Le tematiche legate agli Open Data, alla loro divulgazione e al loro possibile utilizzo stanno ricevendo gradualmente sempre più attenzione. In questo articolo, scritto a quattro mani da Matteo Busanelli e Matteo Manzini, gli autori fanno qualche riflessione sul modo in cui questi temi sono affrontati nel Regno Unito, e dei confronti con la realtà italiana.
Gli Open Data nel panorama italiano (Matteo Busanelli)
Gli Open Data sono oggi una realtà anche in Italia, in sempre più rapida ascesa grazie a diverse iniziative che mirano a divulgare, promuovere e dimostrare il reale potenziale di questo approccio. Una di queste iniziative è certamente l’Open Data Day [1], evento internazionale che si tiene ogni anno contemporaneamente in diversi Paesi.
L’anno scorso l’Italia ha partecipato attivamente e con grande slancio ed entusiasmo tramite un evento Hub tenutosi a Roma il 23 Febbraio [2] e altri disseminati in contemporanea sul territorio nazionale (13 da nord a sud). Quest’anno l’ODDI 2014 (che si terrà sempre a Roma il 22 febbraio 2014, #oddit14 su Twitter) verrà replicato cercando di proseguire il percorso iniziato l’anno scorso portando nuovi contributi, proposte e casi di successo.
Tutto questo per dire che qualcosa si sta davvero muovendo, che davvero la Pubblica Amministrazione si sta sensibilizzando all’idea che pubblico non deve essere solo il servizio erogato ma anche il dato e l’informazione correlati.
D’altro canto, in Italia il tessuto economico fatto di piccole e medie imprese ad alta frammentazione di mercato e di settore risulta fortemente predisposto sia allo sviluppo di molteplici servizi su misura che sfruttino tali dati, che all’uso finale sia da parte del privato cittadino che della impresa. Molte piccole e medie software house italiane infatti potrebbero trovare nuovi sbocchi nella produzione di programmi o applicazioni mobile che si appoggino agli Open Data fornendo così innovativi servizi sia in ambito B2B che agli utenti finali.
Uno sguardo oltreconfine
Però un ottimo modo per analizzare lo stato attuale degli Open Data e ipotizzare i possibili passi successivi consiste nel guardare al di fuori dell’Italia, verso i Paesi più avanzati in tale materia, per capire come si stiano muovendo in termini di promozione degli Open Data, di investimenti, di legislazione e soprattutto di effettivo supporto nel favorire l’incontro fra domanda e offerta in ambito business, sia pubblico che privato.
Il Regno Unito, su tale fronte è sicuramente uno dei Paesi più all’avanguardia e da anni ha iniziato a pubblicare ufficialmente Open Data sia a livello governativo che di media ed entertainment (per esempio la BBC). In particolare, nell’aprile del 2012, da una idea di Tim Berners-Lee e Nigel Shadbolt, direttore del gruppo Web and Internet Science Group dell’Università di Southampton, nasce a Londra l’Open Data Istitute (ODI) [3] come organizzazione indipendente senza scopo di lucro. L’istituto è finanziato dal governo britannico (10 milioni di sterline) e dalla società filantropica americana Omidyar Network (750 000 dollari) e si propone come hub nazionale e internazionale per promuovere l’evoluzione degli Open Data al fine di ricavarne valore dal punto di vista economico, ambientale e sociale.
Fra le varie attività di ODI ci sono quelle volte alla disseminazione, costituite principalmente da incontri di varia natura aperti al pubblico in contesti informali e piacevoli (“ODI lunchtime lectures” e “ODI Futures”).
Il nostro agente a Londra
Matteo Manzini, collega che attualmente risiede a Londra, ha avuto il piacere di partecipare a due di questi eventi che si tenevano proprio presso la bella sede dell’ODI [4] a pochi passi da casa sua. Quello che vi presentiamo di seguito è il suo reportage su tali incontri, con le sue impressioni e considerazioni e alcuni riferimenti utili sul materiale pubblicato. Al termine di tale resoconto, cercheremo insieme di trarre alcune conclusioni sullo stato attuale degli Open Data in casa nostra e soprattutto sulle possibili future evoluzioni.
ODI lunchtime lectures (Matteo Manzini)
Ho assistito nel corso del 2013 ad alcune conferenze presso ODI, il quale propone con cadenza settimanale incontri gratuiti, per un numero limitato di partecipanti, una trentina circa, con il doppio fine sia di trattare gli argomenti indicati che di divulgare la notizia della propria presenza nelle comunità di interesse. Maggiori informazioni in merito sono reperibili nella sezione FAQ e nel calendario del sito web di ODI [3].
La mia prima visita in ODI aveva anzitutto lo scopo di osservare l’istituto in termini generali, non solo per gli aspetti direttamente legati alla conferenza in oggetto. In tale ottica, l’atteggiamento degli organizzatori, tra loro stessi e rispetto ai visitatori, mi è parso caratterizzato da apertura (sulle pareti è scritto “we are open by default”, con esplicito riferimento non solo ai dati), ricerca del dialogo, facilitazione delle connessioni e delle collaborazioni, nonche‘ dalla condivisione delle risorse: nome rete e password per l’accesso al WiFi interno sono facilmente individuabili, caffè e the‘ sono gratuiti, e così via.
Febbraio 2013: “How can Open Data Revolutionise your Rail Travel?”
Venendo ai dettagli della conferenza, un grande insieme di informazioni corrette e disponibili (open) potrebbe, con l’aiuto di sviluppatori “illuminati”, dare ai consumatori il potere di inoltrare richieste che cambino in meglio un sistema, quello ferroviario, al momento strutturato e finanziato in modo piuttosto complesso e oscuro, prevalentemente somma di tanti piccoli monopoli locali.
Figura 1 – In che modo gli open data possono influenzare il mondo dei trasporti ferroviari?
Tramite la disponibilità di una maggiore e più precisa conoscenza si potrebbe idealmente aspirare al raggiungimento di risultati come i seguenti:
- monitorare la puntualità dei convogli;
- abbassare le tariffe rendendo più comprensibile il concetto di “fare splitting”, cioè di copertura di una tratta tramite l’acquisto indipendente dei diversi segmenti che la compongono. Grazie a questa “suddivisione della tariffa per le tratte”, per esempio, si può soddisfare una richiesta del tipo “andare di venerdì sera da Liverpool a Londra, raddoppiando il tempo di percorrenza a patto di spendere un terzo del prezzo della tratta unica”;
- costruire applicazioni e servizi innovativi i quali soddisfino anche necessità non ancora note.
ODI ha reso disponibili a ognuno dei partecipanti le slide utilizzate nel corso della lecture [5] e l’audio della stessa [6].
ODI Futures (Matteo Manzini)
ODI Futures è una versione “estesa” di ODI lunchtime lectures, nel senso che occupa un tempo maggiore, tre ore circa, e impiega molteplici relatori, mantenendo comunque le caratteristiche del numero limitato di partecipanti e del costo zero per gli stessi.
La cadenza non è settimanale e ho recentemente partecipato al primo, e finora unico, evento di tale serie.
Novembre 2013: “Show me the future of… Open Data and food”
Il recente scandalo delle tracce di carne di cavallo ritrovate all’interno della carne catalogata invece come proveniente da altri animali ha convogliato gran parte dell’attenzione pubblica su un settore, quello del cibo, fondamentale su scala planetaria.
Tale settore presenta già la disponibilità di grandi quantità di dati i quali al momento sono però non sufficientemente monitorati e validati a causa dell’assenza di standard sia nella produzione di tali dati che nella loro presentazione al consumatore finale, nei casi in cui essa avvenga. Soprattutto, appare chiaro che tali dati non siano impiegati nel modo corretto, o comunque non sono usati nel modo migliore possibile.
L’intera “filiera del cibo”, dall’agricoltore e allevatore fino al consumatore finale, è stata descritta da tutti i relatori come un grande puzzle, con pezzi mancanti o, quando presenti, che non si incastrano tra loro.
I consumatori in particolare chiedono trasparenza, al fine di:
- acquistare ai prezzi migliori;
- conoscere con certezza ciò che mangiano;
- avere di nuovo fiducia nei rivenditori, soprattutto nella grande distribuzione (supermercati).
In particolare, in relazione a quest’ultimo punto, mettere a disposizione i dati esistenti, e i servizi che su di essi possono essere costruiti, può essere visto come una forma di recupero del contatto umano e di maggior cura delle relazioni con i clienti, nonostante la vasta scala.
Figura 2 – Gli Open Data possono giocare un ruolo importante nel mettere il cliente in relazione con la filiera di produzione e distribuzione del cibo.
Il settore intero, a partire dai produttori stessi, avverte inoltre la necessità di misurare l’impatto ambientale della “food supply chain” stessa (la filiera di produzione e distribuzione del cibo), e di capire come evitare gli sprechi di cibo che al momento sono evidenti e noti (30% di “waste rate”).
Infine, come già visto in precedenza per il trasporto ferroviario, maggiori dati potrebbero permettere di costruire applicazioni servizi innovativi in grado potenzialmente di soddisfare anche necessità non ancora note.
ODI ha reso disponibili a ognuno dei partecipanti le slide utilizzate nel corso della gran parte delle lecture [6] e l’audio delle stesse [7].
Impressioni e considerazioni sui due eventi (Matteo Manzini)
In termini generali è possibile individuare alcuni elementi comuni ai due eventi sopra descritti e che ritengo valgano per qualunque contesto in cui sono coinvolti gli Open Data.
Finanziamento pubblico e dati aperti
Dove esiste finanziamento pubblico, cioè proveniente dalla tassazione dei cittadini, devono esserci dati aperti: è cioè opportuno che tali dati siano pubblici e in un formato usabile. Se i dati non sono disponibli è lecito, anzi necessario combattere, tramite ricerca e dimostrazioni tecnologiche dei conseguenti vantaggi, per far sì che essi diventino accessibili.
Funzione sociale del dato aperto
Si percepisce una funzione sociale degli Open Data, al fine di difendere il singolo cittadino dal possibile monopolio economico di chi possiede i dati e non li rende disponibili.
Paternità del dato
Al fine di comprendere bene qualunque set di Open Data, è innanzitutto necessario capire l’istituzione o l’istituto che li produce e il relativo domain;
Privacy
La riservatezza è importante: gli Open Data presuppongono una serie di valutazioni a livello di privacy che devono essere tenute in considerazione e gestite in modo personalizzato sia per domain diversi che per specificità diverse all’interno di uno stesso domain.
Sostenimento dei costi
La produzione e il mantenimento di Open Data comportano ovviamente dei costi il cui sostenimento deve essere suddiviso tra i vari attori, per esempio già tra pubblico e privato.
Platea e relatori
In entrambi gli eventi la platea era formata da individui competenti e attivi nel settore, al punto che ho assistito a più di un caso in cui i riferimenti della lecture riguardavano direttamente o indirettamente persone presenti in aula, senza che il relatore ne fosse al corrente. È sucesso, ad esempio, che lo speaker affermasse: “sarebbe utile sapere come cambieranno le etichette informative della carne nel 2014 visto che verranno applicati nuovi standard”, e un ascoltatore in aula rispondesse: “ho contribuito alla definizione di tali standard quindi possiamo illustrarli anche ora”.
I relatori sono di norma membri interni di ODI ma in alcuni casi possono rappresentare aziende esterne le quali portano la loro esperienza e presentano casi di studio concreti sull’uso degli Open Data ricevendo, giustamente a mio avviso, supporto e visibilità grazie all’innegabile effetto vetrina che ne deriva.
Considerazioni su ODI e il futuro dell’Open Data in Italia (Matteo Busanelli – Matteo Manzini)
ODI attualmente rappresenta il punto di riferimento più accreditato a livello mondiale in materia Open Data per svariati motivi: per posizione strategica, visto che Londra è certamente una città privilegiata per diffondere nuovi trend, tecnologie e innovazione, per disponibilità di fondi, e per l’importante sponsorizzazione dell’inventore del WWW, nonchè fondatore del W3C, Tim Berners-Lee.
Nonostante Open Data Institute sia stato fondato solo molto recentemente, tutti questi fattori fanno presupporre che, già dai prossimi anni ODI avrà un ruolo centrale nel sensibilizzare i Paesi sull’adozione degli Open Data, nella definizione di linee guida e di certificazioni dei processi di pubblicazione, nel proporre KPI qualitativi sui dati pubblicati, nel supportare aziende ed enti pubblici nell’uso, nella pubblicazione e nello sviluppo di applicazioni basate sugli Open Data. Non di meno, è ragionevole pensare che molti dei prossimi step della roadmap evolutiva degli Open Data e delle tecnologie connesse partiranno proprio da qui.
ODI Nodes
A rafforzare tutto questo, c’è la recente iniziativa chiamata ODI Nodes [8] che mira a estendere ODI tramite un network globale di nodi che si impegnino a veicolare i valori dell’open by default, cioè il rilascio di software sempre in modalità open source, di documenti con licenza creative commons e di Open Data, e il sostegno alla diffusione dei certificati Open Data [9], tramite un questionario di autovalutazione che aiuta a capire come produrre Open Data di qualità.
Figura 3 – Il logo dell’iniziativa ODI Nodes.
In particolare ODI definisce tre tipi di nodi: Country, City/Regional, Communications.
I nodi di tipo Country sono organizzazioni non governative che costituiscono centri di eccellenza nazionale per la diffusione, il supporto e la certificazione sia in ambito pubblico che privato. Possono relazionarsi con altri nodi. Attualmente esistono due nodi di questo tipo in “versione beta”: America e Canada.
City o Regional sono nodi a livello regionale o di singole città che possono gestire progetti e fanno formazione, ricerca e sviluppo. In Italia recentemente Trento è diventato ODI node di questo tipo.
I nodi Communications si occupano di divulgare use case e di promuovere gli Open Data in modo trasversale rispetto alle altre due categorie di nodi. ODI Moscow e ODI Buenos Aires sono nodi di questo tipo.
E l’Italia?
In Italia non esiste ancora nulla di simile, ma proprio in questi giorni si sta discutendo la possibilità di creare un Istituto per gli Open Data Italiano [10] e magari di presentarlo all’Open Data Day Italia 2014.
Come scrive Giuseppe Iacono di Stati Generali dell’Innovazione, tale Istituto dovrebbe rappresentare: “un organismo indipendente e no-profit, che possa essere uno strumento di formazione e stimolo di una più ampia e solida ‘domanda’ di dati per la realizzazione di servizi innovativi, in grado di innescare un circolo virtuoso di convenienze reciproche tra chi favorisce la distribuzione di dati, ricevendone in cambio nuovi servizi e nuovo valore, e chi quei dati utilizza per ampliare la propria ‘offerta’ imprenditoriale”.
Esso dovrebbe inoltre raccogliere, arricchire e consolidare in maniera ufficiale tutta una serie di attività specifiche che al momento risultano frammentate “incidentalmente” su diversi soggetti istituzionali come l’Agenzia per L’italia Digitale [11] o di organizzazioni pubbliche come Formez [12] e Istat [13].
Figura 4 – Quale può essere la strategia da seguire in Italia per quanto riguarda gli ODI Nodes?
Sarà quindi molto importante, in un momento così complesso per l’Italia, essere in grado di dare il giusto peso agli Open Data passando per una istituzionalizzazione che tenga fortemente in conto quello che già accade in paesi più avanzati come il Regno Unito, che con ODI e l’accesso al network globale dei suoi nodi (l’Isitituto Italiano potrebbe essere un ODI Country Node per esempio) rappresenta un’ottima opportunità di allineamento a realtà già accreditate, evitando di inciampare nella solita “Italian way” di fare le cose.
Riferimenti
[1] Open Data Day
[2] L’edizione 2013 di ODD Italia
http://opendataday.it/edizione-2013/
[3] Open Data Institute
[4] La sede dell’ODI
[5] Jonathan Raper, “How can open data revolutionise your rail travel?”
http://www.scribd.com/doc/123365071/How-can-Open-Data-Revolutionise-your-Rail-Travel
[6] Le slide delle varie conferenze
http://theodi.github.io/presentations/2013-11-odi-futures-food.html#/13
http://windermere.aston.ac.uk/~kiffer/docs/talks/20131128_ODI_Brewster.pdf
http://digest.foodtrade.com/2013/11/where-is-the-food-system-going/
http://www.slideshare.net/psychemedia/odi-food
7] L’audio delle conferenze
[8] ODI Nodes
[9] Certificati Open Data
https://certificates.theodi.org/
[10] Giuseppe Iacono, “Un istituto per gli open data”
http://www.agendadigitale.eu/smart-cities-communities/258_un-istituto-per-gli-open-data.htm
[11] Agenzia per l’Italia digitale
[12] Formez PA
[13] Istituto Nazionale di Statistica