In ogni ambito, prendere decisioni è un mestiere complesso e necessità di grande umiltà e autorevolezza. Esiste però una differenza fra gestire e guidare un team rispetto a dirigere una azienda. Nel primo caso il manager ha un suo punto di vista e incarica varie persone di eseguire il lavoro richiesto e ne misura l’efficienza e loro saranno responsabili del risultato finale. Nel secondo caso il leader è responsabile del risultato finale e si circonda di persone che lo possano aiutare a prendere le sue decisioni.
Introduzione
Negli ultimi mesi mi è capitato di leggere molte cose di Peter F. Drucker [W01] e tra le sue tante citazioni, una mi è rimasta impressa più delle altre:
“To make more effective decisions, develop disagreement rather than consensus.”
Questa idea che per prendere decisioni più efficaci, sia meglio favorire il dissenso invece di lavorare solo sullo sviluppo del consenso mi ha portato a creare una discussione su Linkedin [W02] e una sul blog della mia azienda [W03], e ora questo piccolo approfondimento su MokaByte.
Il motivo di tanto interesse è che le aziende sono molto difficili da spiegare e io mi trovo spesso in difficoltà quando devo parlare con i colleghi più giovani. Le varie aziende del settore fanno le cose secondo svariati modelli, e si assiste a volte ad approcci completamente diversi allo stesso problema, che non di rado sono antagonisti, cioè basati proprio su un modello di pensiero alternativo. Tutta questa “varietà di impostazione” causa moltissime discussioni… ed è un bene!
A me però rimane il compito di spiegare, per quel che attiene alla struttura in cui opero, il modo in cui siamo arrivati a prendere una certa decisione piuttosto che un’altra e quindi mi ritrovo spesso a parlare dell’identità della nostra azienda e delle persone che vi lavorano; un’identità che in parte è ben descritta dalla citazione di Drucker. Vediamo di seguito alcune considerazioni che, lungi dal voler essere descritte come verità rivelate, spiegano le ragioni alla base dell’assunzione di certe decisioni.
La situazione è complessa
La situazione è complessa, o per meglio dire, qualsiasi situazione in cui ci troviamo è complessa!
- Come fai a decidere se un cliente è buono oppure no?
- Come fai a decidere se il progetto è da fare oppure no?
- Come fai a decidere qual è la migliore allocazione per il progetto?
- E soprattutto, come mantieni nel tempo tutto in equilibrio rispetto all’azienda e alle persone che vi lavorano?
Ovviamente la risposta cambia da azienda ad azienda, ma sicuramente, nel caso che mi riguarda, il processo decisionale, che è a sua volta molto complesso, fa leva su molte persone e mai le stesse. Serve l’opinione di molte persone perche’ gli aspetti da considerare sono tanti e spesso non è nemmeno possibile elencarli in maniera univoca e completa. Infatti se chiediamo a diverse persone di spiegare perche’ indicano una soluzione piuttosto che un’altra ci troviamo di fronte a tanti percorsi decisionali quante sono le persone intervistate e il numero e l’importanza dei fattori esaminati saranno diversi da persona a persona.
Questo è indotto dagli interessi personali, dalla forma mentis, dalle ricadute dovute alla decisione, dal momento professionale e familiare in cui si trova la persona quando in cui deve decidere, etc… Ognuno quindi offre un suo punto di vista e contribuisce a far emergere le informazioni che ritiene rilevanti per prendere la decisione e lo fa in modo interessato, cioè mette enfasi su alcuni aspetti e cerca di nasconderne altri in base alle possibili conseguenze che la decisione avrà su di lui.
Figura 1 – Il processo decisionale che coinvolge più persone è più complesso, ma porta a decisioni più efficaci. Aumentarne troppo il numero però, rischia di rallentare le decisioni.
A questo punto dovrebbe essere chiaro che anche aumentare il numero di persone aumenta la complessità della situazione, e quindi si deve ridurre al minimo possibile tale numero per poter essere più rapidi nell’ottenere un risultato. Ma non facciamoci ingannare dalle parole: ridurre al minimo, non vuol dire che il numero sia sempre piccolo. Pensiamo per esempio all’elezione democratica di un parlamento: per una nazione con una popolazione media o grande, il numero minimo delle persone coinvolte è nell’ordine di decine di milioni, nonostante siano stati esclusi per esempio i minorenni.
Allo stesso tempo per prendere una decisione tecnica in linea con quanto già in produzione potrebbe bastare il giudizio di un singolo sviluppatore con una seniority molto bassa.
Chi deve essere coinvolto
Anche decidere chi deve essere coinvolto è una decisione molta complessa. Ci sono persone che passano molto del loro tempo cercando di nascondere la trattativa stessa o cercando di escludere questa o quella persona, con le motivazioni più disperate. Al tempo stesso ci sono quelli che vogliono partecipare anche senza averne titolo.
Uno dei punti di forza che ho potuto sperimentare è non avere strutture gerarchiche fisse, perche’ questo facilita l’ingresso delle persone giuste nel processo decisionale, ma soprattutto facilita l’uscita di quelle sbagliate… questo aspetto sembra un po’ ridicolo, ma non lo è per nulla. Se hai una gerarchia fissa, certe persone le devi invitare a prescindere che il loro contributo sia di rilievo oppure no, mentre se non hai questa situazione devi in qualche modo meritarti il tuo posto di volta in volta.
Ma come fai a meritartelo? Nel nostro caso non è detto che ci sia interesse a partecipare alla discussione… non ci sono organigrammi da scalare e premi da conquistare, ma solo responsabilità da assumersi e impegni da onorare, per cui esiste anche la possibilità che molti si facciano da parte in favore di un’esistenza più serena…
Un certo numero di persone, con diverse caratteristiche, rimane comunque disponibile alla discussione e ad assumersi responsabilità, ovviamente facendo una serie di osservazioni che bilanciano la propria personale visione dei rischi e delle opportunità.
Le caratteristiche del decisore
A questo punto sono tre elementi molto particolari a entrare in causa: competenza, reputazione e leadership. Il mix di queste tre caratteristiche crea una gerarchia variabile in base alla situazione, o per meglio dire emergono le persone capaci di analizzare una situazione e spiegare le loro decisioni tanto da garantire il supporto degli altri e di ridurre al minimo i contrasti di opinione.
Figura 2 – Non conta il ruolo ricorperto all’interno di un organigramma, ma quante e quali caratteristiche adatte alla decisione si posseggono.
Nel caso di aziende con un organigramma “pesante”, penso che la situazione sia sostanzialmente diversa. Le persone devono fare sforzi maggiori per emergere e questo fa aumentare i contrasti, in quanto la possibilità di esprimersi ha molti più vincoli di cui il più importante è sicuramente quello di stare attenti a non intaccare le rendite di posizione delle persone in organigramma a questa o a quella Unità Organizzativa.
Ho visto moltissime volte degenerare queste situazioni in scontri di potere anche molto aspri, oppure in soluzioni con due organizzazioni: quella prevista dall’organigramma e quella che realmente prende le decisioni. Naturalmente, e sia chiaro, esistono anche aziende molto inquadrate che poi hanno comunque un’organizzazione capace e autorevole delle decisioni; ma in generale si nota che il dissenso cala in favore del proliferare degli yes-man.
Management, o per meglio dire… il “capo”
La prima volta che ho letto la frase di Drucker l’avevo associata al management o meglio a come suggerire ai capi struttura il modo in cui si dovrebbero supportare i processi decisionali delle aziende.
Figura 3 – Il manager che emerge è quello capace di approfondire la situazione e che non rifugge le domande.
Solo in un secondo momento mi sono reso conto che molte di queste persone non prendono decisioni e non supportano tale processo, ma si limitano a misurare dei KPI che spesso non hanno contribuito a identificare, ma che gli sono stati imposti dall’alto o magari dall’esterno tramite l’uso di qualche società di consulenza.
Misurano e poi fanno una riunione chiedendo a chi di dovere, se l’organizzazione lo permette, di rientrare nei parametri, oppure si limitano a segnalare la criticità di quanto riscontrato, senza però dar luogo a nessuna iniziativa per correggere la situazione. Dire a qualcuno di rientrare nei parametri non è una decisione!
Domande fondamentali per approfondire la situazione
Il manager deve porsi sempre delle domande, anche se queste rischiano di “scardinare” certe presunte sicurezze.
- Oltre a misurare il dato, è stata fatta una qualche forma di analisi per approfondire la situazione?
- Come mai non ci si è accorti per tempo che la situazione stava degenerando?
- I KPI e i metodi di rilevamento vanno rivisti?
- È realmente necessario rientrare in quei parametri? E quali ripercussioni sono attese?
- È vero quello che è stato misurato? Oppure semplicemente ci si era detti delle bugie al momento delle stime?
- Le persone che si occupano della situazione vengono sostenute in qualche modo?
Purtroppo la maggior parte dei manager non si pone queste domande, anzi le rifugge. Spesso lo fanno perche’ mancano di competenza per poter intervenire nel merito, sanno che qualcosa non è in linea con i parametri richiesti, ma non hanno maturato negli anni l’esperienza necessaria per poter comprendere come la situazione si è generata e soprattutto come intervenire per mettere in ordine le cose.
A quel punto intervenire diventa molto rischioso, tanto che un fallimento potrebbe mettere in cattiva luce il manager minandone la reputazione, per cui molto meglio mantenere una posizione defilata e conservatrice.
I numeri
Per fortuna non tutti i manager hanno il profilo descritto poche righe sopra, però esistono e in tanti quasi senza accorgersene si adattano a questo comportamento generando una serie di cattive pratiche che mettono in reale crisi le aziende. Un malcostume diffuso è giocare con i numeri!
Figura 4 – I numeri non sono “neutri”: a volte una loro abile manipolazione può sostenere tesi anche completamente opposte…
Ci rimasi male quando non troppo tempo fa mi hanno fatto notare che i numeri non servono per evidenziare la situazione, ma per sostenere un’opinione. Ma come? I numeri sono numeri… registrano situazioni oggettive! Ora posso tranquillamente rispondere di no!
Per esempio, non è mica detto che, se un progetto ha i costi e i tempi in linea con le stime, stia andando bene. Hai implementato quanto era richiesto? La qualità è accettabile? Come sono i rapporti con il cliente? Com’è l’umore del gruppo di lavoro? Certe domande importanti come queste non sono necessarie quando basti fornire solo i numeri che vengono misurati, per poi essere lasciati in pace.
Sia ben chiaro: non dico che misurare sia inutile, ci mancherebbe! Quel che sto cercando di dire però, è che c’è una differenza tra misurare una situazione e conoscerla. Se non vi è partecipazione, se non si è collaborato alla definizione dei KPI, se non si sanno analizzare i numeri e le persone, allora nessuna decisione è possibile perche’ non si riesce a proiettarne le conseguenze nel futuro.
Il manager del futuro
Giorgio Barbetta [W04], una persona che stimo, perche’ ha coraggio e suggerisce soluzioni invece di esporre problemi, afferma:
“Credo che il manager sia una presenza importante da non escludere a patto che si inizi a ritagliargli una nuova veste, ovvero colui il quale si presta a preparare e coltivare il contesto dove le decisioni vengono prese, non da lui naturalmente (manca di requisite variety), ma da chi ha la competenza e gli skill necessari.”
Ho provato a spiegare come i manager oggi siano spesso solo un’emanazione burocratica e amministrativa, a cui però viene affidato il compito di decidere le sorti dell’azienda o di parte di essa. Ho anche spiegato che questi spesso scappano di fronte a tale responsabilità perche’ incapaci di agire in prima persona, e quindi si ritrovano semplicemente a fare pressing (o addirittura mobbing) sulle persone della loro struttura.
Dopo aver letto la citazione di Barbetta ho capito che, finche’ non cambiamo il loro mandato, non è possibile chiedere di più. Spesso arrivano da studi che non hanno nulla a che fare con il mercato della loro azienda, magari hanno studiato economia e si ritrovano in una grande azienda che produce e commercializza caffè… ma loro cosa ne sanno di caffè? Nulla! E quindi si aggrappano ai numeri per cercare di capirci qualcosa… ma anche con i numeri davanti sono disarmati perche’ non hanno le conoscenze giuste per leggerli e relazionarli alla realtà del contesto.
Una rivoluzione copernicana
Il giusto ruolo aziendale del manager, quindi, non è prendere decisioni! Le decisioni le devono prendere le persone che sono sul campo, a cui forse non servono molti report e analisi per “leggere” cosa sta succedendo.
Quello che un manager dovrebbe fare è garantire che le decisioni siano coerenti nel complesso, perche’ esistono sempre molte attività in corso e in programmazione per il futuro, quindi deve stimolare l’emersione delle informazioni e il dialogo fra le persone che gestiscono o realizzano direttamente tali attività.
Dovrebbe soprattutto garantire che nessuna opinione venga omessa o soppressa e che le informazioni siano complete, ovvero tutte quelle richieste dai vari responsabili di attività per operare più quelle aggiunte dal management per relazionarle. Inoltre dovrebbe garantire un modus operandi basato su comportamenti rispettosi degli altri, favorendo l’uscita dall’azienda di tutti coloro che hanno atteggiamenti distruttivi o prevaricatori.
A questo punto si dovrebbe ottenere un’azienda con varie Unità Organizzative che agiscono in autonomia e collaborano tra loro, usando il management per raccordare e garantire che le decisioni di una unità non siano dannose per le altre.
Un equilibrio fragile
Un esempio di quanto scritto finora è arrivato da un mio amico che lavora in un settore completamente diverso dal mio. Siamo amici da sempre e quindi ho potuto ascoltare i suoi racconti negli anni, ma voi siete più fortunati perche’ li condenserò in poche righe…
Ha “fatto la gavetta” e quindi quando parla sa cosa sta dicendo e la sua reputazione nelle file dei suoi operai è altissima. Diventa tanto bravo da meritarsi diverse promozioni in pochi anni e, a questo punto, quindi, comincia a far riunioni sulle strategie aziendali con la direzione generale.
Poi l’azienda viene acquistata da una multinazionale, il vecchio direttore si dimette e un altro viene nominato. La multinazionale non conosce il settore dell’azienda acquistata: per loro è semplicemente un investimento in quanto l’azienda va benissimo; però decidono di intervenire nelle decisioni chiedendo tutta una serie di adempimenti burocratici: sistemi centralizzati, vincoli sugli acquisti, etc.
Alle riunioni il mio amico ogni tanto va e ogni tanto non va, perche’ alla fine di ogni riunione chiede l’elenco delle decisioni prese e siccome nessuno sa rispondere dopo un po’ gli dicono che la sua presenza è sempre gradita ma non strettamente necessaria.
L’azienda fatica e, nel momento in cui deve usare la propria liquidità per salvare un’altra azienda che nemmeno conosce da qualche parte nel mondo, entra in crisi. A questo punto si indice una riunione molto importante a cui parteciperà per l’occasione anche un alto dirigente della multinazionale. La tensione è palpabile e il mio amico viene invitato a partecipare, perche’ è l’unico a conoscere la situazione sul campo.
Arriva il giorno della riunione e dopo un po’ di convenevoli si arriva alla domanda che tutti si aspettavano:
“What’s the problem?”
Per qualche secondo tutti si guardano in faccia cercando di trovare le parole, e alla fine è il mio amico a rispondere con una singola parola:
“You!”
Si dice che un manager fa le cose nel modo giusto, mentre un leader fa la cosa giusta. Non so se sarei stato in grado di fare altrettanto, ma ora l’azienda italiana gode di maggiore autonomia e salute…
Leadership
Questo piccolo aneddoto mi permette di parlare appunto di leadership, che poi è la caratteristica principale per poter garantire un processo di decision making basato sul dissenso. Durante la discussione tenuta su Linkedin, per esempio, mi ha colpito sentir affermare che nella Marina Militare le decisioni erano tutt’altro che dei semplici ordini dati dai superiori. Veniva sottolineata come grande capacità dei capitani, quella di ascoltare molte opinioni prima di prendere una decisione e mi ha colpito come la reputazione del comandante fosse importante nelle situazioni critiche, molto più del suo grado.
Penso che chiunque abbia il compito di guidare un’organizzazione debba avere anche la grande dote di scegliere i propri consiglieri. Non deve nemmeno scegliere tra i tanti consigli, ma solo ascoltarli per poter raccogliere le informazioni originali che questi portano, i punti di vista che altrimenti non avrebbe e che completano la sua capacità di prendere decisioni.
Quelle decisioni che poi devono essere portate avanti da molte persone, che prima di tutto vanno convinte che quella è la decisione migliore possibile. Un processo lungo ma che nel tempo, se i risultati gli danno ragione, contribuisce a consolidare la sua reputazione e ad allargare di molto le sue competenze, magari persino in discipline non sempre direttamente collegate al suo lavoro.
Queste caratteristiche sono poi un bene inestimabile, perche’, nei momenti di crisi, quando non solo è importante decidere ma anche farlo in tempi brevi, allora potrà spendere la sua reputazione chiedendo agli altri di avere fiducia se per una volta non vengono ascoltati, senza il timore che questi pensino a un atto di prepotenza.
Dove lo trovo un leader?
Sicuramente non basta mettere un annuncio sul giornale o chiamare una bella ditta di consulenza per trovare un leader. Lo sottolineo perche’, parlando con diverse persone, ho sempre l’impressione che ci si aspetti un specie di superman che arriva a salvare il mondo o che, o si creda che con un bel corso di un paio di giorni su leadership e marketing, poi si possa riportare l’azienda a primeggiare sul mercato.
Nelle aziende viene portata avanti una teoria che non facilita la nascita o la ricerca di leader, e che può essere ben riassunta da una vecchia citazione [W05] di Henry Ford:
“Perche’ quando chiedo un paio di braccia, le ricevo sempre accompagnate da un cervello?”
Con questo pensiero in testa, non si creano dei leader. L’unica tua attenzione è cercare di ottenere manodopera a basso costo facilmente sostituibile. Se propria azienda ha questo tipo di identità quali leader può attirare? Giusto dei piccoli tiranni o qualche fomentatore di folle a suo uso e consumo.
Il clima adatto
Non riesco a elencare le 10 regole d’oro per coltivare la leadership, ma penso che creare un clima in cui successi ed errori vengono vissuti con moderazione favorisca la possibilità di ascoltare più voci e quindi di creare un processo decisionale che vede la situazione da più punti di vista. Magari in azienda non ho leader, ma le decisioni sono più efficaci e le persone più coinvolte e quindi affezionate al loro lavoro e non solo al loro stipendio.
Questo dovrebbe portare a un aumento di qualità nei periodi di crescita e facilitare la gestione delle tensioni durante i periodi di difficoltà, che esistono ciclicamente e quindi trovo abbastanza sciocco pensare di poter dare ogni anno un obiettivo migliore di quello precedente, come se l’unica opzione possibile durante le crisi economiche sia vendere le proprie azioni, invece che prepararsi per tempo e gestire i rischi e il rilancio dell’azienda stessa.
Conclusioni
Rileggendo un’ultima volta l’articolo mi è parso di essere stato un po’ troppo ingeneroso con la categoria dei manager. Non era mia intenzione prendermela con la categoria… anzi spero che tutti quei manager che lavorano sodo e per il bene dell’azienda si ritrovino nella descrizione di leadership che abbiamo illustrato e in questa piccola riflessione sul decision making.
Ho sicuramente tralasciato molte cose e non mi ponevo certo l’obiettivo di essere completo, ma solo quello di sottolineare come la presenza di più persone, con educazione e percorsi umani e professionali differenti, aiuti a cogliere più aspetti di un problema complesso.
Circondarsi di un gruppo di questo tipo aiuta chi deve prendere decisioni, ma deve anche saperlo governare dedicando alle persone molto del suo tempo per spiegare quali elementi ha preferito e per quale motivo, in modo tale da non dare l’impressione di voler escludere qualcuno.
Riferimenti
[W01] Peter Drucker, autore di fondamentali testi sull’organizzazione aziendale e la gestione di impresa
http://en.wikipedia.org/wiki/Peter_Drucker
[W02] La discussione sul “pensiero unico”
http://www.linkedin.com/groups/To-make-more-effective-decisions-4151791.S.190953039
[W03] Il post sul blog del GruppoImola
http://gruppoimola.wordpress.com/2012/12/10/disagreement-rather-than-consensus/
[W04] Giorgio Barbetta
http://www.linkedin.com/in/giorgiobarbetta
[W05] Edoardo Lombardi, “History e Case Histories. Lezioni dalla Storia per manager e imprenditori”, Franco Angeli, 2012
http://books.google.it/books?id=A6Q1Q1SQaXIC