Introduzione
Per favore leggete bene il titolo: questi non sono i soli argomenti di cui si parlerà nel 2018 a livello tecnologico, ma sono solo cinque degli argomenti tecnologici di cui, in generale, si parlerà nell’anno in corso. Ce ne sono sicuramente altri. Alcuni di questi non sono affatto delle novità e infatti il titolo non è “novità del 2018”…
Ciò che ci preme indicare in questa breve carrellata è una serie di argomenti che nel 2018 occuperanno o continueranno ad occupare le discussioni non solo degli “esperti”, ma anche un panorama più generale. Pensiamo ad esempio alle criptovalute. Nel 2013 era argomento già all’ordine del giorno non solo di nerd tecnologici o inquietanti frequentatori del deep web, ma di certo non appariva come argomento mainstream.
Con l’anno scorso, questo argomento è diventato di dominio pubblico; ai recenti pranzi di Natale forse più di un lettore si sarà sentito chiedere dal parente di turno: “Ma tu che ‘lavori con i computer’, mi sapresti spiegare che cosa è questo Bitcoin?”. Nessuno si sarà è sentito chiedere perché lo stile architetturale a microservizi rappresenti attualmente la scelta d’elezione per realizzare sistemi integrabili e funzionali. Però il Bitcoin, quello sì…
Blockchain
E allora partiamo da qui. Di sicuro il tema delle criptovalute sarà all’ordine del giorno, anche perché non si tratta di un elemento esclusivamente tecnologico, ma di qualcosa legato anche al mondo dell’economia e della politica monetaria. Per quanto basate su sistemi tecnologici estremamente avanzati e anche diversificati tra loro, alla fine Bitcoin, Ether e compagnia bella sottostanno anche alle regole dell’economia e della finanza, in quanto “moneta”, specie nei casi in cui andranno convertiti in un controvalore “standardizzato”.
E da più parti si sta tentando proprio di ricondurre tali “valute” nell’alveo del controllo dei tradizionali enti di scambio (le borse) e vigilanza (statale o sovrastatale, visto che le criptovalute sono “monete” che non sono battute da alcuno Stato). In tutto questo, pesa anche la consapevolezza che il pericolo “bolla speculativa” è tutt’altro che remoto e che le cosenguenze in caso di scoppio della bolla potrebbero avere ripercussioni molto meno “cripto” di quel che si potrebbe supporre.
Diverso è invece il discorso per uno degli elementi “tecnologici” che sono alla base di questo fenomeno, ossia la ormai “sdoganata” Blockchain. Di Blockchain si parla ormai in modo diffuso e competente su blog e siti dedicati [1] (anche su questo numero di MokaByte c’è il primo articolo di una serie dedicata, N.d.R.) e si cominciano — finalmente — a intravedere applicazioni che vadano oltre le criptovalute.
Come tutti sapranno, semplificando al massimo la Blockchain è un database in sola scrittura, distribuito, in cui vengono registrate con un preciso marcatore temporale, tutte le transazioni che avvengono su un determinato elemento; oltre a ciò, tali transazioni sono pubbliche nel senso che viene a crearsi una sorta di registro aperto (il cosiddetto “libro mastro”) e diventa quindi possibile verificare chi ha scambiato cosa con chi. Affinché le transazioni entrino in un blocco è necessario un processo di controllo, validazione e cifratura che ha un “costo” in termini computazionali. Se qualcosa non torna in questo processo, il blocco è rifiutato. Se tutto va bene, il blocco entra a far parte della “catena di blocchi” e la blockchain si allunga.
Questo meccanismo, qui banalizzato al massimo, ha come conseguenza l’immutabilità dello “storico” del database e la garanzia dell’integrità e affidabilità dei dati contenuti all’interno della blockchain. Qui sta la potenza “rivoluzionaria” del meccanismo.
Tante applicazioni ipotizzabili
Le applicazioni ipotizzabili, infatti sono molteplici: ovviamente ci sono evidenti ricadute in ambito finanziario, e alcuni gruppi bancari, anche in Italia, stanno già lavorando in questo senso. Ma le applicazioni forse più sorprendenti arriveranno da ambiti diversi da quello di banche, finanza e assicurazioni. Si pensi, ad esempio, al valore che la blockchain potrà avere nell’ambito della protezione del diritto d’autore per i prodotti digitali, o di quello che si può fare per garantire al tempo stesso integrità, riservatezza e sicurezza per i dati inerenti alla salute e al fascicolo sanitario di un paziente.
Qualcuno poi, forse memore dello spirito “movimentista” e libertario che ha animato Internet ai suoi albori, ha già intravisto le potenzialità legate all’espressione del voto e al processo di partecipazione democratica e di elezione: impossibilità di alterare i risultati e trasparenza degli stessi potrebbero davvero rappresentare un’innovazione epocale in campo politico.
Se i primi dieci anni di Blockchain — inventata nel 2008 — sono certamente quelli del Bitcoin, gli anni a venire potrebbero davvero rappresentare l’affermazione di questa tecnologia in svariati ambiti della vita aziendale e personale.
Intelligenza artificiale e apprendimento automatico
Se siete tra coloro che devono necessariamente usare sigle e termini inglesi, va bene… parliamo di AI e machine learning, che sono temi anch’essi tutt’altro che nuovi, ma che restano dirompenti e che vedono concentrarsi proprio in questi anni una serie di elementi e sviluppi che li hanno fatti entrare ormai nella vita quotidiana delle persone comuni senza che esse se ne rendano neanche più conto.
Gli studi in questo campo vanno avanti dalla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, e ne sono serviti una quarantina prima che, almeno a livello “popolare”, si percepisse la potenza delle applicazioni di intelligenza artificiale, con la celebre partita di scacchi in cui il computer Deep Blue riuscì a battere l’allora campione del mondo Garry Kasparov, peraltro forse con qualche “aiutino” umano diretto rappresentato da una riprogrammazione del codice effettuata dagli ingegneri della IBM quasi “in diretta” affinché il software si adattasse maggiormente allo stile di gioco del campione umano (la storia, abbastanza interessante, è raccontata in un documentario del 2003 intitolato Game Over: Kasparov and the Machine [2]).
AI: applicazioni ormai comuni
A poco più di venti anni da quella partita, i passi in avanti fatti sono stati enormi: gli algoritmi di data mining consentono adesso addirittura di scoprire ciò che non si sapeva di sapere, il che è leggermente differente dall’intelligenza artificiale in senso stretto, ma ha aperto comunque orizzonti amplissimi. I diversi approcci al machine learning hanno trovato campi di applicazione a cui più specificamente si adattano.
Dalla robotica industriale e consumer ai veicoli a guida automatica, dal riconoscimento vocale e dei tratti somatici — ormai presente comunemente in molti smartphone — agli algoritmi che selezionano le notizie (o la pubblicità) da mostrare sui social media, dall’analisi automatizzata di immagini in ambito medico a quella nell’ambito dell’agronomia e delle scienze forestali che consente di scopire “pattern” e “cluster” e formulare ipotesi, queste tecnologie permeano la vita quotidiana.
Il nodo etico
Ciò che non può essere trascurato sono le implicazioni etiche connesse in tutto questo: solo per fare un esempio, come deve essere applicata — o modificata — la legislazione civile e penale una volta che le automobili a guida automatica saranno sulla strada? Chi sarà responsabile in caso di incidente? Come deve comportarsi l’Intelligenza Artificiale alla guida di un veicolo in caso di scelta fra due situazioni dagli esiti ugualmente negativi?
E poi, nell’ambito dell’apprendimento automatico, su che basi si apprende? Se gl insiemi di dati forniti ai sistemi per il loro addestramento sono faziosi o contengono pregiudizi, i sistemi potrebbero apprendere proprio questi pregiudizi culturali, ad esempio il razzismo o altre forme di discriminazione. Pertanto diventa cruciale che i dati siano raccolti tenendo conto di questi potenziali problemi [3]. La tecnologia — già piuttosto matura — non basta e la svolta cruciale sta proprio nell’incorporazione di questo tipo di problematiche all’interno degli sviluppi e dell’implementazione di tali tecnologie in ambito reale.
Facebook e i nuovi algoritmi di apprendimento automatico
Per concludere su questo argomento: il 2018 sarà anche l’anno in cui Facebook “aggiusterà” i propri algoritmi che decidono il newsfeed personalizzato per ogni utente. In un recentissimo post [4], Mark Zuckerberg ha annunciato che, dopo un periodo in cui hanno trionfato sul social media annunci sponsorizzati, pubblicità varie e notizie provenienti dai grandi gruppi di media e news, è ora in atto una modifica agli algoritmi in maniera da far tornare Facebook “alle origini”: maggiore enfasi sarà data ai post di amici, parenti e persone con cui si condividono strettamente interessi comuni (passione sportiva, gusti musicali, appartenenze a cause etc.).
In realtà, da più parti [5] e anche con un pizzico di scaltrezza, si è visto in questa scelta un’abile mossa per mettere i propri sistemi di machine learning in grado di comprendere meglio i reali desideri delle persone estraendoli da comportamenti comuni attuati continuamente nella vita reale nell’ambito ristretto e “protetto” della propria comunità più prossima (famiglia, amici, compagni di interessi). Una profilazione molto dettagliata, da fare anche su foto e video, che non mancherà di avere i suoi ricavi economici: magari verrà proposta meno pubblicità, ma quella poca sarà più mirata, coinvolgente, efficace e… remunerativa.
Internet of Things. Anzi Agile + IoT
Di Internet degli oggetti si parla dai primissimi anni Zero, ed è ormai qualcosa che sperimentiamo nella vita quotidiana. Innumerevoli dispositivi e sensori interconnessi alla rete raccolgono e trasmettono informazioni a distanza e consentono di monitorare da remoto i più disparati campi applicativi: dai processi industriali al controllo della qualità ambientale (per esempio centraline che misurano l’inquinamento atmosferico), dalla videosorveglianza di aree estese tramite telecamere alla produzione agricola e zootecnica, dalla domotica alla gestione dei sistemi di car- e bike-sharing, sono davvero poche le attività in cui non sia ipotizzabile un uso di IoT.
Va detto che dalle prime, visionarie, ipotesi di inizio millennio alle attuali concrete implementazioni si è arrivati grazie a tecnologie che si sono evolute e hanno messo a disposizione funzionalità prima non disponibili. I tag RFID, lo standard IEEE 802.15.4e e la loro integrazione in architetture basate su protocollo IP hanno consentito davvero ai sensori di “dialogare” con la rete Internet e di far ipotizzare possibilità di sviluppo che parlano di decine di miliardi di oggetti connessi entro il 2020.
Chiaramente, tutto questo oltre che dei vantaggi ha dei “costi”: per esempio in termini di privacy e sicurezza (chi e come gestisce i dati che vengono raccolti dai dispositivi/sensori?). O in termini ambientali: quanta energia serve per alimentare questi sistemi?
Agile meets IoT
Anche da considerazioni di questo tipo emerge la necessità di individuare delle strategie di governance per l’IoT, sia in fase di ideazione che in fase operativa. In tal senso, da varie parti — e anche in Italia [5] — si stanno proponendo approcci basati sull’inserimento dei principi e delle pratiche di matrice Agile proprio nell’ambito dell’IoT.
L’anno appena iniziato — e probabilmente anche quello immediatamente successivo — ci farà intravedere gli sviluppi di questo approccio promettente e se esso si diffonderà sempre di più.
Modelli organizzativi per aziende che evolvono
Dieci anni fa erano “Carboneria” per pochi e selezionatissimi adepti; cinque anni fa erano pratica operativa solo per una nicchia di realtà aziendali disposte a sperimentare; oggi le metodologie che ricadono sotto l’ombrello “Agile” sono pratiche sempre più diffuse: Scrum e Kanban, un tempo roba per pochi e “strani” gruppi di sviluppo, non saranno ancora l’approccio mainstream nella maggior parte delle aziende, ma si stanno affermando ormai come pratiche riconosciute e affidabili. Sempre più grandi aziende, anche in Italia, intraprendono questo percorso.
Esattamente due anni fa, un articolo [7] il cui titolo tradotto è La terza ondata di Agile guardava al futuro con la considerazione che, dopo la prima ondata — quella delle pratiche che consentono di creare team di sviluppo agile — e la seconda ondata — quella che si è incentrata sul modo in cui scalare i team agili verso organizzazioni più grandi e complesse — eravamo in presenza di un terza ondata, incentrata sull’agilità per il business. Secondo lo schema pubblicato in quell’articolo, il 2018 dovrebbe essere l’anno “cardine” di questa ondata.
Sulla base delle pratiche agile, occorre per le grandi organizzazioni costruire una cultura aziendale che accetti e comprenda la complessità, favorisca innovativi stili di leadership e di management, scopra un nuovo modo di concepire il flusso che porta alla realizzazione del prodotto, rivoluzionare il classico approccio HR, ribaltandolo anche nei termini che si usano: le aziende non sono costituite da “risorse umane” ma da persone, che ci lavorano. Occorre, per citare un libro di grande successo [8], un’organizzazione aziendale antifragile, capace di reagire positivamente al cambiamento e anche alle inevitabili “turbolenze” che attraverserà.
Questi sono fatti noti: qualche azienda, anche grande, sta andando in questa direzione; la sfida dei prossimi anni sarà riuscire a implementare la filosofia e i concetti in pratiche operative a livello aziendale, come è successo per i team con Scrum e Kanban.
Dove sono finiti i dispositivi “game changer”?
A fine 2017 ha fatto notizia il calo in borsa di Apple che sarebbe dovuto, a quanto pare, alle notizie sulla obsolescenza programmata che riguarderebbe alcuni prodotti della casa di Cupertino — bella scoperta… e non solo per quanto riguarda i dispositivi marcati con la mela — ma soprattutto a voci sulle previsioni al ribasso delle vendite di iPhoneX, lanciato a novembre [9]. È tutto da verificare, e lo vedremo proprio al termine del primo trimestre 2018, ma pare che dall’iniziale previsione di 50 milioni di pezzi venduti si sarebbe scesi a una più abbordabile cifra di 30 unità vendute entro i primi tre mesi del 2018.
Un ridimensionamento che può essere uno spunto di riflessione per concludere: pesa certo il prezzo elevato del dispositivo, pesa la disponibilità di ottimi modelli della concorrenza. Ma quello che è cambiato in questi dieci anni — il lancio di iPhone è del 2007, la sua disponibilità sul mercato italiano è del 2008 — è che è oramai difficile far evolvere in modo dirompente un prodotto che, nei primi anni, ha davvero realizzato una rivoluzione. È un processo normale: un prodotto nuovo — non “rinnovato”, ma nel senso che proprio non esisteva prima — arriva sul mercato, cambia le carte in tavola, ha successo, crea un nuovo mercato, evolve e continua ad avere successo ma poi si stabilizza, in una sorta di ineluttabile omeostasi tecnologica.
Quel che resta da chiedersi è se si prospetta all’orizzonte una qualche novità tecnologica in grado di avere l’effetto dirompente che la rivoluzione “mobile” ha avuto nello scorso decennio. Vedremo.
Conclusioni
E Industry 4.0? E lo stile architetturale a microservizi? E DevOps? E i container? Calma… era chiaro fin dal titolo che avremmo toccato solo alcuni argomenti. Di sicuro il panorama tecnologico in senso lato ci riserverà qualche sorpresa, forse proprio dagli argomenti che non abbiamo toccato…