La nostra serie di appunti sullo User Experience design si conclude con un articolo particolare, che non si concentra solo su aspetti ‘tecnici’ della professione, ma fornisce una serie di consigli, indicazioni e riferimenti che possono risultare utili a tutti coloro che intendono intraprendere la professione di UX designer e desiderano affrontare un percorso di formazione sensato.
Introduzione
Abbiamo visto nei due articoli precedenti una descrizione di cosa sia effettivamente lo UX design e di quanti ruoli diversi si possano muovere nel suo ampio panorama, che richiede una professionalità ampia e multiforme, passibile di particolari specializzazioni.
Oggi investiremo il nostro tempo nel presentare una serie di indicazioni e di riferimenti (con i link a siti e risorse varie) su percorsi effettivi che possano portare a intraprendere una professione nuova nel campo dell’User Experience design. Ma anzitutto, vi ricordate cosa fa un User Experience Designer? Be’, cominciate a guardarvi un video in due parti di ILoveUXDesign (prima parte, seconda parte). Proprio quello che stavate immaginando: “fa un sacco di cose” e lo fa “a tutti i ilivelli”.
Se immaginate uno User Experience Designer come l’evoluzione di un grafico che crea metalavorati o come un’appendice “psicotica” del vostro processo di sviluppo che si diverte a essere un generatore casuale di requisiti, siete sulla strada sbagliata puntata verso la direzione corretta.
Perche’ serve una figura come lo UXer
È assolutamente usuale che uno UXer, specialmente nelle grandi realtà dove regna un contesto di lavoro a “waterfall”, rischi di essere inquadrato effettivamente in quelle attività, ma deve essere chiaro che il ruolo, almeno in teoria, è estremamente più complesso e articolato.
Un wireframe di progetto è uno dei classici deliverable di un Interaction Designer, si tratta di uno scheletro (blueprint) dell’interfaccia che ha lo scopo di comunicare agli implementatori come sarà organizzata concettualmente la struttura del prodotto senza dare indicazioni sulla resa grafica, che a questo livello di analisi potrebbe risultare fuorviante.
Figura 1 – Un wireframe di progetto.
Il modo in cui le informazioni sono organizzate spazialmente sono organizzate ha un grosso impatto sulla user experience del prodotto finale: ne può risentire la comprensibilità, la findability, l’appeal, l’utilità.
Da piccole variazioni possono derivare enormi oscillazioni di percezione dal positivo al negativo e viceversa, e una piccola singola decisione può far cambiare totalmente la percezione che l’utente ha del nostro prodotto, con conseguenze disastrose se non accuratamente pianificate.
Figura 2 – A sinistra il “Check In” e, a destra, “Venue Detail”di Foursquare su app Android.
Foursquare ha dovuto molto del suo successo a una componente fortissima di gamification: la rivalità nel divenire Mayor di una Venue ha portato a una espansione virale del servizio. Ultimamente FourSquare ha deciso di monetizzare il proprio modello di business, spostandosi da un modello gaming a uno più appetibile per i gestori delle venue. Ciò ha comportato una conseguenza: in tutto il caso d’uso di check in è stato totalmente eliminata l’informazione su chi sia il Mayor della Venue. È stata creata una scheda di dettaglio della venue, differente da quella visualizzata nella conferma del check in, praticamente inaccessibile e introvabile. L’informazione sul mayor è stata relegata ben sotto la fold e non evidenziata. Una semplice singola decisione rende la percezione dell’obbiettivo dell’app estremamente diversa: cercando di cambiare target di utenza, si è consapevolmente deciso di abbandonare la propria vecchia base di utenti piuttosto che allargarla.
Dall’intuizione alla professionalità
Un wireframe è quindi il risultato e la sintetizzazione di un parte del lavoro di un User Experience Designer, veicola una guideline ed è estremamente importante, ai fini dell’obbiettivo che sia curato e non ambiguo: ma come è stato creato questo deliverable?
Entriamo nel focus della questione: se ho creato questo wireframe basandomi solo sulle mie esperienze pregresse o sul mio senso “estetico”, non ho fatto un lavoro qualitativamente migliore del mio visual designer (il “grafico”…) di fiducia. Magari sono anche giunto alle destinazione corretta, ma ho intrapreso una strada sbagliata (e pericolosa).
Chiaramente un professionista non è costretto costantemente a giustificare le proprie scelte di progetto, ma deve essere scontato che ogni singola decisione deve essere avvallata da una robusta motivazione che deve essere adeguatamente articolata quando richiesta.
Quello che ritengo essere la strada corretta risiede nel progettare avendo una conoscenza estesa del dominio, dei casi d’uso, dei clienti. Allora sì che, avendo tutte le informazioni necessarie a prendere una decisione, questa decisione non potrà che essere univoca e non arbitraria. Questa è forse la parte che più manca nel panorama lavorativo attuale.
Il ruolo di un Experience Designer ha, a dispetto di quello che si potrebbe pensare, moltissimi punti in comune con quelle figure sovversive e rivoluzionarie che sono i coach Agile e Lean:
- scardinare le gerarchie per lavorare in maniera trasversale ai ruoli;
- scardinare le divisioni per creare valore dalla diversità delle persone;
- cercare di definire una vision comune e condivisibile e fare davvero in modo che tutti la condividano;
- rendere il processo trasparente per chi “gioca” e comprensibile (e allettante) a chi “guarda”;
- rendere chiari gli obiettivi e le motivazioni per tutti;
- avere iterazioni veloci e comunicazione con tutti gli attori;
- migliorarsi costantemente e avere rispetto per le persone;
Non a caso, le metodologie agili e la filosofia lean danno il meglio di sè quando sono implementate per lavorare a braccetto.
Come e perche’
Se l’Agile sposta i pesi del processo per ottenere controllo (il “come”), la User Research si occupa di aggiustare questi pesi per creare l’obbiettivo (il “perche'”).
Entrambi i metodi si fondano su una organizzazione fluida che coinvolge tutti gli attori del processo per ottenere, soprattutto con il cliente, feedback costanti e celeri su quanto si sta producendo, onde evitare di percorrere troppa strada nella direzione sbagliata.
Con questa visione “pangalattica” della professione è fondamentale costruirsi un bouquet di competenze il più ampio e variegato possibile, dal tecnico, al relazionale per evitare di rimanere imbrigliati in una “lente professionale”.
Vedere le cose esclusivamente attraverso gli “occhiali” di una particolare professione è forse la cosa peggiore che può accadere a un professionista, perche’ vuol dire fallire proprio nella particolare competenza che ci rende differenti dagli altri e per la quale i clienti sono disposti a pagarci.
Chi si rivolge a noi si aspetta soluzioni per un problema che forse neanche riesce a formulare con chiarezza o che addirittura totalmente ignora. Diventa quindi fondamentale avere un’impostazione indagativa / inquisitoria in grado di sondare ruoli e persone utilizzando il loro stesso lingo e vocabolario, dando importanza ai dettagli, ai bisogni e tutto quell’inespresso che deve essere fatto affiorare attraverso strumenti, discussioni e “giochi”, il tutto condito da una estenuante dose di politica aziendale.
Competenze ed esperienza
Come per tutti i ruoli trasversali, anche gli UX designer sono visti dal management quasi come una minaccia o, più probabilmente, come una seccatura. Per poter essere identificati come un plus piuttosto che un vincolo, abbiamo bisogno di alleati che possono essere conquistati esclusivamente con competenze ed esperienza.
È essenziale guadagnarsi il rispetto dei pari: se progettiamo senza avere riguardo per chi implementerà le nostre soluzioni perche’ non conosciamo le tecnologie del dominio, saremo sempre visti come “nemici”; se proponiamo soluzioni che vanno costantemente contro gli obiettivi di business del management, saremo considerati come un peso.
È essenziale quindi costruirsi una base solida con la quale avere le “armi” sufficienti a difendere le proprie posizioni ed essere persuasivi all’interno della propria organizzazione aziendale se stiamo lavorando o se ci lavoreremo.
È necessaria tanta passione e tanto impegno: il mondo delle interfacce digitali è in costante evoluzione, molto più del web e, fortunatamente, meno delle tecnologie di implementazione. Ogni ora viene pubblicata una app su un qualsiasi store con un pattern di interazione innovativo che potrebbe, nell’arco di qualche mese, diventare uno standard de facto. Parte di una buona esperienza è costituita dall’usabilità e dalla utilità: entrambi questi aspetti si possono ottenere con una familiarità di interfaccia, facendo leva su interazioni che gli utenti già conoscono e apprezzano.
Bisogna quindi studiare per avere una buona base teorica, applicarsi per consolidare le proprie esperienze sui problemi (quindi avere la volontà di andare a fondo dei problemi anche quando il task esplicitamente non lo richiede) e impegnarsi per rimanere costantemente aggiornati.
Idee di percorsi per categorie di professionisti
Forniamo nei paragrafi seguenti alcuni spunti di percorsi che possono essere intrapresi da professionisti (o studenti) di tipologia diversa e che sono volti ad acquisire le conoscenze e le capacità necessarie a diventare un buon UX designer. È chiaro che, trattandosi di un percorso, i tempi non sono immediati, e anche le modalità non saranno identiche per tutti. Ho però voluto portare questi casi di esempio proprio per dare un aggancio concreto e una serie di risposte plausibili all’interrogativo “Sì, va bene. Ma cosa devo fare per diventare un UX designer?”
Studenti e professioniti al primo lavoro
La formazione scolastica è importante, ma non sottovalutate ne’ l’esperienza lavorativa in un settore attiguo che la formazione specialistica.
I corsi di laurea di Interaction Design o User Experience stanno avendo un enorme boom e la maggior parte delle aziende attinge direttamente da questi corsi per avere “risorse”, ma potete approcciarvi alla professione partendo da un qualsiasi punto formativo e non sarete mai svantaggiati, ma troverete nella vostra diversità un punto di forza.
Se provenite da una formazione di design “classico”, ad esempio, potrebbero completare la vostra figura percorsi come il percorso di Product Interaction Design dell’Università della Repubblica di San Marino, o quello in Design della comunicazione della Università IUAV di Venezia.
Se invece avete un background più tecnico, quale quello fornito da scienze dell’informazione, ingegneria dell’informazione, dalle facoltà legate a Internet e alle nuove tecnologie, i corsi appena citati possono darvi sicuramente una base solida che possa avvantaggiare la feasability dei vostri progetti.
Le facoltà umanistiche si occupano da sempre di ergonomia cognitiva, psicologia, etnografia e permettono di aprire scorci sugli aspetti più “empatici” della ricerca.
Marketing e Brand saranno componenti fondamentali se dovete curare gli aspetti comunicativi con gli utenti, per scegliere quale messaggio convogliare, e come differenziarsi dagli altri competitors.
Ricordatevi sempre che il vostro percorso scolastico non determina il vostro essere “risorse”; questo dipende, almeno in parte, dalla rosa che di scelte che prenderete a valle della vostra prima formazione. Il vostro scopo e transitare dallo status di “risorse” a “capitale umano“, ovvero persone sul quale ha un senso investire per ottenere un ritorno di investimento superiore alla spesa.
Lo so che questo è un po’ fantascienza, ma lasciatemi un attimo sognare: se potete permettervi il lusso di indirizzarvi su un tipo di lavoro piuttosto che su un altro, scegliete sempre il lavoro che, partendo dalle vostre competenze core, vi permetta di operare sui settori attigui; assicuratevi di avere sempre la potenzialità di poter espandere il vostro dominio di conoscenza: siete in una fase di pura esplorazione, la diversità è un vantaggio poiche’ quando dovrete effettivamente focalizzarvi su un obiettivo preciso, potrete portarvi dietro tutta l’ampiezza che vi siete guadagnati nel tempo.
Non chiudetevi troppo presto sulla professione che avete scelto: se avete studiato A, specializzatevi in B perche’ rischiate di investire tempo e energie in conoscenze che avrete possibilità di recuperare direttamente con l’esperienza sul campo. Delimitate un recinto di competenze e muovetevi all’interno di questi confini senza timore, muovendovi di casella attigua in casella attigua, chiaramente senza saltare troppo in giro. Facendo riferimento al grafico di figura 3, che tiene presenti profondità, ampiezza e versatilità, il vostro scopo è crearvi un profilo di competenze a T che assomigli molto di più a una gaussiana.
Figura 3 – La versatilità delle competenze in relazione all’ampiezza e alla profondità delle stesse.
Questo vi permetterà di valutare con occhio più critico il vostro primo lavoro, per capire cosa effettivamente potete imparare rispetto a quello che offrite voi.
Le agenzie che in italia si occupano di pura UX sono pochine, ma la possibilità di fare UX informale e al di fuori del titolo e del ruolo è davvero alta: guardatevi intorno senza farvi lusingare dal blasone o dalle descrizioni “dissonanti” che spesso celano lavori sottopagati, noiosi e senza prospettive.
Lasciatevi ammaliare dalle descrizioni “fancy”, atipiche e brillanti: voi state cercando di cambiare il mondo (possono convincervi del contrario, ma farete delle scelte che, potenzialmente, potrebbero cambiare le abitudini di milioni di utenti) e quindi è naturale che se trovate un lavoro “fancy” dove il cambiamento non spaventa, ma è benzina, imparerete sicuramente tanto.
Lavoratori e professionisti in riqualificazione
Se siete già inseriti nel mondo del lavoro e avete voglia di specializzarvi o riciclarvi compiendo un re-skill, sappiate che non è mai troppo tardi e che nulla è impossibile. Personalmente questo è il percorso che ho intrapreso io. Innanzitutto ci sono due cose da tenere in conto:
- bisogna fare All In;
- riconvertirsi non è un’operazione che si compie dall’oggi al domani.
Il vostro lavoro non vi soddisfa oppure vi sentite sfruttati o peggio ancora “demansionati” per le vostre potenzialità? Anche se volete semplicemente migliorarvi, in realtà la motivazione principe che vi spinge a tentare un cambio di direzione lavorativa non è così importante come pensate. È importante invece l’attitudine che ci mettete, e che se decidete di mettervi in gioco lo facciate mettendo in campo tutte le risorse che avete disponibili.
Prendetevi un anno di tempo nel quale dedicarvi a voi stessi, non meno. In questo anno sospenderete tutte le ostilità sul posto di lavoro e non ne innescherete di nuove, perche’ avrete bisogno di tutte le vostre energie mentali per prepararvi. Preparatevi ad un piano di battaglia che preveda 3 fasi ripetute in diversi cicli, un po’ come si trattasse di una dieta Dukan: preparsi, studiare e seminare, come mostrato in figura 4.
Figura 4 – L’iterazione delle tre fasi: prepararsi, studiare, seminare.
Preparatevi
Prepararsi significa anche leggere moltissimo e nello scorso articolo ho incluso una buona “biblioteca” per iniziare. Ma ci si prepara soprattutto imparando a elaborare interrogativi e risposte che nascono dall’osservazione del mondo che ci circonda, cominciando ad allenarsi a riconoscere le cose che non vanno nei servizi, nelle interfacce, nelle applicazioni e nella segnaletica urbana.
Siamo circondati da informazioni: se vi guardate attorno scoprirete quanta incongruenza e quanta ambiguità trasudi dalle interfacce fisiche o digitali che ci circondano (figura 5). Abbiate il coraggio di inorridire quando le cose non hanno senso e fate piccoli esercizi mentali per capire se, una volta isolato il problema, riuscite a proporre una soluzione. Ragionate in termini che tutto sia mediocre e se aveste il potere di prendere in mano quell’oggetto, quel progetto, quel software, sareste in grado di suggerire che cambiamenti fare e come?
Figura 5 – Coerenza e uniformità. Un pannello direzionale reca un determinato set di informazioni e una particolare codifica: legenda fatta di icone, senza l’indicazione scritta del piano a cui si trova quel reparto. A pochi metri di distanza, la stessa tipologia di pannello ha delle codifiche differenti: nessuna legenda, ma indicazione scritta del piano. Ospedale di Alba (CN).
Studiate
È importante andare oltre e studiare gli argomenti di cui volete diventare competenti leggendo articoli, libri, blog, feed. Dovete conoscere i nomi specifici, le persone di riferimento, i casi d’uso. Costruitevi dei modelli, cercate di fare reverse engineering delle scelte di marketing che le società compiono e cercate di capire cosa effettivamente le hanno innescate.
In quest’anno di formazione non vi è permesso di avere quella spiacevole sensazione di non essere al passo con i tempi. Dedicate almeno un’oretta al giorno a fare una rassegna stampa di alcuni articoli o community specifiche, sfruttando il grande potere dei social network. Di seguito riportiamo alcuni spunti:
- i gruppi di Linkedin: trovate un gruppo attivo e partecipate alle discussioni;
- persone interessanti su Twitter: lo swarm learning è molto efficace e si basa sul presupposto che persone simili sono interessate da simili tematiche;
- i trend i Quora;
- partecipazione nel tempo libero a ux.Stackexchange.
Ultreriori risorse utili, giusto per iniziare, sono quelle seguenti:
- UseIt
- A List Apart
- Boxes and Arrows: The design behind the design
- Daily Infographic | A New Infographic Every Day | Data Visualization, Information Design and Infographics
- User Experience Deliverables
- UX Design & SEO: Articoli su User Experience Design (UX design), posizionamento sui motori di ricerca (SEO) e web Marketing
- UX Myths
- Smashing Magazine
- Wireframes Magazine
- Donna di servizio (e service design) —
- User Experience StackExchange
- Good is
- Usabilla Discover
- Publications – Whitney Interactive Design
- Fast Company Design
- UserPathways
Seminate
È importante “seminare” regolarmente per assicurarsi un futuro alla fine del viaggio e in vista di mini “raccolti” di soddisfazioni che possono incentivarvi e motivarvi durante l’anno, quando la vostra motivazione potrebbe avere dei cali. Iscrivetevi a conferenze, cominciate a far parte di community, a costruirvi un network di professionisti che possono introdurvi a eventi o circoli di cui ignoravate l’esistenza. L’italia è sempre stata molto attiva sul fronte conferenziale:
- Frontiers fo Interaction
- Better Software
- Agile Day
- From the Front
- IA Summit
- UX Conference (Lugano)
- Agile UX (Firenze)
Sono solo alcune delle conferenze generaliste che si occupano anche di UX. Se siete tecnici, sapete che ormai in quasi tutti gli eventi tecnici c’è una track dedicata all’UX, quindi non risparmiatevi, soprattutto se questi eventi sono gratuiti.
Alternando queste tre fasi, le prime soddisfazioni cominceranno ad arrivare e più andrete avanti, più avrete fame di imparare; ma la formazione personale pone dei limiti: manca della parte pratica sul campo con problematiche reali e con il confronto di altri professionisti, non prevede un feedback diretto e si rischia quindi di imparare metodologie sbagliate e prendere cattive abitudini che non si riescono poi a correggere, dissociandosi dall’obiettività.
Formazione specialistica
Per chi sa o ha già lavorato, una formazione specialistica adeguata è sicuramente quella di frequentare un master. Non lo consiglio a coloro i quali sono in cerca del primo lavoro, perche’ ritengo che una esperienza lavorativa sia necessaria per apprezzare appieno i contenuti di un corso specialistico. Dal momento che un Master richiede impegno e sforzo economico, non solo è un passo da ponderare, ma anche un’attività che bisogna essere in grado di apprezzzare nella sua completezza.
Sfatiamo il mito che chi frequenta un Master necessariamente lo fa perchè vuole cambiare lavoro: Un Master è un investimento che una persona fa perchè vuole aumentare il proprio valore sia professionale che contrattuale. Verosimilmente chi intraprende questa strada lo fa per cercare una occupazione migliore, ma è anche possibile che cerchi una posizione migliore nella realtà in cui è già inserito.
I benefici di un Master sono sicuramente la possibilità di sviluppare conoscenze e competenze in maniera veloce e controllata rispetto ad un contesto lavorativo, la possibilità di crearsi una rete di conoscenze importanti e non di meno eventuali sbocchi lavorativi con le aziende che sponsorizzano questo tipo di iniziative.
Di seguito riportiamo qualcuno di questi esempi di formazione specialistica avanzata.
Università La Sapienza
Iniziamo con il Master in User Experience dell’Università La Sapienza di Roma. Ci sono particolarmente affezionato perche’ è quello che ho frequentato io stesso. A differenza delle altre offerte formative, questo ha un taglio non tecnico e molto incentrato sulla User Research, secondo un principio che l’Esperienza non per forza deve essere un prodotto digitale, ma piuttosto un servizio olistico. Assolutamente un must se volete orientarvi verso il Service Design o l’Experience Design.
Domus Academy
La Domus Academy, scuola post laurea a Milano, offre ben due master course, uno incentrato su Interaction Design e uno su Service ed Experience Design. Sono rinomati per essere “efficaci” riguardo al placement post corso.
IED – Sede di Roma
L’Istituto Europeo di Design, nella sede di Roma, offre un Master di Architettura dell’Informazione con un programma molto interessante se avete un animo orientato verso il visual design
Università di Venezia
L’Università IUAV di Venezia offre un Master in Interaction Design, ma offre un corso di Laurea Magistrale in design della comunicazione che racchiude corsi di User Experience e Interaction Design.
Università di Firenze
Se siete invece dalle parti di Firenze c’è un Master ormai consolidato: Master in Multimedia Content Design che ha una formazione molto completa su tutto il panorama digitale. Le persone che conosco direttamente mi hanno riferito di essere state molto soddisfatte e attualmente sono impiegate nel settore.
Tempo e soldi
Dal momento che nulla nella vita è semplice, una volta che avete deciso in che maniera pianificare il vostro anno di formazione restano comunque due grandi incognite su come portare avanti la vostra strategia, ossia come ricavare il tempo necessario a frequentare un master e i soldi che servono a sostenerlo.
Partiamo dal presupposto che il vostro datore di lavoro sia accondiscendente e che abbia compreso il valore di tutto quello che vi accingete a fare. La strada più semplice è, se il master è un “master per lavoratori” con orari agevolati, quello di concordare con il vostro datore una sorta di permesso ore che potrà essere recuperato in via informale o durante la settimana o durante i periodi di ferie.
Questa è sicuramente la strada più ragionevole da intraprendere, dopotutto sarete assenti regolarmente e quindi sarà più semplice per entrambe le parti pianificare le attività e non dovrebbe passare l’idea che state “rubando” fatturato all’azienda.
Se il vostro datore di lavoro è invece “non collaborativo” dovete dare un’occhiata al contratto con cui siete stati assunti: se avete un contratto atipico, determinato, progetto o fuori dai contratti nazionali del lavoro non avete margine per muovervi. Ma se avete un contratto più “stabile” e “tipico”, tutti i contratti collettivi nazionali prevedono la formazione del dipendente.
Diritto allo studio nei contratti CCNL
Ogni contratto CCNL ha un articolo denominato “Diritto allo Studio”, le cui condizioni sono molto simili, ma non uguali. Per completezza vi riporto l’articolo per chi ha contratti nel terziario:
Art. 96 (Diritto allo studio)
Al fine di contribuire al miglioramento culturale e professionale dei lavoratori del settore, le Aziende concederanno, nei casi e alle condizioni di cui ai successivi commi, permessi retribuiti ai lavoratori non in prova che intendono frequentare corsi di studio compresi nell’ordinamento scolastico, svolti presso istituti pubblici costituiti in base alla legge 31 dicembre 1962, n. 1859, o riconosciuti in base alla legge 19 gennaio 1942, n. 86, nonche’ corsi regolari di studio per il conseguimento del diploma di scuola secondaria superiore e per il conseguimento di diplomi universitari o di laurea.
I lavoratori potranno richiedere permessi retribuiti per un massimo di 150 ore pro capite in un triennio e nei limiti di un monte ore globale per tutti i dipendenti dell’unità produttiva che sarà determinato all’inizio di ogni triennio moltiplicando le 150 ore per un fattore pari al decimo del numero totale dei dipendenti occupati nella unità produttiva a tale data.
Le ore di permesso, da utilizzare nell’arco del triennio, sono usufruibili anche in un solo anno.
I lavoratori che potranno assentarsi contemporaneamente dall’unità produttiva per frequentare i corsi di studio non dovranno superare il due per cento della forza occupata alla data di cui al precedente comma.
Nelle Aziende che occupano da 30 a 49 dipendenti i permessi di cui al presente articolo sono comunque riconosciuti ad un solo lavoratore nel corso dell’anno.
In ogni unità produttiva e nell’ambito di questa, per ogni singolo reparto, deve essere comunque garantito lo svolgimento della normale attività. Il lavoratore che chiederà di assentarsi con permessi retribuiti ai sensi del presente articolo dovrà specificare il corso di studio al quale intende partecipare che dovrà comportare l’effettiva frequenza, anche in ore non coincidenti con l’orario di lavoro, ad un numero di ore doppio di quelle chieste come permesso retribuito.
A tal fine il lavoratore interessato dovrà presentare la domanda scritta all’azienda nei termini e con le modalità che saranno concordate con il datore di lavoro. Tali termini, di norma, non saranno inferiori al trimestre.
Qualora il numero dei richiedenti sia tale da comportare il superamento della media annua del monte ore triennale e determini comunque l’insorgere di situazioni contrastanti con le condizioni di cui al terzo comma e quinto comma del presente articolo, la direzione aziendale, d’accordo con la Rappresentanza sindacale ove esistente nell’azienda, e fermo restando quanto previsto ai precedenti terzo e quinto comma, provvederà a ridurre proporzionalmente i diritti individuali sul monte ore complessivo in base ai criteri obiettivi (quali: età, anzianità di servizio, caratteristiche dei corsi di studio) per la identificazione dei beneficiari dei permessi e della relativa misura di ore assegnabili a ciascuno.
I lavoratori dovranno fornire all’azienda un certificato di iscrizione al corso e successivamente certificati mensili di effettiva frequenza con identificazione delle ore relative.
Dei permessi di cui al secondo comma potranno altresì usufruire i lavoratori extracomunitari per la partecipazione a corsi di scolarizzazione dedicati, organizzati da istituti e/o enti pubblici, con i limiti e le modalità di cui ai commi precedenti.
È demandato alle Organizzazioni territoriali aderenti alle Organizzazioni nazionali contraenti di svolgere congiuntamente le azioni più opportune affinche’ dagli organismi competenti siano predisposti corsi di studio che, garantendo le finalità di cui al primo comma, favoriscano l’acquisizione di più elevati valori professionali e siano appropriati alle caratteristiche dell’attività commerciale.
Exit strategies
Al di là del burocratese, il sunto interessante della questione è che ogni dipendente ha diritto a 150 ore di formazione spendibili nell’arco di un triennio o anche nello stesso anno per corsi di specializzazione (lauree, master, corsi specialistici) previa la presentazione della documentazione che attesti l’iscrizione e la frequentazione. 150 ore probabilmente non vi basteranno, ma sicuramente è un buon inizio per non bruciarvi tutte le ferie maturate. Ovviamente ci sono delle condizioni per cui il datore di lavoro può decidere di negarvi questo diritto: se già un altro dipendente ne usufruisce nello stesso periodo e l’azienda ha un numero di dipendenti minore di 50, oppure se può provare che la vostra assenza provoca un calo di produttività rilevante. Anche in questo caso la diplomazia è assolutamente d’obbligo.
Se siete in completa rottura con l’azienda e non avete alcuna possibilità di dialogo, non vi resta che
- programmare adeguatamente le vostre ferie e i vostri permessi che avrete accumulato in maniera certosina durante il vostro anno di preparazione;
- chiedere una aspettativa (e questo è proprio l’asso di bastoni);
- mandare tutto al diavolo e licenziarvi, ma questo ve lo sconsiglio caldamente anche se è la prima cosa che vi suggerisce il cuore e anche se qualcuno afferma di averci guadagnato in salute…
I soldi
Ammesso e non concesso che siate riusciti a trovare il tempo per frequentare un Master, resta il venale problema del denaro. Il master in se’ non costa molto in proporzione a quello che otterrete, ma le spese di indotto (specialmente se decidete di seguirlo in una città che non è la vostra di domicilio) sono micidiali.
Posso garantirvi che abitando a Bologna e frequentando a Roma, le spese di cibo, treno e pernottamento hanno raggiunto quasi il 200% della spesa del master in se’, senza contare il sacrificio di tutti i week end per tutta la durata del corso.
Dubitando seriamente che l’azienda voglia contribuire, la prima possibilità che avete da esplorare sono i voucher e le borse di studio.
A livello nazionale esiste una rete interregionale che si occupa di finanziare formazione attraverso una serie di bandi di concorso: ogni regione ha le proprie modalità di iscrizione e un plafond diverso di finanziamento; generalmente la formula è che vengono finanziate tutte le persone aventi diritto fino al termine dei fondi. Il numero dei “vincitori” è quindi assai variabile, di anno in anno.
Dal momento che le date sono differenti per regione e regione, fate domanda il prima possibile, perche’ rischiate di vincere il bando, ma a cassa vuota o, a causa dei tempi di approvazione molto lunghi, di non avere il nulla osta in tempo per l’inizio dei vostri corsi. Sul sito Alta Formazione in Rete, trovate il catalogo interregionale dei corsi di alta formazione.
Non dimenticate poi che sul sito della Previdenza Sociale si trova un altro bando di concorso aperto per i soci o parenti INPDAP.
Oltre a queste iniziative, ne esitono molte a livello territoriale (regionale e anche provinciale) sotto forma di programmi di finanziamento, ad esempio per returners, ossia tutti quei giovani che magari si spostano per studiare e che potenzialmente potrebbero tornare nella loro regione per aprire la propria attività, o sotto forma di incentivi per giovani che vogliano effettuare un percorso di specializzazione. Di seguito ne elenchiamo alcuni:
- CreditExpress Master: la Unicredit offre finanziamenti da 1000 a 15000 euro per l’iscrizione a Master universitari.
- Progetto Giovani Sì della Regione Toscana: prestiti d’onore anche ai giovani in possesso di laurea triennale e per corsi post-laurea di I livello.
- Voucher alta formazione – anno 2012: intervento istituito dalla Regione Toscana per finanziamento di master e dottorati di ricerca in Italia e all’estero.
- Master and back: finanziamento della Regione Sardegna.
- Diritto al futuro: fondo del Ministero della Gioventù che consente ai giovani meritevoli di ottenere finanziamenti per intraprendere corsi di specializzazione post-laurea.
- Provincia di Firenze: pagina delle opportunità per la formazione sul sito della Provincia di Firenze.
- Bando voucher formativi post laureaper i residenti in provincia di Siena: incentivi alla formazione e all’aggiornamento professionale nell’ambito del Programma operativo regionale della Provincia di Siena.
- Voucher master: a chi rivolgersi dal sito di Lavoro Formazione.
- Borse di studio Master dal sito di Lavoro Formazione.
- Borsa di studio Regione Puglia: bando Ritorno al Futuro finalizzato a sostenere i giovani laureati disoccupati ed inoccupati per attività di specializzazione (master) in Italia ed all’estero.
Dulcis in fundo, se i vostri piani malefici avranno avuto seguito, non dimenticatevi che, se avete una fascia di reddito ridotta, con una certificazione ISEEE (Attestazione dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente) riuscirete ad avere una riduzione della retta che dovete pagare alle rispettive università, a patto che l’attestato si riferisca all’anno solare precedente all’iscrizione.
Ovviamente la spesa di formazione è detraibile per l’anno in cui viene svolta, semplicemente con la dichiarazione dei redditi, presentando i cedolini comprovanti il pagamento delle rette.
Conclusioni
Ho voluto fare un articolo conclusivo che, pur riprendendo certi temi tecnici legati alla UX, fosse qualcosa di diverso dal tipo di articolo che si trova sulle webzine o sui blog. Mi interessava fornirvi consigli pratici ed esperienze di prima mano sul percorso da intraprendere per diventare UX designer. Ci sarebbe ancora una marea di argomenti di cui parlare, e con questo assaggio spero almeno di avervi dato due dritte interessanti per poter partire. o magari anche la giusta spinta motivazionale per decidere di partire. Quando l’ho fatto, ero pieno di dubbi e incertezze, ma posso assicurarvi che ne è valsa la pena: non abbiate paura di pianificare il vostro domani.
Di UX design e di argomenti correlati, tornerò comunque a parlare ogni tanto su queste pagine.