoli in uno solo,
altre volte faceva il contrario. Giovanni mi supplicava
di inviargli articoli brevi e due versioni al massimo,
io invece gli inviavo dieci versioni dei testi lunghissimi:
non avevo mai tempo per scriverne di più brevi!
Ed
il libro? Come è nata l'idea?
Questa colpa va condivisa tra Roberto e Giovanni. Ricordo
infatti che una volta esaurita l'esperienza dei primi
articoli sull'UML, mi lasciai convicere che sarebbe
stato un peccato lasciare morire quel materiale nel
disco rigido di un server remoto. Mi persuasero che
sarebbe stato uno sbaglio non riorganizzare lo "zibaldone"
in un volume. Dicevano, che sarebbe bastato sistemarli
un po', approfondire ora questo, ora quello di argomento,
tagliare qua e là per poterne ricavare un volumetto
di 100/200 pagine... Invece ci vollero tre anni di "studio
matto e disperatissimo" per elaborare un volume
di quasi 600 pagine!
Come
mai?
Il primo problema è il mio perfezionismo: Francesco
(Saliola) ne sa qualcosa... Dopo aver sistemato la versione
1002 di un capitolo, puntualmente, gli inviavo quella
successiva, completamente rivista, ovviamente. Per ogni
capitolo gli ho feci produrre 2.000 diversi pdf. Oltre
a ciò, ci accorgemmo presto, che parlare di UML
senza affrontare l'argomento dei processi di sviluppo
sarebbe stato sterile, che ci volevano tanti esempi
tratti dalla realtà lavorativa, etc. Antonio
e Roberto, poi, erano sempre prodigi di nuove idee e
di lunghissime critiche costruttive. Infine, i tanti
diagrammi, i tool UML che non seguono mai lo standard,
ecc. Ed ecco che il lavoro sfugge al controllo.
Quanto
ha contribuito scrivere il libro alla tua carriera?
Non troppo, ahime'. Tuttavia durante i tre anni di studio
intensissimo ho analizzato, studiato, confrontato e
vagliato un'enorme quantità di informazioni,
ho revisionato molti progetti, etc. Questo lavoro ha
segnato la mia maturazione professionale permettendomi
di passare dalla figura di programmatore (ancora lo
sono) a quella di architetto. Però se penso che
sono più di cinque anni che lavoro in quel di
Londra dove la lingua di Dante non è molto popolare,
capisco bene che non ho scritto per fare carriera. E
poi chissà che non mi possa essere di aiuto un
giorno a tornare nel Belpaese?
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