L’analisi transazionale di Eric Berne non solo ci fornisce tramite il suo modello una spiegazione delle relazioni all’interno di una conversazione o di una relazione fra persone, ma ci dice anche molto altro. In questa puntata parliamo di bisogni primari necessari per un corretto sviluppo psicofisico delle persone e che poi ci accompagnano in tutto il nostro percorso di vita. Sebbene questa puntata rappresenti un passaggio propedeutico per comprendere meglio quanto diremo nei prossimi articoli, cercheremo comunque di contestualizzarlo con degli esempi nell’ambito di un gruppo di lavoro in azienda.
In questo articolo, seguendo l’approccio di quelli precedenti, presentiamo alcuni concetti teorici della Analisi Transazionale cercando poi di contestualizzarli nell’ambito di un gruppo di lavoro: parleremo del concetto di “carezze” (ovvero di quel tipo di relazione che serve per avere attenzione e riconoscimento dagli altri) e di strutturazione del tempo. In questo ambito, Berne, più che dare risposte sul come risolvere determinate situazioni in azienda, ci presenta un modello al quale noi ci conformiamo: conoscere questo modello è però estremamente utile se si desidera intervenire per migliorare il contesto lavorativo, fare in modo che il progetto proceda in modo più agevole rispettando tempi, costi e soprattutto evitando che le persone arrivino a termine completamente devastate nella mente e nel corpo.
Il rischio psico-sociale nell’ambiente di lavoro
Nella vita professionale, le persone non hanno solamente bisogno di evitare infortuni, incidenti e malattie ma hanno come obiettivo quello di “stare bene”. In tal senso gli interventi relativi al miglioramento della sicurezza sul lavoro sono intimamente connessi a quelli che mirano al benessere e allo sviluppo del potenziale delle persone.
La valutazione del rischio psico-sociale, ad esempio, può essere ricondotta all’analisi dello stato di benessere dell’individuo/lavoratore che deriva dalla percezione del livello di partecipazione alla vita relazionale: tutti sentiamo il bisogno di essere riconosciuti e proprio per questo ci poniamo domande del tipo “quanto sono considerato dagli altri?” oppure “quanto le mie relazioni sono reciproche?”. Le risposte a queste domande ci permettono di capire quanto riusciamo a esprimere la nostra identità e quanto siamo riconosciuti dagli altri. Gli effetti di questo tipo di riconoscimento sono importantissimi: si va dal darci lo stimolo per apprendere nuove conoscenze, ad aumentare le nostro abilità, permettendoci di migliorare quello che gli psicologi chiamano “attribuzione di significato all’azione”: per esempio “quando finisco in tempo il progetto vengo considerato competente e tutti mi stimano”.
Una definizione di rischio psico-sociale
L’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ha definito i rischi psico-sociali in termini di interazione tra contenuto del lavoro, gestione ed organizzazione del lavoro, condizioni ambientali ed organizzative da un lato, e competenze ed esigenze dei lavoratori dipendenti dall’altro [ILO]. I fattori di rischio psico-sociali sono individuati ora come una delle principali cause dell’alterazione della salute fisica e psichica nei luoghi di lavoro accanto ai rischi più tradizionali (fisici, chimici, biologici). I rischi psico-sociali possono essere definiti come quegli aspetti di progettazione del lavoro, gestione e organizzazione del lavoro, con i rispettivi contesti ambientali e sociali che possono arrecare danni fisici e psicologici ai lavoratori. Questi rischi, legati al modo in cui il lavoro è organizzato e gestito, aumentano il livello di stress e possono causare un grave deterioramento della salute fisica e mentale dei lavoratori. Molti approfondimenti si possono trovare in rete ad esempio quello [PS] indicato nei riferimenti.
Una definizione di burn-out
Il burnout è una condizione di stanchezza fisica, emotiva e mentale. Il fenomeno non è una malattia indipendente, ma una combinazione di diversi fattori. Le persone via via si logorano completamente e perdono, di conseguenza, non soltanto l’interesse per la loro attività (professionale), ma si sentono completamente vuoti. Solitamente, il burnout si sviluppa in mesi o addirittura anni, per fasi, in un continuo processo di sforzo fisico, emotivo e mentale.
Il Maslach Burnout Inventory (MBI), lo standard internazionale per misurare il burnout, descrive i principali aspetti in tre livelli:
- livello emotivo: esaurimento emotivo;
- livello cognitivo: depersonalizzazione;
- livello comportamentale: ridotto rendimento (apatia).
Questi sintomi di allarme possono diventare nel tempo problemi di natura fisica, dolori muscolari, problemi di concentrazione, problemi nel riposare, mal di testa, disturbi di equilibrio, disturbi gastrointestinali, irritabilità, depressione, ecc.
Le “carezze” di Eric Berne
Nell’ambito degli aspetti relazionali che ciascun lavoratore vive all’interno di un contesto organizzativo , particolarmente importante è il concetto del dare e ricevere “carezze” (termine coniato da Eric Berne), concetto fondamentale nella ricerca del benessere delle persone nelle organizzazioni. In contesti organizzativi nei quali è diffusa una “cultura delle carezze” i rischi psico-sociali quali stress, mobbing e burnout sono notevolmente ridotti.
Il significato di “carezza” nell’Analisi Transazionale
Il concetto di “carezza“, che nasce nella teoria dell’Analisi Transazionale ed è particolarmente presente nelle opere di Eric Berne e Claude Steiner, indica un’unità di riconoscimento che procura stimoli a un individuo. Rene Spitz (vedi [RS]) ha notato che i neonati privati di stimolazioni fisiche tendono al declino che li rende più vulnerabili alle malattie e li conduce alla morte. Altre ricerche hanno rilevato che persone immerse in lunghi periodi in ambienti privi di stimoli hanno avuto reazioni mentali ed emotive negative se non addirittura forme di psicosi. Eric Berne ne ha concluso che per la sopravvivenza dell’organismo umano la fame di stimoli ha la stessa importanza della fame di cibo.
La scelta di Berne del termine “carezza” far riferimento proprio al bisogno infantile di essere “toccati” per essere stimolati, bisogno che non scompare nel corso della vita quando, pur anelando il contatto fisico, impariamo anche a sostituirlo con altre forme di riconoscimento: un sorriso, un complimento o al limite anche una forma “negativa” di considerazione, come un insulto o un’occhiataccia, sono tutti comportamenti che ci mostrano che la nostra esistenza è stata riconosciuta.
La sopravvivenza e l’esistenza di ogni individuo si sviluppano più o meno bene attorno alla soddisfazione di alcune categorie di bisogni che Berne, usando il concetto di “fame” categorizza in:
- fame di “stimolo”;
- fame di riconoscimento (carezze);
- fame di struttura (il tempo).
Fame di stimolo
Secondo Berne il rapporto sociale è primario nel senso che serve per la sopravvivenza. In ogni essere vivente c’è una “fame di stimolo” che nei cuccioli e nei bambini si traduce in un bisogno di contatto fisico, di accudimento. Le carenze su questo piano possono avere ripercussioni sullo sviluppo cerebrale e quindi dell’intera personalità.
Fame di riconoscimento
Man mano che il bambino cresce, questo bisogno di riconoscimento si evolve e comincia con l’assumere varie forme anche di tipo simbolico: in questa trasformazione non si parla più di fame di stimolo, ma di “fame di riconoscimento” che può essere quindi considerata un proseguimento della fase precedente.
In Analisi Transazionale la “carezza” è quindi un qualsiasi atto che implichi il riconoscimento della presenza dell’altra persona. La carezza perciò diventa una sorta di “unità fondamentale dell’azione sociale”; in questo contesto uno scambio di carezze costituisce un “transazione”, cioè l’unità del rapporto sociale.
Tipologie di “carezze”
Le carezze ci giungono in forme e modi diversi; per esempio possono essere fornite con mezzi diversi:
- carezze verbali: “ti voglio bene”, “sei stato bravo”, “complimenti, ottimo lavoro”, etc;
- carezze non verbali: pacca sulla spalla, cenno di assenso, etc.
Le carezze ci comunicano un riconoscimento “a prescindere”, ma possono comunicarci messaggi di tipo diverso e quindi possiamo distinguere tra:
- carezze positive: trasmettono il messaggio “tu sei ok” e si concludono con una sensazione di benessere in chi le riceve; Steiner chiama queste carezze “caldo morbido” proprio per descrivere questa sensazione (p.e.: “mi piaci”);
- carezze negative: sono invece dolorose e trasmettono un messaggio “tu non sei ok” e spesso si concludono con una spiacevole sensazione in chi le riceve; Steiner le chiama “freddo ruvido” (p.e.: “non ti posso vedere”);
Le carezze possono infine essere conseguenza di situazioni diverse:
- carezze condizionate: “ti dò un aumento se finisci il lavoro in tempo”;
- carezze incondizionate: “ti dò un aumento”.
Tutti questi riconoscimenti sono necessari per lo sviluppo dell’individuo, anche se con diversa intensità, durante tutta la crescita e la vita adulta. Nell’infanzia e durante tutto lo sviluppo le persone fanno delle prove per scoprire qual è il tipo di comportamento che può soddisfare il loro bisogno di carezze e, quando lo scoprono, tendono a riproporlo. Nel caso in cui non ricevano sufficienti carezze positive ricercheranno quelle negative, purche’ ci siano comunque. La ricerca di carezze può assumere molte forme e varia da persona a persona in relazione alle esperienze fatte: ogni persona ha un proprio “quoziente di carezze”.
Fame di struttura
L’ulteriore bisogno dell’individuo per la sua sopravvivenza è la “fame di struttura”. Si tratta del problema della strutturazione del tempo, ossia la necessità che tutte le persone hanno di organizzare in varie forme e modi il proprio tempo. Tale necessità è considerata talmente forte che viene ritenuta un vero e proprio problema esistenziale: “che senso ha la mia vita?”, “cosa posso fare per stare bene?”, “quale mio comportamento è socialmente accettato?”.
A livello operativo la strutturazione del tempo si può definire “programmazione” di tipo “materiale“, “sociale” e “individuale“.
Programmazione materiale
La programmazione materiale ha la funzione di permettere una valutazione di dati più o meno oggettivi tramite i quali noi riusciamo a pianificare la programmazione del tempo attraverso una agenda con priorità: “oggi devo fare questo questo e questo in questo ordine”.
Programmazione sociale e individuale
La programmazione sociale e individuale invece hanno a che fare con “conversazioni” che si risolvono in scambi regolati dal criterio della accettabilità sociale (salutarsi, parlare di sport, politica, partecipare a feste, etc,) e con scambi che tendono a seguire schemi ben definiti come lo sono i “giochi psicologici” (che verranno affrontati in un articolo successivo).
Modalità di strutturazione
Secondo l’Analisi Transazionale, gli esseri umani dispongono di diverse modalità di strutturare il proprio tempo:
- Isolamento: è la modalità in cui non si effettuano transazioni con gli altri. Le carezze che si possono dare o ricevere sono verso se stessi. Rappresenta il ritiro della persona dalle situazioni sociali, ha valenza positiva quando soddisfa il bisogno di ricaricarsi, concentrarsi, riflettere, etc. ed è scelto; ha valenza negativa quando la persona fa questa scelta come ripiego bloccandosi nel fare ciò che desidera.
- Rituali: in questo caso abbiamo una peculiare interazione sociale che procede in modo pre-programmato. Sono influenzati dalla cultura. Le carezze sono di tipo “rituale” e prevedibili, come le forme di saluto: “ciao come stai”, “bene, e tu?”. Può andare da un semplice scambio “Buongiorno” a forme lunghe e complesse come una cerimonia religiosa.
- Passatempi: sono la modalità caratterizzata dal parlare di argomenti di mutua accettazione, di conseguenza sono largamente influenzati dal contesto culturale; per fare un esempio possiamo considerare “passatempi” il parlare di calcio, di cinema e così via;
- Attività: l’energia è qui canalizzata verso un obiettivo concreto come il lavoro o un hobby.
- Giochi: sono modalità relazionali apprese per ricevere attenzioni che pur non completamente soddisfacenti sono più sicure perche’ conosciute; sono infatti riproposizioni di strategie infantili. Ai “giochi” verrà dedicato un articolo a parte.
- Intimità: è la modalità in cui si esprimono le vere emozioni e desideri senza censurarli. Il livello sociale e quello psicologico sono sempre congruenti. Nel gioco ciascuno addossa la responsabilità all’altro del suo esito; invece nell’intimità ciascuno accetta la propria responsabilità.
Come migliorare l’ambiente lavorativo tramite la contestualizzazione dei bisogni
Il modello di Berne circa le carezze ci fornisce uno strumento valido per dare significato ad alcuni nostri atteggiamenti. Riconoscere i nostri bisogni di riconoscimento ci dà una chiave di lettura circa i nostri desideri all’interno dell’ambito lavorativo.
Da un punto di vista organizzativo, prescindendo dalle differenze specifiche comunque presenti in ogni contesto, alcuni fattori facilitano lo scambio di carezze e il diffondersi di una “cultura organizzativa delle carezze”.
Esistono infatti organizzazioni prevalentemente “caldo-morbide” dove lo scambio di carezze è auspicabile, desiderato, apprezzato, formalmente riconosciuto; ma ci sono anche organizzazioni prevalentemente “freddo-ruvide” dove invece dare e ricevere “carezze” è aspramente sanzionato o anche semplicemente non previsto dalla cultura aziendale. La capacità di dare e ricevere carezze non diminuisce con l’aumentare delle dimensioni dell’azienda, come ingenuamente si potrebbe pensare associando l’idea dello scambio di carezze a un’azienda a conduzione familiare; al contrario è un aspetto culturale che si può declinare in tutte le aziende, indipendentemente dalla dimensione.
Alcuni dei fattori che facilitano lo scambio di carezze sono i ritmi di lavoro poco pressanti, un basso livello di competitività, una struttura organizzativa flessibile e poco gerarchizzata e un ambiente informale. Al contrario un’operatività pressante, una struttura rigida e altamente gerarchizzata e un ambiente formale possono agire da fattori ostativi per lo scambio di carezze andando ad inibire anche i comportamenti di quelle persone che invece, singolarmente, mostrerebbero una buona propensione nel dare e ricevere carezze.
Il ruolo del Project Manager
Il concetto di “carezza” può diventare uno strumento importante per comprendere determinati comportamenti e migliorare quindi l’ambiente lavorativo, tutto a beneficio del lavoro di gruppo (nella fattispecie, visto che stiamo parlando di Project Management, per fare in modo che il progetto funzioni meglio).
Può apparire ovvio che dare maggior riconoscimento al lavoro e al valore dei singoli sia una cosa buona che renda più sereno l’ufficio e fornisca maggiori stimoli ai collaboratori. Ma, nella pratica, in che modo questo modello può esserci di aiuto nel lavoro di tutti i giorni? Basta la pacca sulla spalla per far sì che tutto vada per il verso giusto? In realtà le cose non sono mai così semplici, anzi molto spesso ci appare del tutto fuori luogo dare un riconoscimento o una gratificazione.
Cosa dovremmo fare quando il nostro collega mette in atto comportamenti che ci appaiono bizzarri, quando abbiamo a che fare con persone dal carattere spigoloso (o addirittura avversario) del tutto in contrasto con lo spirito di “fare gruppo” tanto caro al PM? In realtà è esattamente in questi casi che dovremmo accendere il campanello di allarme e cercare di capire quale sia il reale motivo di determinati comportamenti “bizzarri”.
Questioni di riconoscimento
Quante volte ci sarà capitato di dover lavorare fianco a fianco con persone che per un motivo o per un altro finiscono per creare attrito nel gruppo? Quante volte Tizio fà di tutto per creare un problema? Oppure quando ricerca sistematicamente il modo per far tardi e non rispettare una consegna?
Spesso un collega come questo, seppur umanamente tollerato o addirittura simpatico, lavorativamente parlando rappresenta un rischio per il gruppo: dal punto di vista del project manager è un costo tenerlo all’interno del progetto, perche’ richiede un maggior impegno per tenere sotto controllo una situazione che rischia di diventare esplosiva.
Prima di pensare a quali possano essere le tecniche per ricondurre la situazione nell’alveo della gestibilità, conviene forse domandarsi il perche’ di determinati comportamenti. La teoria delle carezze potrebbe venirci in aiuto proprio in un contesto come questo: la ricerca di carezze è ricerca di attenzione; esistere, anche se con una connotazione negativa, è sicuramente preferibile al non essere considerati affatto. Per esempio un bambino che ha genitori che non sanno dare carezze positive (p.e.: “Bravo! Ti meriti un premio”; “Ti voglio bene”) ma che riceve da loro solo sgridate e sculaccioni farà di tutto per averne, pur di essere considerato.
Quindi la persona che si sente isolata o non considerata, o che non sente sufficientemente appagato il proprio ego, potrebbe mettere in atto un comportamento volutamente inaffidabile, perche’ in cuor suo crede che questo sia l’unico modo per essere al centro dell’attenzione.
Bloccare il circolo vizioso
Come si risolve una situazione del genere? Probabilmente il modo migliore forse è proprio quello di bloccare questo circolo vizioso, eliminando il concetto di colpa/rimprovero e provando a responsabilizzare chi ci sta di fronte.
Qui possiamo rispolverare la tecnica affrontata qualche tempo fa in uno degli articoli sulle transazioni: invece di instaurare il classico schema transazionale G–B (il genitore che rimprovera il bambino), si può provare a innalzare il livello della conversazione verso un A–A; quindi per esempio potremmo dire, da Adulto ad Adulto, “io avrei bisogno che tu facessi questo per me, perche’ io ho necessità che il progetto prosegua nei termini previsti”, ma anche “tu di che cosa hai bisogno per rispettare la scadenza?”. In questo caso è importante far comprendere che non è nostra intenzione stare a discutere circa il comportamento del singolo (magari con la velleità di educarlo o correggerlo), ma piuttosto trovare il modo affinche’ l’obiettivo venga raggiunto (il progetto giunga a termine).
È quindi essenziale non farsi coinvolgere nello schema in cui ci viene dato il compito del “genitore-cerbero”; ma sarebbe opportuno cercare di valorizzare i meriti del singolo, coinvolgendolo in attività più importanti per il progetto e cercando di rendere espliciti i bisogni del singolo.
Purtroppo non è detto che con questo approccio si riesca ad ottenere successo, e che in tempi rapidi e in modo semplice le cose cambino in meglio. Di fatto, occorrono attenzione ed equilibrio per capire fino a quando vale la pena provare a responsabilizzare qualcuno oppure fino a quando, per il bene del progetto, sia meglio metterlo da parte.
Strutturare il tempo
E per quanto concerne il bisogno di strutturazione del tempo? Beh in questo caso le varie categorie di auto-organizzazione viste poco sopra sono da prendersi così come sono, ossia vari modi per rispondere a una necessità che tutti noi abbiamo. Riconoscere come noi strutturiamo il nostro tempo è importante per capire come funzioniamo e se rispondiamo ai nostri bisogni in modo funzionale.
Dal punto di vista personale bisogna quindi cercare di comprendere qual è la nostra natura, cercando di assecondarla quanto possibile. Per esempio se il nostro carattere si stanca e si annoia facilmente a ripetere uno schema piuttosto costante, è bene cercare di organizzare la nostra agenda in modo da variare tipologia di attività con una certa frequenza.
A volte assecondare troppo l’umore del momento o subire una situazione che ci è imposta potrebbe comunque essere un fattore negativo; per esempio se vi riconoscete in un eccessivo isolamento forse è il caso che proviate a sperimentare nuovi modi per relazionarvi con gli altri: diminuire il telelavoro da casa, oppure provare a rilassarvi in compagnia di amici, fare sport di gruppo, andare in palestra.
Dal punto di vista del PM, la cosa più importante che si può fare è quella di non sottovalutare la predisposizione dei colleghi verso il rituale che più di adatta allo spirito dei singoli, cercando di conciliare esigenze personali con quelle del gruppo: un team composto tutto da persone con una spiccata propensione all’isolamento potrebbe portare a evidenti problemi di comunicazione.
Conclusione
In questo articolo si è cercato di mostrare come sia necessario per l’essere umano essere “riconosciuto”. Come si è visto, si tratta di necessità primordiali, che fanno parte di noi e non si deve cercare ne’ di impedirle ne’ di correggerle. Berne e l’Analisi Transazionale ci hanno raccontato queste cose con il preciso scopo di far comprendere certi “meccanismi”. Il Project Management dovrebbe adottare lo stesso schema: “questo è quello che siamo, negarlo sarebbe dannoso”. Comprendere i messaggi che ci vengono dati dagli altri e da noi stessi è forse il compito più difficile; ma è quello che ci permette poi di ottenere i risultati più evidenti.
Nella prossima puntata della serie parleremo di un altro importante capitolo della teoria transazionale di Berne, ossia dei cosiddetti “giochi”, per la cui comprensione era necessario introdurre prima di tutto le “carezze”.
Riferimenti
[ILO] International Labour Organization
[PS] Un sito italiano sul rischio psico-sociale
http://www.rischiopsicosociale.it
[RS] Rene’ Spitz, “Il primo anno di vita del bambino Genesi delle prime relazioni oggettuali”, Giunti-Barbera, Firenze, 1972
[AT] Silvia Taurello, “Il modello 101. Principi di Analisi Transazionale
[EB] Eric Berne, “A che gioco giochiamo?”, Bompiani, Milano, 1987
[AC] La voce dedicata al libro “A che gioco giochiamo” su Wikipedia
http://it.wikipedia.org/wiki/A_che_gioco_giochiamo