In questo secondo articolo della serie sul design della User Experience, ci occupiamo di definire le numerose aree tematiche che contribuiscono a creare questa disciplina. Individueremo poi le diverse professionalità che operano nel settore, spesso sovrapponendosi e scambiandosi i ruoli, suggerendo infine alcune letture dedicate alle diverse categorie.
Introduzione
Quando nello scorso articolo avevo anticipato di volervi parlare dei ruoli che gravitano intorno al campo dell’UX (User Experience), ammetto di essere stato riduttivo e forse un filo fuorviante. Sembra quasi un controsenso parlare di ruoli in un contesto nel quale ci si immagina un’unica figura mitologica capace di risolvere magicamente tutti i problemi di un business che non decolla.
Eppure affermare a qualcuno che ci si occupa di UX ha più o meno la stessa valenza di un generico “lavoro con i computer” per un informatico. La verità è che, sebbene la consapevolezza sull’argomento sia sensibilmente aumentata, esiste ancora diffusa disinfomazione e una “voluta ignoranza” sull’argomento.
Fin troppe volte ho visto clienti con un problema di business desiderosi di comprare una soluzione “one size fits all” da qualche improvvisato losco individuo che si spaccia per un esperto di UX: poi si ritrovano ad avere una soluzione del tutto insoddisfacente e giungono quindi alla conclusione che tutto questo hype sull’User Experience non sia altro che spreco di tempo e risorse.
Inutile aggiungere che questo losco individuo potrebbe essere anche la vostra web agency di fiducia o potreste essere anche voi, sperando, tuttavia, che nel caso lo siate, lo facciate in buona fede.
Questo contesto è indubbiamente un terreno fertile per ciarlatani e UX designer improvvisati, ma questa fortunata combinazione di richiesta di professionalità e maturità tecnologica del mercato, rappresenta anche un’opportunità davvero unica sia per coloro che decidono di intraprendere questo mestiere che per coloro che cercano una figura del genere.
Figura 1 – Ironicamente, il creatore automatico di definizioni relative alle professioni UX riassume perfettamente l’assurdità della situazione professionale del settore [1].
Quali e quante anime deve possedere un UX Designer?
Dal momento che io stesso ho intrapreso questo percorso (o meglio, questa “quest”) di costruirimi un ruolo di UX practioner nell’arco di tre anni e deragliando in maniera considerevole dal mio iniziale inquadramento professionale, vorrei spendere una frase per poter inquadrare tutto nella corretta prospettiva:”progettare esperienze non risolve problemi“.
Figura 2 – È davvero questo il massimo dell’esperienza che possiamo progettare? Bilance al supermercato “Veritas” in Spagna.
Una buona esperienza non risolve i problemi che gli utenti pensano di avere, non aumenterà la vostra conversion rate dall’oggi al domani, non farà amare i vostri prodotti ciecamente e religiosamente come se fosse un qualsiasi iProduct. Apple Inc. ha fatto conoscere alle masse termini come esperienza e usabilità, ma la maggioranza di noi non ha e non avrà la fortuna, ahinoi, di lavorare per Apple Inc. e allo stesso modo è importante comprendere che l’Experience Design non nasce e non muore con Apple Inc.
Una buona esperienza è spesso invisibile, perchè se le cose sono state progettate bene, le cose “vanno come dovrebbero andare“.
Il compito fondamentale di ogni UXer non è trovare soluzioni, ma cercare problemi, trovare le domande giuste in relazione al proprio dominio, sollevare questioni e indagare aspetti che la maggior parte delle volte rimangono inespressi perchè vengono dati spesso per scontati.
Perche’ questo approccio?
Perchè siamo intrinsecamente pigri, ci abituiamo facilmente alle situazioni e con l’abitudine cominciamo a limitare l’estensione delle nostre percezioni, ci rassegnamo o semplicemente quando osserviamo le cose che ci circondano diamo priorità ai nostri stimoli scartando quelli meno importanti. Il nostro stesso mestiere, giorno dopo giorno, si configura come una lente con la quale osservare il mondo, rendendoci, se vogliamo, affetti da una miopia professionale che ci rende “insensibili” agli ostacoli della nostra realtà quotidiana.
Tanto più un utente è esperto di un dominio, tanto più sarà alta la sua soglia di disagio, tanto meno sarà in grado di comunicare ad altri quali siano effettivamente gli ostacoli del proprio quotidiano interagire. Peggio ancora se interpellato direttamente rischia di non avere la lucidità di discernere la necessità dal desiderato.
Figura 3 – La diversità tra desiderio e necessità è ben riassunta da questo esempio di coltellino svizzero gigante realizzato dalla Wenger.
La competenza di base per un UXer è senza dubbio la curiosità del ricercatore e gli strumenti di scelta che caratterizzano la professione sono intuito e empatia. Non a caso moltissimi professionisti provengono da studi umanistici (psicologia e filosofia): se un utente non è in grado di esternare le sue necessità, bisogna in qualche modo comprenderlo.
Anche se non avete compiuto studi in quella direzione, curiosità, intuito e empatia sono caratteristiche presenti in diversa misura in tutti gli esseri umani: siamo dunque tutti adatti potenzialmente a divenire UXer, ma quale specializzazione deve intraprendere chi ha desiderio di iniziare una carriera nel settore? Quale tipo di professionalità deve essere ricercata da chi invece necessita di questo tipo di servizi?
Approccio “olistico”
Con lo scorso articolo abbiamo introdotto tutta una serie di discipline o aree di interesse che contribuiscono a migliorare l’esperienza del prodotto (software) che si intende progettare nella sua totalità.
Figura 4 – L’UX design è un mestiere multidisciplinare che abbraccia numerose aree, come è mostrato in questo schema di Dan Saffer [2]
L’User Experience design è di fatto un mestiere assolutamente multidisciplinare, che spazia dal marketing e dal business ad aspetti che riguardano il design grafico, l’etnografia, la linguistica, la psicologia e l’informatica. La cosa importante, da tenere sempre a mente, è che l’UX non è lo strumento, ma il risultato che si ottiene applicando correttamente tutti gli sforzi delle singole discipline.
La migliore architettura informativa dell’universo è inutile se i contenuti sono poveri e la più bella grafica del mondo è sterile se il sistema non è usabile. Viene da se’ che non può esistere la sopracitata figura mitologica di cui accennavamo all’inizio dell’articolo, dal momento che nessuno è umanamente in grado di massimizzare tutte le necessarie competenze per coprire un dominio così vasto.
Per prima cosa è fondamentale capire, all’interno del proprio contesto, quali proprietà siano effettivamente funzionali al core business del proprio servizio e cercare di massimizzare gli aspetti che realmente ci portano valore, senza dover necessariamente giocare a tirare la coperta corta.
Nel 2011 David Travis ha condotto un piccolo sondaggio sia su Twitter che su Linkedin, un piccolo esercizio di stile che lo ha portato a isolare i termini ricorrenti con i quali si autodefinivano gli esperti del settore. Un po’ un reverse engineering dell’Ux Job Generator.
Tabella 1 – Ecco un “riassunto” dei titoli che definiscono le professioni legate in qualche modo all’UX design.
Strutturare i diversi fattori coinvolti
Ci sono molti fattori che devono essere presi in considerazione quando si progettano esperienze. Se guardiamo la colonna “Practice Orientation” possiamo evidenziare a colpo d’occhio le macrocategorie che si rispecchiano anche nell’infografica proposta da Dan Saffer: raggruppando per settore e eliminando i contenitori possiamo delineare 5 grandi famiglie.
- Human Factors / User Centered Design
- Content
- Information
- Interaction / Usability / Interface
- Visual
Che possiamo anche espandere nelle rispettive 5 aree:
- Bisogni dell’utente e obiettivi di business
- Contenuti e requisiti funzionali
- Architettura delle informazioni
- Interazione, usabilità, interfacce e navigazione
- Visual Design
Nel 2002 queste aree sono state delineate da James J. Garret, l’user experience designer che ha coniato l’acronimo AJAX e che ha pubblicato un volume intitolato “The Elements of User Experience“, nel quale è contenuto questo celebre diagramma [3]:
Figura 5 – Il diagramma di James J. Garret, colui che ha coniato l’acronimo AJAX.
Se siete smanettoni noterete quanto questo diagramma assomigli, nella forma e a tratti nei contenuti, al diagramma dei layer ISO-OSI: a livello concettuale i due diagrammi sono molto simili, non a caso entrambi convogliano la trasmissione di informazioni, spostandosi da una componente di struttura a una di consumo.
Il diagramma di Garrett delinea un modello di design incentrato sull’utente, in cui egli descrive due forze parallele di progettazione che spingono il “sistema Web” verso i due aspetti agli estremi del modello: il web come interfaccia software e il web come hyperlink, ovvero insieme di relazioni.
Ogni servizio web si muove da una conception a una completion, attraversando nel tempo queste 5 diverse fasi o piani (layer) che permetto di spostarsi da dimensioni astratte ad altre via via più concrete.
Queste 5 grandi famiglie concorrono –spannometricamente– a coprire il 90% dell’UX delle applicazioni software esistenti: non ha molta rilevanza che siano offline, online, web o mobile. Queste sono le 5 anime che devono coesistere all’interno di ogni professionista che dovrà di certo specializzarsi in uno di questi campi, ma che non potrà di certo ignorare gli altri.
5 aree, n ruoli
Investigando quali siano i bisogni dell’utente e intersecandoli con gli obiettivi di business, l’UXer deve essere in grado di definire personas (archetipi di utenti) e system goal (obiettivi di sistema) per definire cosa si stia progettando e per quale ragione.
Una volta che gli obiettivi del sistema si siano stabilizzati, la fase successiva consiste nel progettare il sistema, le caratteristiche che deve avere, quali funzioni deve assolvere, in che modo opera e com’è organizzato. Si cominciano a costruire i contenuti, si delinea la navigazione, l’interazione e lo schema di interfaccia. L’output evolve da documenti a wireframe, task flow, matrici di contenuti. E solo alla fine entra in scena la parte visuale, l’area sicuramente più in evidenza, più emotiva, portanto l’idea a divenire un prodotto finito.
Se avete solo intravisto la complessità del processo, avete già sicuramente intuito che gli attori che si muovono attorno e attraverso queste 5 aree sono davvero numerosi.
Figura 6 – Un gran numero di attori si muovono nelle 5 aree dell’UX.
Quale di questi ruoli consente di essere il candidato ideale per diventare uno User Experience Designer? Mi piacerebbe dirvi che la soluzione sia semplice quanto sceglierne 3, ma come sapete la teoria è ben diversa dalla realtà.
Descrivere tutti questi ruoli è impossibile; voglio solo proseguire l’articolo spendendo due parole su quelli che ritengo essere i più diffusi sul mercato italiano in maniera tale che possiate orientarvi meglio fra termini e sfumature di concetti che potrebbero non esservi familiari.
Visual Designer / User Interface Designer
Il Visual / Graphic Design è storicamente il settore nel quale il mercato ama riunire competenze differenti, anche contrastanti fra loro. La comunicazione visuale è il mezzo più diretto per comunicare agli utenti sensazioni, emozioni, idee complesse. Crea empatia e legame fra gli utenti e l’azienda o il prodotto, stupisce, commuove.
Figura 7 – Una definizione “minimalista” ma molto efficace del visual/graphic design.
Per molto tempo, chi era incaricato di disegnare le interfacce ha prediletto il “wow factor” all’utilità. Con l’avvento di uno stile più minimalista si è spostato il focus anche sulla funzionalità e sulla chiarezza delle informazioni.
Questo fenomeno di connubio fra utilità ed estetica ha creato un pericoloso cortocircuito tale per cui si dava per scontato che chiunque progettava soluzioni visuali applicasse anche principi di usabilità, accessibilità, interazione e esperienza come se fossero competenze applicabili gratuitamente e senza sforzo aggiuntivo.
È invece assolutamente necessario discernere le due cose: le componenti visuale ed esperienziale sono relazionate, anche strettamente, ma non sono necessariamente in un rapporto di dipendenza fra loro.
Figura 8 – Craigslist.org non investe di certo sul “visual”, eppure muove 60 mln di visite al mese solo negli US: un dato su cui riflettere.
Spesso questo connubio è anche controproducente in quanto a un effort maggiore non corrisponde un tempo maggiore. Il risultato di questo approccio rischia di sforare nella maggior parte delle volte in un mediocre lavoro in entrambi i campi.
Dal momento che la componente comunicativa visuale rappresenta la prima interfaccia che l’utente incontra nella sua interazione con il sistema, deve essere accuratamente pensata e progettata, dopo che gli altri elementi che compongono l’esperienza utente siano stati posizionati. Non si deve progettare la parte visual prima che vi sia un’architettura delle informazioni definita e che vi sia almeno un’idea del tipo e della quantità dei contenuti che si vogliono servire.
Il compito di un visual designer è quello di “implementare” come le informazioni verranno presentate all’utente ed è un compito così importante da essere trasversale agli altri ruoli. Agli occhi dell’utente, se fallisce l’interfaccia, fallisce l’intero sistema.
Aspetti coperti
- Comprensibilità delle informazioni
- Chiarezza e precisione nelle informazioni presentate
- Accessibilità delle informazioni
- Apprezzamento del marchio
- Empatia / Emozione
Alcune letture consigliate per i Graphic / Visual Designer sono riportate in [7].
Esperto di usabilità (Usability Engineer / Expert)
L’usabilità è la misura con la quale una particolare classe di persone impiega un particolare strumento per raggiungere un determinato scopo.
Figura 9 – L’usabilità non è un concetto astratto, ma è frutto dell’intersezione di una serie di componenti (fonte: Ben Tremblay).
Il più prominente esponente del settore è Jakob Nielsen, che per anni si è occupato di usabilità nel contesto web. Un esperto di usabilità è chiamato per facilitare il più possibile lo svolgimento dei compiti di un utente, ad esempio compiti ripetitivi che soffrono di problematiche legate all’efficienza. Una interfaccia usabile è un’interfaccia, se vogliamo, familiare, che ci suggerisce come essere usata perchè magari è costruita per essere simile a qualcosa che già conosciamo. L’Intuitività pura, fine a se stessa non esiste, ma è sempre frutto delle esperienze pregresse, da fattori culturali o sociali. Sta nel progettista cogliere queste ancore e usarle a proprio vantaggio.
L’usabilità è sì un sottoinsieme dell’User Experience, ma è interessante notare che non ne fa interamente parte: per come è stata definita, l’usabilità è una misura quantitativa legata agli altri strumenti creati dagli essere umani, estendibile a tutti gli artefatti non digitali (anche un elettrodomestico può essere usabile), ma anche ad un utensile come una forchetta o un martello.
La parte di usabilità che si interseca con l’user experience design è quella che tratta dell’abilità degli esseri umani nell’utilizzare un sistema o un’applicazione. L’usabilità ha un fortissimo impatto positivo nell’user experience, non a caso il termine spesso è usato come sinonimo dal marketing delle grandi company, ma bisogna sottolineare che un’interfaccia può anche essere perfettamente usabile, ma non è scontato che generi anche una ricca esperienza utente.
Accessibilità
Una declinazione particolare dell’usabilità è l’accessibilità, che pur non essendo una disciplina a se stante, merita una considerazione particolare. Siamo abituati a pensare all’accessibilità come:
- un aspetto puramente legale (legge “Stanca” e successive disposizioni)
- un qualcosa legato a disabilità fisica (siti adatti, per esempio, a non vedenti e ipovedenti)
Accessibilità è invece un termine generale usato per descrivere quanto un artefatto sia semplice da usare e capire per le persone che lo utilizzano. A differenza dell’usabilità che si applica ad una particolare classe di persone, l’accessibilità riguarda tutte le persone, persone che devono essere in grado di compiere questo processo di uso in qualsiasi stato esse si trovino. Una disabilità può non essere fisica, ma cognitiva o educativa.
Un esperto di accessibilità deve essere in grado di vedere con occhi ogni volta diversi il proprio progetto, nonche’ avere una conoscenza di norme e leggi.
Aspetti coperti
- Fluidità nelle interazioni (capacità di inserire dati in maniera semplice e produttiva, flusso di lavoro intuitivo)
- Comprensibilità delle informazioni e dei processi
- Chiarezza e precisione nelle informazioni presentate
- Una veloce e facile curva di apprendimento per poter utilizzare il sistema
Alcune letture consigliate per gli esperti di usabilità sono riportate [8]
Architetto delle informazioni (Information Architect)
L’Information Architecture è l’arte e la scienza di strutturare la conoscenza, definendo le interazioni utente. Essa trova fondamento nelle buone pratiche editoriali e nell‘arte libraria, dove è ancora oggi largamente impiegata.
Figura 10 – L’architettura dell’informazione e le sue componenti [4].
Sebbene molti aspetti dell’architettura delle informazioni cadano al di fuori del dominio strettamente tecnologico, questa disciplina è uno degli aspetti chiave nel disegnare esperienze utente: tassonomie, organizzazione dei dati in un sistema, abilitano una fruizione accessibile ai dati, incrementando quindi l’usabilità generale dell’applicazione.
Lo scopo di un architetto delle informazioni è quello di rendere il sistema migliore attraverso l’organizzazione logica e comprensibile delle informazioni in esso contenuti. Deve rispettare il modello mentale che hanno gli utenti rispecchiandolo nel sistema che sta progettando.
Ad esempio: negli editor di testo classici, la funzione di formattare un testo a elenco puntato non si trova nel menu di formattazione del testo, bensì sotto la voce “inserisci”. Questa è una scelta progettuale di architettura delle informazioni.
Aspetti coperti
- Comprensibilità delle informazioni e delle funzionalità
- Abbassamento della curva di apprendimento, spostando il peso cognitivo dalla memoria alla riconoscibilità
- “Trovabilità” delle informazioni ricercate
- Accuratezza delle informazioni presentate
Alcune letture consigliate per gli architetti dell’informazione sono presentate in [9]
Interaction Designer
L’Interaction Design è una sotto-disciplina del design che regola il ruolo dei comportamenti strutturali e ambientali sia in spazi fisici che virtuali, così come nella convergenza di prodotti fisici e digitali.
Figura 11 – Interaction Design (fonte: @verplanck, Stanford University).
Condividendo molti degli strumenti utilizzati durante il processo di progetto, l’Interaction Design viene spesso identificato come l’User Experience Design. L’Interaction Design si occupa di progettare i comportamenti che le entità coinvolte possono instaurare, ma a differenza dell’UXD, queste entità non sono limitate unicamente a coppie di essere umani-terminali. Quando l’interazione avviene fra utenti e interfacce digitali, il processo di interaction design pone un particolare accento sulla sequenza di task che l’utente deve compiere per raggiungere il proprio obiettivo.
Un Interaction Designer si occupa del flusso di esecuzione dell’applicazione, è abilitante rispetto ai compiti dell’utente e deve essere in grado di comprendere il giusto mix fra quello che serve e quello che stupisce.
Esplorando il contesto da un livello di astrazione più alto ci spostiamo sul lato psicologico dell’interazione, possiamo parlare di Human Computer Interaction nel momento in cui l’interazione con gli utenti e computer non è limitato unicamente all’interfacce, ma si estende verso dispositivi fisici. Salendo ancora di astrazione si parla di Human Factors Engineering (ergonomia) quando gli utenti si relazionano con interi sistemi sia fisici che virtuali.
Aspetti Coperti
- Fluidità delle Interazioni (intuitività del flusso di lavoro, “wow factor”)
- Comprensibilità delle informazioni e delle funzionalità
- Abbassamento della curva di apprendimento
- Abbassamento delle risorse cognitive impiegate
- Correttezza dell’Informazione ottenuta
Alcune letture consigliate per gli Interaction Designer sono riportate in [10]
Content Strategist
Il Content Strategist pianifica la creazione, la pubblicazione e la governance dei contenuti, in maniera tale che essi siano utili, usabili e soprattutto significativi per gli utenti che ne devono fruire.
Figura 12 – Il contenuto e le strategie che lo riguardano [5]
Il contenuto è parte integrante dell’User Experience, sia in termini di valore stesso che di tempistica. Il progetto richiede di delinare una roadmap credibile per i singoli e le organizzazioni per creare e mantenere i contenuti che interessano agli utenti, evitando cattive informazioni, informazioni mancanti o troppo ricche e rindondanti.
Louis Rosenfeld scrive: “Se l’architettura delle informazioni è il lato spaziale delle informazioni, ritengo che la strategia sui contenuti sia il lato temporale della medesima moneta”. Questa astrazione è importante: se l’architettura delle informazioni ci aiuta a localizzare e a trovare dove risiedono i contenuti, la Content Strategy decide “quando” questi contenuti vivono. La combinazione di questi due fattori genera valore per gli utenti, la giusta informazione nel momento giusto.
Si pensi ad esempio a un sito che propone informazioni vetuste, fuorvianti o scritte male rispetto ad un’interfaccia che è stata magari nel tempo rinnovata.
Figura 13 – Questo contenuto non è applicabile alla versione rinnovata del sito (Trenitalia.it).
Aspetti coperti
- Comprensibilità delle informazioni e delle funzionalità
- Correttezza dell’Informazione ottenuta
- Validità dell’Informazione ottenuta
Alcune letture consigliate per li content strategist sono elencate in [11]
Conclusioni
Vi siete ritrovati in una di queste descrizioni? La risposta a dire il vero non è affatto rilevante: un titolo è solo un titolo, l’importante è dove deciderete di approfondire le vostre competenze, investendo il vostro tempo e le vostre risorse.
Anche se continuerete a vendervi come un UX designer perchè questo è quello che cerca il mercato, comprendete le vostre propensioni e trasformatele in un punto di forza.
Valorizzate il vostro background, la vostra storia: le vostre competenze pregresse doneranno una nuance particolare alla figura professionale che state costruendo / cercando, che nessun altro UXer avrà e le cui caratteristiche convergeranno naturalmente verso un preciso ruolo di riferimento.
Figura 14 – Dubbi di “collocazione” e di “nomenclatura” (da LinkedIn).
Alla stessa maniera, se state cercande un UX designer, preoccupatevi prima di capire internamente di quale tipo di competenza necessitate per quel particolare progetto e scegliete il professionista adatto agli obiettivi che volete ottenere.
Nella prossima puntata parleremo di come iniziare la vostra professione.
Riferimenti
[1] UX Job Title Generator
http://aaronweyenberg.com/uxgenerator/
[2] Dan Saffer, Kicker Studio
[3] I diversi elementi della UX
http://www.jjg.net/elements/pdf/elements.pdf
[4] L’immagine sulla informazione dell’architettura
http://www.flickr.com/photos/murdocke/4299568381/
[5] Content Strategy
Letture consigliate
[6] Per tutte le tipologie di User Experience Designer
John Maeda, The Laws of Simplicity
Bill Buxton, Sketching User Experiences
Jesse James Garrett, The Elements of User Experience
Donald Norman, The Design of Everyday Things
Donald Norman, Emotional Design
[7] Per i Visual / Graphic Designer
Richard Hollis, Swiss Graphic Design
Robert Bringhurst, The Elements of Typographic Style
Tim Brown, Change by Design
Robert Oekman, Design the Obvious
David Kadavy, Design for Hackers
[8] Per gli esperti di usabilità/accessibilità
Jakob Nielsen – Hoa Larenger, Design Web Usability
Steve Krug, Don’t Make Me Think
Shari Thurow – Nick Musica, When Search Meets Web Usability
Bill Scott – Theresa Neil, Designing Web Interfaces
Michele Diodati, Accessibilità
[9] Per gli architetti dell’informazione
Peter Morville, Information Architecture for the World Wide Web
Christina Wodtke, Information Architecture: Blueprints for the Web
Andrea Resmini – Luca Rosati, Pervasive Information Architecture
[10] Per gli Interaction Designer
Alan Cooper, About Face 3
Stephen Anderson, Seductive Interaction Design
Giles Colborne, Simple and Usable Web, Mobile and Interaction Design
Yvonne Rogers, Interaction Design: Beyond Human-Computer Interaction
[11] Per i Content Strategist
Kristina Halvorson – Melissa Rach, Content Strategy for the Web
Erin Kissane, The Elements of Content Strategy