Una scomoda verità…
Se guardiamo all’esperienza di molte aziende, per non dire tutte quelle di dimensioni medie e grandi, uno aspetto comune che emerge è il seguente: l’azienda vuol fare tante cose ma poi riesce a concluderne solo pochissime. Tipicamente, a inizio anno o quando si fa la pianificazione, si mettono sul tavolo un gran numero di iniziative che tutti ritengono interessanti e strategiche, per poi rendersi conto, con il passare dei mesi, che tutte queste “cose da fare” non potranno mai essere completate.
E allora scatta la ricerca a “fare il doppio del lavoro nella metà del tempo”, il che, ovviamente, è impossibile. Si cercano metodologie, framework, sistemi che ci consentano di completare tutte le iniziative, ma spesso tutto questo si risolve solo in un certo grado di delusione.
Il fatto è che, anche se ad alcuni non piacerà sentirlo dire, non è possibile fare tutte le cose. Semplicemente. Però, ed è qui che comincia la nostra riflessione, è possibile metterle in fila, capirne il valore strategico, scegliere cosa fare per prime e cosa invece rimandare a un secondo tempo. E anche cosa abbandonare del tutto, su basi sensate.
Uno sguardo alle esperienze passate
Nel corso degli anni, la gestione delle iniziative aziendali ha visto molteplici approcci. Si è passati dall’imprenditore illuminato, il “patron dell’azienda”, che decideva in modo sequenziale (“OK, facciamo prima A, poi B, poi C, perché queste saranno le cose che sicuramente servirà fare”), fino ad arrivare a sistemi complessi di gestione del budget, delle risorse, dei tempi e dei costi, che probabilmente molti dei lettori avranno già visto in azienda.
A partire da inizio secolo, è nata una branca specifica del Project Management, denominata Portfolio Management. Questa disciplina si occupa proprio di questo: di mettere insieme tutte le forze presenti in azienda per poter dire “OK: vediamo quali sono gli obiettivi dell’azienda, pianifichiamo, valutiamo il budget, consideriamo le altre risorse… bene, facciamo queste cose”. Dunque, negli ultimi venticinque anni nasce e si sviluppa il Portfolio Management.
Il Portfolio Management dai diversi punti di vista
Cerchiamo però di trovare una definizione, perché ne esistono tante e ognuno di noi potrebbe avere la sua. Per me, il portfolio management è una pratica adottata da aziende più o meno medio-grandi che hanno un’esigenza specifica: quella di pianificare tante iniziative in uno stesso arco temporale, nello stesso orizzonte temporale.
Come potete immaginare, in queste iniziative ci sono tante forze in gioco.
- Abbiamo il Marketing che arriva e dice: “I nostri clienti ci chiedono questo, quindi dobbiamo fare tutte le cose che ci chiedono i clienti”.
- Il CTO ci dice: “Però attenzione, va anche bene fare tante cose, ma la qualità deve essere quella, quindi non possiamo farle come vogliamo”.
- Magari arriva anche il CFO, con le sue motivate preoccupazioni: “Però attenzione, c’è un budget, non potete fare tutto quello che volete, dobbiamo rendere economicamente sostenibile l’impresa”.
- E le cose che chiede il CEO? “C’è anche il capo, dobbiamo farle”.
Sono tante, quindi, le cose che il Portfolio Management deve provare a mettere assieme.
Trovare il modo
Tipicamente, almeno nei contesti tradizionali, queste attività sono demandate a uffici di Portfolio Management, o denominazioni simili. Che fanno queste persone? Raccolgono le informazioni: quindi ci sarà in azienda qualcuno che raccoglierà tutte le iniziative che ci sono, le metterà in priorità, cercherà di trovare un finanziamento, cercherà di capire come poterle realizzare con il budget disponibile, monitorerà l’andamento di queste iniziative. Queste sono le attività che fanno questi uffici.
Ma oggi che c’è la Business Agility — siamo tutti agili ormai… — vi pare che il portfolio poteva rimanere come era un tempo? E quindi abbiamo introdotto l’Agile Portfolio Management. Sono stati scritti libri, ci sono tantissime cose, i maggiori framework di scaling lo inglobano, SAFe su tutti. C’è tutto un bel capitolo sul portfolio.
Però, se chiediamo alle persone che hanno utilizzato l’Agile Portfolio Management nelle sue varie incarnazioni, magari in un’infrastruttura di scaling, “Ma per voi funziona l’Agile Project Management”, riceviamo tante risposte simili: “Insomma, si fa comunque fatica”. È la risposta tipica. Pertanto… usiamo questi strumenti, usiamo questi processi, un po’ ci aiutano, però le aspettative che avevamo non è che vengono del tutto soddisfatte.
Un passo avanti, o forse di lato
Ecco, non voglio parlare di questi framework di scaling, né parlarvi di varie tecniche di Agile Portfolio Management che esistono e che sono ben documentate da libri e articoli.
Vorrei invece porre l’attenzione sul fatto che questi sono strumenti e processi e come tali vanno trattati. Lo sappiamo dal Manifesto Agile: processi e strumenti sono importanti, ma lo sono un po’ meno rispetto agli individui e alle interazioni. Ed è proprio su questi individui e sulle loro interazioni che dovremmo provare a fondare il nostro “mettere in fila tante cose”: è solo con la collaborazione tra questi individui che poi riusciamo davvero a creare qualcosa di sostenibile.
Due scenari
In Agile Reloaded, l’azienda di coaching e consulenza in cui lavoro, ci piace definire l’Agile Portfolio Management come un approccio alla gestione strategica aziendale che è basato sulla comunicazione e sulla condivisione tra questi individui. Vediamo di capire cosa intendo quando parliamo di comunicazione e condivisione.
Facendo riferimento alla figura 1, abbiamo due scenari. L’approccio rappresentato a sinistra è basato sull’individualismo, sulla ricerca delle ottimizzazioni locali, dove le varie aree aziendali — chiamiamole dipartimenti, divisioni, tribe — mettono in fila le loro cose e poi tutte queste ricadono per forza di cose su chi fa la produzione, siano essi team o fabbriche, se non siamo nell’IT, creando una congestione. Questo perché ognuno ha visto il suo ottimo locale, ha messo in fila le sue cose, ha un approccio di destra.
L’approccio rappresentato a destra, invece, tutti insieme vogliamo metterci intorno al tavolo e dare una priorità a queste iniziative. Nell’approccio rappresentato a sinistra siamo obbligati a trovare il modo per fare tutto e quindi ognuno pianifica le sue iniziative e alla fine non si poteva fare tutto… ma lo sapevamo già dall’inizio.
Nell’approccio rappresentato a destra, invece, sarà necessario avere il coraggio di dire: “Questa cosa non la facciamo”. E quindi non dobbiamo per forza trovare il modo di fare tutto. Conseguentemente, però, dovremo trovare il modo di fare davvero le cose che servono. Bisogna avere il coraggio di dire: “Questa la metto in panchina, magari al prossimo anno” O “Questa non la faccio proprio perché abbiamo capito, parlando e discutendo assieme, che questa non è la nostra priorità”.
Lavorare insieme su un quadro condiviso
È chiaro che, se vogliamo lavorare con l’approccio “globale” di cui parlavamo adesso, è necessario avere un quadro generale delle iniziative dell’azienda e trovare un modo condiviso per decidere a cosa dare priorità.
Se facciamo riferimento alla figura 2, immaginando di disegnare su questa lavagna tutto il nostro ciclo produttivo che parte dal margine sinistro dell’immagine, la generazione delle idee, scorrendo verso destra fino ad arrivare al fatidico: “L’abbiamo consegnata, l’abbiamo rilasciata, funziona”.
C’è una prima parte, colorata in un celeste chiarissimo, in cui vogliamo scremare le iniziative. La forma di questo grafico, non a caso, è quella di un imbuto, un funnel. Finché siamo nella fase “celestina” ci troviamo nella condizione di dire: “Abbiamo messo in fila alcune cose e altre le abbiamo tolte”.
Quando entriamo nella parte destra dell’“imbuto”, quella gialla vuol dire che abbiamo fatto i nostri ragionamenti, abbiamo priorizzato, e cominciamo a lavorare su queste iniziative che abbiamo scelto, con la consapevolezza che queste le potremo finire. A questo punto, si tratta di “lavorarci”: usiamo tutto quello che sappiamo, applichiamo Scrum, ma, insomma, si tratta di fare.
Però questo non significa che la parte iniziale a sinistra, quella in celeste chiarissimo, si blocca. Anzi, lì continuiamo a pianificare sempre tante cose e non riusciamo a fare. Nonostante che è da tanto tempo che ci viene detto che siamo sempre troppo ottimisti nella pianificazione. No, la fallacia della pianificazione.
Approccio e strumenti
Arriviamo allora a vedere alcuni aspetti pratici che ci consentano, appunto, di mettere in fila tante cose, di prioritizzare le iniziative e decidere quali effettivamente intraprendere per poi portarle realmente a conclusione.
Dicevo prima che gli strumenti sono importanti, ma che ancora più importanti risultano la comunicazione e la condivisione, ossia gli individui e le interazioni. Quindi vorrei proporvi un approccio basato sulla comunicazione che non è l’unico, non è probabilmente nemmeno il migliore, è quello che usiamo noi sia all’interno della nostra azienda, che con i nostri clienti.
Condivisione delle Iniziative
La prima parte è la condivisione delle iniziative. Se vogliamo basare la nostra pianificazione strategica, la gestione del nostro portfolio strategico, sulla condivisione tra gli individui, dobbiamo trovare un modo per condividere le iniziative, per renderle evidenti a tutti. Perché nelle aziende non possiamo avere uno che sa e fa tutto. Saranno delle persone deputate a proporre iniziative, qualcun altro ne porterà altre… però dobbiamo essere in grado di condividerle e metterle a fattor comune e trovare quelle informazioni che all’interno della nostra azienda hanno senso per poterle comparare.
Esistono tanti strumenti: Product Canvas, Vision Board, Business Model Canvas, solo per citare i più noti. A noi piace utilizzare Lean Canvas e, per essere precisi, una versione modificata nella parte centrale. Però non importa, perché non è sul tool specifico che dobbiamo focalizzarci, quanto su quello che con un dato strumento possiamo fare: guardare una serie di iniziative che poi possono essere discusse tutte insieme. Ci si mette tutti insieme, le discutiamo, le raccontiamo, perché sono basate sulle informazioni che servono e possiamo così comprenderle tutte. Fondamentale chiedersi quali sono le informazioni che per noi ha senso mettere dentro il Canvas e da condividere tutti assieme.
Tra l’altro, il Lean Canvas si presta bene anche a lavorare da remoto, a patto che ci sia un momento “sincrono” in cui ci sia un referente di un team che presenta il Lean Canvas a tutti quanti. Sicuramente, anche se si lavora da remoto, è imporante evitare l’invio in posta elettronica o il “Collegati a questa board di Miro e guardatelo da solo”, preferendo sempre il “racconto” di persona.
Conclusioni
Ci fermiamo qui, sapendo bene che il discorso non è finito e infatti verrà ripreso nella prossima parte, in cui affronteremo il tema cruciale: ma con che modalità e basandosi su quali criteri è possibile dare una priorità alle iniziative e decidere quelle su cui lavorare per portarle a conclusione, quali fare in un secondo tempo e quali invece proprio abbandonare?
Grazie a uno strumento semplice, ma che presuppone un approccio coerente con quanto ci siamo detti fin qui, vederemo come abbiamo affrontato la questione.