Agile BISiness Day
Dopo l’evento dell’anno scorso, gli organizzatori hanno ben pensato di fare il bis e di organizzare per sabato 16 settembre la seconda edizione dell’Agile Business Day [1]. #ABD17 si è connotato per una nutrita partecipazione di pubblico e per un programma fitto di talk e workshop, oltre ai tradizionali keynote di apertura e di chiusura.
Abbiamo partecipato alla giornata e in questo articolo riporteremo alcune nostre impressioni e considerazioni oltre a qualche sintetico resoconto dei talk cui abbiamo assistito. Per chi si fosse perso la conferenza, è disponibile sul canale YouTube dell’Università Ca’ Foscari — la conferenza si è tenuta proprio nel Campus San Giobbe dell’ateneo veneziano, che è partner di Agile Business Day — il video con le sessioni svoltesi in aula magna [2].
Ma chiaramente, la partecipazione diretta è altra cosa rispetto al pur interessante video, perché aggiunge ai contenuti anche tutte quelle possibilità di scambio di idee e di tessitura di relazioni che queste iniziative si portano dietro. Ma di questo parleremo più avanti.
I perché di una conferenza
Come già detto nell’articolo che l’anno scorso avevamo scritto a proposito, l’idea alla base di Agile Business Day è creare una giornata dove sia possibile far incontrare da una parte esperienze legate ai principi e alle metodologie Lean e Agile e dall’altra manager e professionisti provenienti dalle aziende di una certa strutturazione, da quelle medie ai “giganti” multinazionali, dal mondo bancario/finanziario e dalle pubbliche amministrazioni.
Possiamo testimoniare che, più che l’anno scorso, questo incontro si è effettivamente verificato, vista la nutrita presenza numerica aggirantesi, come impressione, oltre i quattrocento partecipanti, cifra di tutto rispetto per un evento del genere.
Ma più dei numeri conta il fatto che non si sono viste (solo) le solite facce di coloro che ormai da un decennio lavorano per far crescere il movimento Agile in Italia, ma molti nuovi arrivati, sia nelle fila di coloro che ormai praticano e lavorano con i principi e i metodi Lean/Agile, sia nel novero di coloro che a questi principi e a queste pratiche vogliono avvicinarsi provenendo da un mondo aziendale che sta, a poco a poco, recependo il valore e l’importanza di Agile.
Keynote, talk, workshop
Come di consueto per queste conferenze, anche #ABD17 si è svolto con la classica formula del keynote introduttivo e conclusivo in sessione plenaria, e dei diversi talk organizzati su vari binari paralleii, e di una serie di workshop distribuiti su tre aule in contemporanea, al mattino e al pomeriggio. Riassumendo, oltre ai 2 keynote, 6 workshop e 22 talk, a cui va aggiunta una “tavola rotonda” di discussione moderata in cui si è parlato di casi di adozione dell’Agile nelle pubbliche amministrazioni.
Nelle pagine del programma sul sito ufficiale dell’evento [1] i materiali relativi ai diversi talk sono già disponibili fin da pochi giorni dopo la conclusione della conferenza, con una tempestività che ha contrassegnato tutta l’organizzazione di Agile Business Day.
Prima di svolgere le nostre considerazioni conclusive, cerchiamo di riportare qualche sintetico accenno ad alcuni interventi significativi, più che altro per cercare di individuare alcuni temi ricorrenti e alcune linee di tendenza generali.
Keynote – Andrea Provaglio, “Shifting Consciousness”
Dopo la presentazione dell’evento e i saluti “istituzionali”, tocca ad Andrea Provaglio entrare nel vivo dei lavori, con il consueto stile che lo contraddistingue. La sua riflessione lascia spunti e stimoli durante l’intera presentazione.
Il lungo “volo” di Provaglio analizza il concetto di organizzazione così come lo conosciamo e propone alcune scelte operative per portare tali “organismi” a livelli di coscienza che ne consentano la prosperità e la sostenibilità. Solo aumentando la consapevolezza all’interno, ad esempio, di una azienda, è possibile per questa entità giungere a un pieno sviluppo delle sue potenzialità nel tempo.
Ma vediamo brevemente lo svolgimento di questa riflessione. Si parte da una riflessione sulle caratteristiche che connotano un’organizzazione e che sono la sua cultura (principi e valori) e la sua struttura (ruoli, gerarchie, politiche operative). Più che stare a discutere se una derivi dall’altra, occorre prendere atto che i due elementi sono in un rapporto biunivoco.
Prendendo spunto da quanto proposto da Frederic Laloux nel suo Reinventare le organizzazioni [3], viene fatta una panoramica sulle caratteristiche dei vari tipi di organizzazioni, classificate in base a un gradiente di colori (rosso, ambra, arancione, verde, “foglia di tè” o teal, una tonalità tra il verde e l’azzurro). Ogni colore rappresenta delle caratteristiche ben precise inerenti la cultura e la struttura di un’organizzazione, dalle più basilari e “tribali” alle più sofisticate ed “evolutive”. Ma in ogni organizzazione ci possono essere contemporaneamente elementi dell’uno o dell’altro colore.
Il succo di questo lungo esempio, che non manca di suscitare interesse e attenzione nel pubblico, è che non si tratta tanto di stare a dire chi è il buono e chi il cattivo, quanto di capire che le organizzazioni sono di un certo colore perché quel tipo di cultura e di struttura rispondeva ai bisogni dell’organismo in quel contesto, e sono così perché sono state create da un livello di coscienza che evolve al massimo fino al livello di coscienza della propria leadership. Detto questo però, viene riscontrato anche che le organizzazioni che aumentano il livello di coscienza sono però quelle che svettano nei risultati.
Andrea Provaglio, però, non si limita a una disamina così interessante ma che rischia di rimanere esercizio teorico. Infatti si spinge a proporre alcuni passi operativi e alcuni strumenti utili a favorire la presa di coscienza delle proprie caratteristiche da parte delle organizzazioni e a migliorare il livello di consapevolezza, a partire dal tipo di leadership adottata. In tal senso viene fatto un paragone tra leadership teal secondo il modello di Laloux [3] e leadership agile mettendo in evidenza la validità dei principi e delle pratiche del Manifesto Agile.
Manifesto che, comunque, necessita anch’esso di qualche “aggiornamento” — e questo è un tema caro e più volte riproposto dal relatore — nel senso che a quasi venti anni di distanza dall’ideazione dei principi che hanno costituito il Manifesto Agile, occore ora tenere presente la nuova realtà e modificare, seppur di poco, alcune proposizioni. In particolare, laddove si parla di “software funzionante più che la documentazione esaustiva”, bisognerebbe parlare di prodotto funzionante, visto che ormai Agile non è più qualcosa di limitato al software ma investe anche altri prodotti immateriali nonché oggetti materiali. E la proposizione “La collaborazione col cliente più che la negoziazione dei contratti” dovrebbe sostituire “cliente” con “collaborazione con gli stakeholder” nel senso che si deve collaborare con tutti coloro che hanno un qualche interesse e sono in qualche modo coinvolti nel progetto.
Le pratiche per il cambiamento del livello di coscienza prevedono interventi che coinvolgono intento, interazione e consapevolezza con una sorta di “giardinaggio organizzativo” come strumento che consente uno sviluppo armonico di certi elementi e previene l’insorgenza di elementi negativi o perlomento riesce a contenerne la portata.
Ma la conclusione di tutto l’intervento è che, senza un cambiamento dei livelli di consapevolezza, l’adozione di pratiche agili nelle aziende, per quanto positiva, può avere solo una portata limitata.
Keynote – Phil Abernathy, “Business Agility”
Sempre di temi legati all’agilità nell’ambito della grande organizzazione ha parlato anche il keynote finale, tenuto da Phil Abernathy che è Agile Alchemist presso la IBM: il job title dice già abbastanza su quanto poco “deterministica” sia l’adozione dell’agilità…
Con piglio decisamente rilassato e divertente, Abernathy ha riassunto una serie di casi di esempio sull’adozione della Business Agility nelle grandi aziende. Partendo dal consueto discorso sulla separazione delle attività per cui c’è una discrepanza tra chi fa strategia — i ruoli apicali — e chi poi deve trasformarla in implementazione — il tipico gruppo di sviluppo — il relatore ha posto delle domande alla platea.
Perché, nel giro di dieci anni, ci sono state pochissime aziende che sono cresciute in maniera enorme rispetto alle molte altre aziende con cui erano partite alla pari? Che ruolo riveste la tecnologia in questa crescita? La risposta è che le tecnologie a disposizione dei vari competitor era la medesima, ma il vantaggio competitivo è stato dato dal metodo di lavoro: il way of working tra l’altro è anche una delle cose più difficili da copiare, rispetto a un marchio o a un prodotto…
Anche in questo caso si è tornati a parlare dell’importanza di una leadership agile e va notato che si parla sempre più di leadership, vale a dire della funzione, della attività e delle qualità/competenze necessarie per applicarla, e sempre meno di leader, nel senso di “capi” che trascinano un gruppo in virtù di qualità eccezionali.
Quali sono i consigli per l’implementazione della Business Agility? Senza dubbio il fatto di renderla una decisione strategica per tutta l’organizzazione, di rendere responsabili i leader e di investire in formazione, fatto quest’ultimo mai troppo sottolineato.
Talk – Fabio Armani, “Business Agility: an exploration”
L’intervento di Fabio Armani è stato un po’ una suite “progressive” — crediamo che il relatore sia contento di questa nostra considerazione… — e come tale merita sicuramente di essere rivista in video, anche per non perdersi il gran numero di slide proiettate, molte delle quali ricche di spunti per la riflessione e l’approfondimento [4].
Sintetizzando al massimo, come faremo per la categoria dei talk, si è trattato, come da titolo, di una “esplorazione” alla ricerca di alcuni aspetti fondamentali inerenti la Business Agility, da cui sono emerse alcune considerazioni assodate. In primis, non si può applicare metodologie agili in una grande azienda senza tenere in considerazione le teorie della complessità: illudersi di farlo in maniera meccanicistica significa non aver compreso l’approccio globale che c’è dietro l’agilità.
In secondo luogo, occorre individuare con attenzione nell’organizzazione un modello culturale che ci spiega il perché delle cose, un ecosistema in cui tale modello si evolve che ci spiega il come, e una serie di pratiche e di abitudini che rappresentano il cosa.
Talk – Giovanni Puliti & Luca Bergero, “Applicare Agile in azienda non sarà più una notizia quando applicare Agile in azienda non sarà più una notizia”
Sempre a tematiche di ordine organizzativo e di evoluzione del modello culturale nelle aziende ha fatto riferimento anche il talk presentato da Giovanni Puliti e Luca Bergero. Al di là della lunga tautologia compresa nel titolo, che tutto sommato è anche un po’ fuorviante, si è trattato di una presentazione — realizzata con uno stile ispirato alla grafica dei dischi dei Kraftwerk — in cui si è proposta una introduzione ai concetti di antifragile inzialmente sviluppati da Nassim Nicholas Taleb.
Si è trattato di una sintetica ma chiara introduzione ai principi dell’antifragilità, presentati però a partire da casi di esempio che in tanti hanno potuto sperimentare nelle loro aziende. In conclusione, è stata anche proposta un’idea di Antifragile Manifesto composta da valori e principi [5].
Talk – Marco Calzolari, “Performance e potenziale delle persone: quantificare il non misurabile”
I temi della Business Agility e delle organizzazioni complesse sono stati fra i più gettonati e, in parte, anche l’intervento di Marco Calzolari può essere fatto rientrare in questo “filone”, seppur con un taglio ben preciso che è quello dell’organisational design declinato anche attraverso ciò che generalmente è chiamato HR, ossia la gestione delle persone.
Si è trattato di una disamina molto dettagliata, ma anche molto inspirational e apprezzata dai presenti, che da un lato ha passato in rassegna una serie di assunti dati per scontati nell’organizzazione aziendale (tipi di motivazione, ranking delle prestazioni etc.) e dall’altro ha fornito un gran numero di spunti per un nuovo approccio alle HR, basato su una visione innovativa, incentrata sulle persone e su una “progettazione organizzativa” delle strutture aziendali.
Talk – Marco Pasqualini, “Introduzione al design thinking”
Oltre al filone “oganizzativo”, molto spazio è stato occupato da talk dedicati ai temi del design thinking, della progettazione delle esperienze utente e, secondariamente, delle interfacce che implementano la UX.
Il primo talk di questo genere a cui abbiamo assistito nella mattinata è stato quello di Marco Pasqualini, che fin dal titolo ha inteso fornire, appunto, una introduzione al design thinking. Fin da subito è stata fatta una giusta distinzione fra strumenti del design thinking (i grafici, i Post-it, il Lego etc.) e processo — non è un prodotto — di design vero e proprio, ossia un metodo per risolvere i problemi utilizzando i principi del design.
Attraverso alcuni esempi, tra cui un video che mostrava la nascita del processo “speedy” per il funzionamento dei primi fast food McDonald’s, è stato possibile rendersi conto di certe meccaniche, e anche del fatto che il design thinking si implementa con un approccio top-down anche se le soluzioni possono emergere dal basso.
Talk – Chiara Danese, “Design for Industry 4.0”
Su ambiti legati al design si è mossa anche Chiara Danese che ha presentato un intervento dal titolo, a dire il vero, un po’ fuorviante. Si è infatti solo accennato al mondo dell’Industria 4.0 e ci si è concentrati invece su alcuni “classici” concetti di design, peraltro molto ben sintetizzati ed esposti.
Dopo una brevissima introduzione sul rapporto tra design e Industria 4.0, la relatrice si è concentrata sui principi dello human-centred design, sulle similitudini e differenze che esistono tra progettare un prodotto, un servizio o un’esperienza. Anche qui si è fatto riferimento al design thinking e all’importanza della prototipazione, illustrando il processo tipico che consiste nelle fasi iterative di discover, define, design, implement e validate.
Talk – Marco Negri, “When the public sector goes agile”
Ci sono poi stati svariati interventi da collocare nella categoria dei racconti di esperienze reali. Quello di Marco Negri, che lavora come IT Manager di ANAS S.p.A., azienda al 100% pubblica, ha avuto il merito della linearità, della chiarezza e anche di illustrare alcuni aspetti molto particolari e interessanti relativi ai contratti e al rapporto tra fornitori e committente.
Molti sono stati gli argomenti toccati: dal solito preconcetto “Siamo nel pubblico, non funzionerà”, al concetto fondamentale di fiducia senza il quale si fa ben poco; dalla “conversione” del Project Manager del fornitore in Scrum Master e del Project Manager del committente in Produc Owner, alla tipologia di contratti adottati, basati sulla produzione di story points e non di funzionalità. A tal proposito, piuttosto interessante il fatto che il contratto veniva inizialmente basato su una produttività “stimata” e poi, dopo cinque sprint, aggiustato sulla base della produttività misurata.
Ma l’aspetto più interessante è stata la constatazione che l’introduzione di Scrume e dell’approccio agile in alcuni progetti si è riverberato in cambiamenti avvenuti a livello di leadership e management. In pratica, un mutamento del paradigma culturale.
Workshop
Non abbiamo partecipato ad alcun workshop, anche perché i posti disponibili erano stati tutti prenotati già un’ora dopo l’apertura delle iscrizioni, a testimonianza dell’interesse che tale tipo di sessione sempre riscuote.
Ad ogni modo, dalle impressioni raccolte tra i partecipanti nei momenti finali della conferenza, ci è parso di percepire soddisfazione e a tratti anche entusiasmo per i workshop tenuti: la formula è coinvolgente, si torna a casa avendo appreso qualcosa ed è un formato su cui sicuramente investire.
Considerazioni conclusive
La giornata è stata sicuramente positiva per molti motivi. Anzitutto una partecipazione numerosa e variegata, con persone provenienti da “mondi” diversi; anche da questo è conseguito un proficuo momento di “networking”, facilitato dall’aperitivo a base di spritz inserito a fine delle attività. Le persone si sono parlate, si sono scambiate informazioni e contatti, e in qualche caso sono nate anche collaborazioni. In questo senso, #ABD17 ha svolto egregiamente una funzione di “fiera dell’Agile”, e sia detto nel senso più positivo possibile.
Certo ci sono anche degli aspetti da mettere a punto: il programma è probabilmente stato troppo fitto, con tempi serratissimi che non sempre hanno favorito l’attenzione e la partecipazione totale ai talk e con il solito problema della scelta fra talk che si accavallavano.
Oltre a questo, va considerato che forse gioverebbe alla scelta delle sessioni a cui prendere parte una indicazione del “livello” degli stessi: proprio per l’eterogeneità dei presenti — agilisti e persone del business, di varia estrazione — è bene che ci siano alcuni talk di livello introduttivo e magari altri più adatti a chi già ha abbracciato da tempo questo approccio. Però l’indicazione del tipo di pubblico a cui si rivolge un determinato talk o workshop potrebbe facilitare nella scelta.
Si tratta solo di aggiustamenti, che gli organizzatori vorranno eventualmente prendere in considerazione: sarà la splendida cornice veneziana, sarà che si tratta del primo appuntamento della stagione, ma ci è parso proprio che i partecipanti siano andati a casa piuttosto contenti. Arrivederci ad #ABD18.