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Nel numero:

230 luglio
, anno 2017

Antifragilità e l’antica arte di migliorare quando le cose peggiorano

I parte: L’antifragilità e la sua importanza per le organizzazioni

Giovanni Puliti

Giovanni Puliti ha lavorato per oltre 20 anni come consulente nel settore dell’IT e attualmente svolge la professione di Agile Coach. Nel 1996, insieme ad altri collaboratori, crea MokaByte, la prima rivista italiana web dedicata a Java. Autore di numerosi articoli pubblicate sia su MokaByte.it che su riviste del settore, ha partecipato a diversi progetti editoriali e prende parte regolarmente a conference in qualità di speaker. Dopo aver a lungo lavorato all’interno di progetti di web enterprise, come esperto di tecnologie e architetture, è passato a erogare consulenze in ambito di project management. Da diversi anni ha abbracciato le metodologie agili offrendo ad aziende e organizzazioni il suo supporto sia come coach agile che come business coach. È cofondatore di AgileReloaded, l’azienda italiana per il coaching agile.

MokaByte

Antifragilità e l’antica arte di migliorare quando le cose peggiorano

I parte: L’antifragilità e la sua importanza per le organizzazioni

Picture of Giovanni Puliti

Giovanni Puliti

  • Questo articolo parla di: Lean/Agile, Organizzazione aziendale, Teoria della complessità

Introduzione: Antifragile e organizzazioni

Iniziamo con questo mese una nuova serie dedicata al tema della antifragilità delle organizzazioni. Vedremo cosa vuol dire essere antifragili e come questo concetto possa essere implementato all’interno di un’azienda o più genericamente di un’organizzazione, in modo da creare un sistema in grado non solo di resistere, ma di migliorare sotto stress.

Nel mondo in cui ci muoviamo oggi molto interesse è rivolto nei confronti di quei modelli organizzativi e sociali che si pongono l’obiettivo di resistere meglio alle fonti di stress che li circondano: concorrenza, mercati incerti, variabilità, difficoltà nella definizione dei requisiti di progetto.

Qualche definizione e qualche fonte

“Robusto” e “fragile” — oltre all’abusato “resiliente” — sono termini su cui si concentra la maggior parte degli sforzi dei vari modelli organizzativi, strategie di riorganizzazione, piani evolutivi. Ma come si crea un’organizzazione robusta? E cosa vuol dire essere robusti invece che fragili? E la resilienza dove si colloca? E perché nasce l’esigenza di parlare di antifragilità?

Ho iniziato a occuparmi di antifragilità qualche anno fa quando lessi il libro di Nicolas Taleb Antifragile, prosperare nel disordine [1] dopo aver divorato il suo precedente lavoro Il cigno nero [2].

Emerge in modo chiaro nel lavoro di Taleb la vicinanza ai principi fondamentali delle metodologie agili e ai valori dell’Agile Manifesto, rispetto ai quali il concetto di “antifragilità” fornisce una estensione, dandone una visione forse più ampia.

Lo scopo di questa serie di articoli è quindi presentare il concetto di antifragilità anche come elemento abilitante al miglioramento continuo, probabilmente il pilastro più importante dell’agilità. Detto in altro modo parleremo di concetti alla base della filosofia Agile senza parlare espressamente di Agile.

Fragile e robusto

Se tutti abbiamo più o meno chiaro il concetto di fragile, spesso cadiamo in errore quando cerchiamo di definirne l’opposto, confondendolo con un generico robusto. Normalmente siamo infatti abituati a considerare fragile e robusto due concetti antitetici fra loro: ciò che è fragile è delicato e rischia di rompersi, viceversa ciò che è robusto e forte è qualcosa che è fatto per resistere e non rompersi.

In realtà questa assunzione è errata, sia perché i due concetti non sono antitetici in senso stretto, sia perché ciò che robusto può essere fragile se si cambia prospettiva.

 

Robusto non è l’opposto di fragile

Per prima cosa vediamo come mai non è corretto contrapporre i concetti di fragile e robusto. Per fare questo ci possiamo ispirare a un esempio tratto liberamente dal libro di Taleb, esempio che qui riformuleremo utilizzando una storia, ispirata alla nota serie TV Breaking Bad. Chi ha visto questo serial, si ricorderà che a un certo punto della sua vita il protagonista, Walter White, decide di dare una svolta pesante alla sua vita, iniziando la produzione di metanfetamine per fare molti soldi… non sveliamo altro per chi non avesse ancora visto la serie, e nel caso consigliamo di correre ai ripari immediatamente.

Handle with care

Il nostro protagonista decide quindi di attrezzarsi con tutto il materiale necessario a mettere in piedi un laboratorio. Da qui in poi ci discosteremo dalla narrazione del copione televisivo, inventando una storia leggermente differente a supporto della nostra serie di articoli.

La prima cosa che decide di fare è di comprare tutta la “vetreria” ossia la strumentazione fatta di distillatori, becher, beute e cilindri graduati di vetro e di spedirla presso il suo laboratorio segreto. Trattandosi di materiale molto delicato, sulla scatola dell’imballaggio, Walter appone il ben noto adesivo “Fragile” (figura 1).

Figura 1 – Quando vediamo questa immagine su un pacco, sappiamo che dobbiamo trattare con molta attenzione la scatola, anche se non è corredata della parola “fragile”.
Figura 1 – Quando vediamo questa immagine su un pacco, sappiamo che dobbiamo trattare con molta attenzione la scatola, anche se non è corredata della parola “fragile”.

 

Questo segnale ha un significato compreso dalle persone di tutto il mondo: “attenzione il contenuto è fragile e deve essere maneggiato con cura”.

Più precisamente possiamo dire che il significato di questi simboli consiste non tanto nell’informare del contenuto della scatola, ma piuttosto di influenzare il comportamento di chi la maneggia per non arrecare danno al contenuto. Se maneggi con molta attenzione una scatola con quel simbolo, il contenuto riceve un beneficio.

Materiale resistente

Proseguendo la storia, Walter si trova poi a dover spedire la parte dell’attrezzatura fatta di grossi cilindri inox, tubi di acciaio e altro materiale “hard and heavy”. Sono oggetti che a differenza di prima non sono fragili, anzi sono esattamente l’opposto.

Riprendendo l’esempio di prima, quale tipo di adesivo dovremmo apporre sulla scatola? Vale a dire, quale comportamento dovremmo richiedere affinché il contenuto ne tragga beneficio? Per un oggetto fragile, la scritta è “Maneggiare con cura”; e allora, dando per scontato che robusto sia l’opposto di fragile, cosa dovremmo scriverci sopra? La logica della negazione ci suggerirebbe un “agitare con forza”. Ma il buon senso ci suggerisce che scuotere un cilindro di acciaio non porta ad esso alcun giovamento… e infatti nessuno mette mai un’indicazione del genere sulla scatola. Se ci fosse, la troveremmo quantomeno bizzarra.

Fragile e robusto: non esattamente opposti

Quindi un oggetto fragile “trae beneficio” dall’essere maneggiato con cura. Ad essere precisi — e come vedremo più avanti — “trae beneficio” non è proprio corretta come espressione; diciamo che un oggetto fragile, se maneggiato con la dovuta attenzione, non subisce danni e non si rompe; quindi, se tutto va bene, al massimo resta come prima.

Un oggetto robusto invece è del tutto indifferente a come viene trattato, maneggiato, percosso.

Quindi, da un punto di vista strettamente logico, robusto e fragile non sono due concetti perfettamente antitetici. Ma non è finita qui.

 

Robusto non è abbastanza

Se guardiamo l’immagine di figura 2, possiamo certamente pensare che si tratti di una costruzione robusta, stabile, forte; una casa in legno fatta per accogliere delle persone e per resistere alle intemperie.

Figura 2 – Una “robusta” casa in legno, anche se non è terminata, ci trasmette subito l’idea di solidità e protezione.
Figura 2 – Una “robusta” casa in legno, anche se non è terminata, ci trasmette subito l’idea di solidità e protezione.

 

Se però guardiamo le immagini delle figura 3 e 4, ci rendiamo conto che forse, con il senno di poi, robusto non è esattamente il termine che useremmo…

Figura 3 – Quello che pensavamo robusto in realtà diventa fragile se sottoposto a forze che superano un certo limite.
Figura 3 – Quello che pensavamo robusto in realtà diventa fragile se sottoposto a forze che superano un certo limite.

 

Ci sono poi elementi ulteriori che entrano nella nostra definizione di “robusto”: ciò che oggi effettivamente lo è, potrebbe non esserlo più con il passare del tempo.

Figura 4 – La robustezza è anche una caratteristica legata al tempo con il quale la si misura.
Figura 4 – La robustezza è anche una caratteristica legata al tempo con il quale la si misura.

Robustezza in prospettiva

In genere, in casi come questi, ci affrettiamo a correggere aggiungendo “era una casa robusta, ma non abbastanza per resistere all’evento incredibile che si è verificato”; oppure, nel secondo caso, diremmo “un tempo era robusta”.

Se la casa fosse stata in muratura potremmo arrivare alle stesse conclusioni cambiando la scala temporale o il tipo di perturbazione a cui è stata sottoposta, come purtroppo ben sanno nei paesi colpiti dal terremoto…

Quindi possiamo dire che un sistema è robusto in funzione della scala temporale che si vuole prendere in esame o del tipo di stress a cui è sottoposto. La scrivania su cui mi sto appoggiando in questo momento è robusta tanto da sopportare il mio PC e altri oggetti presenti. Se vi salissi sopra a ballare in preda a un raptus di creatività scrittoria, probabilmente la scrivania reggerebbe. Ma se poi invitassi altre persone a ballare con me per gioire dell’interesse per gli argomenti descritti in queste pagine… di sicuro a un certo punto la scrivania si romperebbe.

Eppure pensavamo che fosse robusta. Quindi robusto non è un termine assoluto ma è funzione del tipo di stress cui un oggetto è sottoposto; ogni sistema che valutiamo robusto può quindi, in un attimo, diventare fragile.

Spostando quindi la nostra attenzione ai modelli organizzativi e sociali che si pongono l’obiettivo di resistere meglio alle fonti di stress che le circondano, la robustezza non è quello che fa per noi.

 

Dalla resilienza all’antifragilità

Qualche lettore starà già pensando che una buona alternativa potrebbe essere rappresentata dal concetto di resilienza che in questo periodo viene spesso evocato in vari ambiti disciplinari.

Nella fisica dei materiali, la resilienza è definita come la “capacità di un materiale di assorbire un urto senza rompersi”; in realtà a noi interessa maggiormente il significato che assume questo termine in psicologia dove la resilienza è “la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà”.

Interessante anche la definizione di resilienza organizzativa che è la capacità di anticipare, avere prontezza nel rispondere e adattarsi al cambiamento incrementale e a interruzioni improvvise, per sopravvivere e prosperare. Detto in estrema sintesi ciò che è resiliente resiste alle perturbazioni. supera la difficoltà, ma rimane sostanzialmente identico a se stesso.

Antifragile: un ulteriore passo in avanti

Abbiamo visto quindi che cosa intendiamo per fragile, robusto e resiliente. Ma a noi interessano un sistema o un’organizzazione che non solo non siano danneggiati dalle forme di perturbazione e stress esterne, ma che addirittura migliorino. E in tal caso, robustezza e resilienza non sono sufficienti.

Nel primo caso il sistema è in grado di sopportare uno stress, se questo non supera un certo limite di intensità e/o di tempo; nel secondo caso, il sistema è in grado di superare lo stress e tornare come prima.

Però noi stiamo cercando qualcosa che sappia addirittura avvantaggiarsi dei momenti di difficoltà, dell’incertezza, delle perturbazioni non solo per resistere, ma per migliorare. Stiamo quindi cercando ciò che Taleb definisce come “antifragile”.

 

Fragilità, robustezza, resilienza: un caso

Può essere utile a questo punto fornire un esempio per capire cosa significa fragile, robusto e resiliente quando si parla di sviluppo di progetti IT. Pensiamo per esempio al caso in cui due attori A (cliente) e B (fornitore) si accordino per la realizzazione di un determinato prodotto per A.

I due attori hanno già collaborato in passato, si conoscono da diverso tempo; vogliamo pensare al caso peggiore, sono amici o addirittura parenti. Dopo qualche scambio di informazioni i due iniziano a lavorare con un accordo informale, poco dettagliato, e poco vincolante. In fondo sono sicuri del fatto che hanno sempre lavorato bene insieme: anche in questo caso troveranno un modo per collaborare. Infatti inizialmente le cose vanno bene e il progetto va secondo i piani: B riesce a risolvere le richieste di A senza particolari sforzi. A è soddisfatto.

Perturbazioni e fragilità

Poi a un certo punto, con l’aumentare della complessità del lavoro, il progetto inizia a mostrare alcune criticità; entrambi si rendono conto che forse non è come le altre volte.

A inizia a comprendere che quello che B sta realizzando non è esattamente ciò che gli serve e si aspetta che B prenda le dovute contromisure per farsi carico delle variazioni. B invece capisce che A sta chiedendo un extra lavoro — sia in termini di tempo che di investimenti — che non è interessato a fare: gli investimenti non sarebbero poi rivendibili su altri lavori, si tratta quindi di costi puri non ripagabili. Le cose iniziano quindi a peggiorare, fino a che l’accordo informale si rompe, perché non è più vantaggioso per nessuno dei due.

In questo caso la fragilità del contratto è dovuta a un “debole” accordo preliminare su quello che deve essere fatto e sul come. Quella che inizialmente era una collaborazione che dava dei benefici a entrambi, poi si è trasformata in un lavoro in cui uno dei due ci rimette… e l’altro pure, perché spende per avere qualcosa che non gli serve.

Irrobustimento e pianificazione

Dopo questa cattiva esperienza, A cerca una nuova forma di collaborazione con un altro fornitore C. Questa volta A decide di stringere un patto molto più robusto rispetto a quello fatto con B, quando alla minima forma di pressione tutto si è rotto; era un accordo evidentemente fragile.

I due quindi impiegano tempo ed energie per chiarire tutti i dettagli della collaborazione, per concordare l’effort, per stabilire chi farà cosa, chi pagherà gli investimenti, gli eventuali flussi di denaro intermedi alla realizzazione del progetto e altro ancora. Adesso A e C sono convinti di aver creato un accordo forte a prova di ogni possibile stress.

Come visto in precedenza, però, la differenza fra robusto e fragile è funzione del tipo di stress o anche semplicemente della scala temporale con la quale guardiamo le cose. In questa storia, C ha iniziato a subire pressioni dal mercato che lo hanno messo in difficoltà: per esempio altri concorrenti hanno iniziato a erodere quote di mercato, altri progetti con altri clienti hanno iniziato ad andare male. Anche A non è molto contento di come stanno andando le cose: il mondo sta cambiando e quello che era il piano dei lavori, inizialmente pattuito e approvato da entrambi, inizia a non essere più attuale; probabilmente servirebbe una radicale modifica dello scope di progetto, ma è difficile perché il famoso accordo “robusto” non prevede ripensamenti: sarebbero troppo costosi per entrambi. Quello che sembrava un accordo robusto diventa in poco tempo fragile sotto la pressione di fattori esterni.

Adattamenti resilienti

In questa storia A e C riescono comunque a trovare una soluzione, individuando il modo di modificare l’accordo e portare a compimento il progetto: hanno messo in pratica un comportamento resiliente, superando le difficoltà. Ma non hanno avuto alcun beneficio interno: la prossima volta che si troveranno a dover affrontare una situazione analoga, probabilmente incontreranno gli stessi problemi.

Se A e C avessero applicato una strategia antifragile avrebbero trovato beneficio immediato nel momento di difficoltà e imparato un nuovo modo di collaborare. Anzi probabilmente sarebbero cambiati radicalmente al loro interno.

 

Conclusioni

Ma cosa avrebbero dovuto fare per essere antifragili? Negli articoli successivi, affronteremo l’argomento da differenti punti di vista: l’organizzazione interna, la collaborazione con i partner e fornitori, il processo di apprendimento, i contratti, la gestione dei progetti e molto altro ancora.

 

Giovanni Puliti

Giovanni Puliti ha lavorato per oltre 20 anni come consulente nel settore dell’IT e attualmente svolge la professione di Agile Coach. Nel 1996, insieme ad altri collaboratori, crea MokaByte, la prima rivista italiana web dedicata a Java. Autore di numerosi articoli pubblicate sia su MokaByte.it che su riviste del settore, ha partecipato a diversi progetti editoriali e prende parte regolarmente a conference in qualità di speaker. Dopo aver a lungo lavorato all’interno di progetti di web enterprise, come esperto di tecnologie e architetture, è passato a erogare consulenze in ambito di project management. Da diversi anni ha abbracciato le metodologie agili offrendo ad aziende e organizzazioni il suo supporto sia come coach agile che come business coach. È cofondatore di AgileReloaded, l’azienda italiana per il coaching agile.

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MokaByte è una rivista online nata nel 1996, dedicata alla comunità degli sviluppatori java.
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