L’ingegner Vacca prima di Gartner…
Riguardando l’articolo scritto l’anno scorso [1] in cui venivano presentati alcuni argomenti che sarebbero stati al centro del dibattito per il 2018, mi ha colpito la sostanziale attendibilità delle cose scritte lì. Certo, non stavamo a giocare alla roulette o alle estrazioni del lotto, laddove il caso — o la fortuna, a seconda delle credenze — assume il ruolo predominante.
Erano bastate la lettura di alcuni articoli di “previsione” sulle tendenze, un’analisi di quanto sta succedendo negli ultimi anni e qualche considerazione basata sul buon senso — e non su pregiudizi ottimisti a oltranza o drasticamente pessimisti — per scrivere cose che poi si sono puntualmente verificate. Il crollo delle criptovalute intese come “monete” o la crisi dei dispositivi game changer — si pensi alla riduzione delle vendite per i nuovi modelli Apple — erano fenomeni già ben annunciati da una serie di segnali univoci.
Anche per questo inizio 2019, quindi, riprendiamo il nostro discorso sulle tendenze tecnologiche per il nuovo anno, non tanto con lo scopo di fare “scommesse vincenti”, quanto di prendere questo format come pretesto per discutere di argomenti importanti per chi si occupi di tecnologie, ICT e quanto gli ruota intorno. I “futurologi” sono una categoria che esiste da tanto tempo e che ha, ai due limiti dello spettro, lo scrittore di fantascienza, magari distopica, e il severo analista che cerca di individuare con anticipo idee e tendenze che potranno svilupparsi, nonché la direzione verso cui andranno.
Tutti gli interessati a queste tematiche conoscono le previsioni operate dal gruppo Gartner [3] ma solo i più anziani avranno forse letto opere quali Il medioevo prossimo venturo [2] che tentavano, all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso, una serie di previsioni a medio-lungo termine. Anche se alcune delle ipotesi esposte in quel saggio dell’ingegner Vacca sono state ampiamente smentite dagli eventi, è interessante notare come altri ragionamenti di fondo stiano emergendo in tutta la loro importanza a quasi mezzo secolo dalla pubblicazione.
Gli argomenti
L’anno scorso avevamo individuato come argomenti importanti per il 2018 i seguenti temi:
- Blockchain
- Intelligenza artificiale e apprendimento automatico
- Internet of Things
- Modelli organizzativi per aziende che evolvono
- La “scomparsa” dei dispositivi game changer?
Volendosela cavare con poco sforzo, potremmo riprendere gli stessi titoli e modificare un po’ quanto scritto, e non saremmo poi tanto fuori tema. Ma, come dicevamo, si trattava solo di alcuni argomenti e molti altri erano rimasti fuori. In questo articolo per il 2019 sviluppiamo il discorso andando a vedere altri temi anche se, come noterete, sarà impossibile non ripetersi un po’, almeno per qualcuno di essi.
Ci occuperemo sostanzialmente di tecnologie in senso lato — dall’infrastruttura hardware agli stili architetturali — ma lasceremo fuori volutamente gli aspetti maggiormente legati all’organizzazione aziendale e alle metodologie di processo: sono tematiche cruciali, poiché riguardano in prima istanza le persone e la componente umana è la più importante e cruciale nell’immediato futuro per lo sviluppo tecnologico e del progresso. Ma, visti i numerosi articoli che su MokaByte vengono pubblicati al riguardo (metodologie agili, Agile HR, gestione di progetto etc.), preferiamo volgere lo sguardo verso altro.
Al termine dell’articolo, come vedrete, affronteremo però brevemente due aspetti non tecnici ma che stanno emergendo sempre più come fondamentali per il futuro sviluppo tecnologico.
Un mondo sempre più “smart” e connesso
Tra i regali natalizi più gettonati per i nerd tecnologici ci sono stati sicuramente gli assistenti vocali e gli smart speaker su cui funzionano: i vari Google Home (con Assistant) o Amazon Echo (con Alexa) hanno ricevuto una grande attenzione anche a livello mainstream.
Sono dispositivi che funzionano bene e che, per quanto assolutamente non necessari, possono facilitare molte operazioni della vita quotidiana del consumatore digitalmente evoluto. Entrano a far parte di un sistema connesso sempre più ampio e diversificato — per molti lo smartwatch ha definitivamente soppiantato l’uso del caro vecchio orologio da polso — che fa leva su tecnologie ormai mature, a partire dalle connessioni e dall’intelligenza artificiale sottostante a tutti questi sistemi.
Si tratta di un settore in cui, con ogni probabilità, continueremo a vedere sviluppi magari non eclatanti, ma costanti e funzionali. Con un paio di “riserve”: la prima, banalmente, è sempre la stessa, ossia la sicurezza. A differenza di qualche anno fa, in cui forse i toni erano eccessivamente allarmistici e a volte segnatamente apocalittici, ci sembra che il tema della sicurezza informatica e dei possibili ulteriori punti di ingresso per eventuali malintezionati non venga più affrontato con le adeguate attenzioni da parte di molti.
Il secondo “dubbio” riguarda la ormai stabilita politica del walled garden. I giganti della hi tech puntano a creare sistemi chiusi e ben “marcati” in cui mal si inseriscono dispositivi di terze parti, e da cui sono chiaramente esclusi i concorrenti diretti. Il concetto di open, tanto importante nel primo periodo di affermazione della rete, sembra ormai relegato in secondo piano…
Servizi di contenuti multimediali in streaming
Spotify non è certo una novità tecnologica. E non lo è neanche Netflix. E neppure un servizio di streaming di contenuti sportivi come DAZN che, per quanto partito male quest’anno, sta ultimamente decollando in termini di gradimento e, soprattutto, di offerta di palinsesto.
La novità è casomai la loro affermazione sia in termini numerici di diffusione, sia come modelli da seguire e imitare — a volte anche un po’ a sproposito — per ogni nuova iniziativa che coinvolga la fruizione di contenuti multimediali e, in senso lato, editoriali.
Di fatto questi servizi segnano una svolta non solo tecnica ma anche “antropologica”: il consumo non lineare di contenuti, l’interattività, la visione o l’ascolto “on demand” non sono più possibilità o opzioni, ma la regola. E poi c’è un altro aspetto, legato alle connessioni, di cui però parleremo solo dopo aver visto un’ulteriore tematica.
Autonomous Things
Usiamo questa categoria ampia per indicare quel settore che riguarda robot, droni, automobili a guida autonoma e quant’altro. Sono anni che si fanno gradi progressi in questo settore, ma siamo ancora lontani da dispositivi autonomi prodotti e utilizzati su scala industriale. Basta guardare però alle capacità di certi droni commercialmente disponibili, ormai diffusi in maniera massiccia, per rendersi conto che i progressi tecnologici ci sono e sono evidenti: e non stiamo parlando di “giocattoli” ma neanche di sofisticati sistemi militarii.
A frenare la diffusione di questi dispositivi autonomi restano però due ordini di fattori. Il primo, molto delicato, è di natura legale: per esempio, se un’automobile a guida autonoma resta coinvolta in un incidente, a chi va attribuita l’eventuale responsabilità, con le connesse conseguenze sul piano legale e assicurativo?
Il secondo, è di ordine tecnologico ed è cruciale: fatto salvo l’intervento di correzione in tempo reale da parte di un operatore (guidatore a bordo, pilota in remoto etc.) il funzionamento di questi dispositivi è governato da un mix di istruzioni preimpostate e adattamento real time al contesto in cui operano. Quindi servono sensori in grado di raccogliere dati dall’ambiente, una capacità computazionale che possa interpretarli e una continua connessione alla rete affinché lo scambio di dati e informazioni sia sempre sincronizzato. È per questo che il prossimo argomento assume già in questo e nel prossimo anno l’importanza forse più elevata di tutti gli altri.
Connessioni mobili 5G
Usando una terminologia un po’ desueta, possiamo dire che il 5G sarà, nell’immediato, la tecnologia abilitante di molte altre. E il 2019 e il 2020 saranno anni di svolta per l’affermazione del 5G. In breve, va detto che non si tratta di una specifica unica tecnologia, quanto di un insieme di infrastrutture e tecnologie nell’ambito delle telecomunicazioni [5] che creano sistemi di trasmissione con prestazioni davvero notevoli.
Con le connessioni 5G si parla di trasferimento di dati che potrà raggiungere velocità fino a 1 Gigabit per secondo. Una copertura 5G e un mix ben funzionante tra essa, coperture 4G, Wi-Fi e reti fisse garantirà una connessione continua e uno scambio di dati in grado di sostenere proprio ciò di cui parlavamo prima: sempre più smart objects tra di loro connessi, una fruizione senza intoppi dei contenuti digitali in streaming e, soprattutto, una maggiore affidabilità delle autonomous things specie se si tratta di “oggetti” in movimento, magari di dimensioni consistenti (come i droni per consegne o, ancor più, le automobili a guida autonoma del futuro).
Forse è proprio la diffusione della copertura 5G — che presuppone anche una serie di interventi infrastrutturali “fisici” a livello di antenne e ripetitori, oltre all’adozione di soluzioni più strettamente tecnici in ambito di protocolli e sistemi di tramissione e ricezione — a rappresentare uno dei temi più importanti e anche più concreti dell’immediato futuro. Non sarà però questione che si esaurirà in tempi brevissimi e sarà forse uno degli argomenti da spostare più verso il 2020 che nell’anno appena cominciato.
Computazione non convenzionale
Qui non sapevo che termini scegliere e ho voluto raccogliere sotto questo titolo le considerazioni riguardanti edge computing e quantum computing [4].
La cosiddetta “elaborazione al margine” (edge computing) definisce quel meccanismo di elaborazione per cui molti dati raccolti da sensori e altri sistemi di raccolta subiscono una preelaborazione là dove sono raccolti, cioè “al margine” della rete. Grazie alla presenza di microprocessori “decentralizzati” in miriadi di dispositivi, non è più necessario inviare tutti i dati grezzi a un sistema di elaborazione centralizzato; si può invece inviare un’informazione già parzialmente — o totalmente — elaborata, e quindi di minori dimensioni, con un enorme risparmio in termini di traffico di rete e, soprattutto, tempi di latenza.
Si tratta di una tendenza già in atto che, anche grazie alle architetture a microservizi — ne riparleremo più avanti — appare come una delle chiavi per l’espansione della potenza di calcolo al di là dell’aumento delle capacità del data centre.
Ben più lontano, anche se circondato da molto hype, appare invece l’avvento dei computer quantistici. Nonostante gli annunci [8] di questi giorni, che comunque indicano la prosecuzione delle ricerche in questo campo da parte di IBM, si tratta di tecnologie sicuramente rivoluzionarie ma che necessitano ancora di svariati altri anni per diventare oggettivamente disponibili in applicazioni concrete.
Realtà immersiva
Se non altro, è già tanto avere una risoluzione della “disputa” terminologica che ha caratterizzato queste tecnologie negli anni del loro sviluppo (Virtual Reality? Augmented Reality? Mixed Reality?). L’esperienza immersiva che contraddistingue queste “realtà” sembra aver raggiunto un grado di maturità grazie alla disponibilità di dispositivi sempre meglio funzionanti e, cosa da non sottovalutare, a prezzi maggiormente abbordabili che in passato. I vari modelli di visori Oculus, HTC Vive, Playstation VR, solo per parlare dei più diffusi, non sono più stranezze per pochi, ma prodotti hi-tech presenti in molte case.
La vera svolta a cui assisteremo nei prossimi anni sarà probabilmente il passaggio dell’esperienza della immersive reality dal mondo del gioco e dell’entertainment a quello del marketing e del commercio online (possibiità di “provare” e valutare i prodotti), dell’istruzione (possibilità di percorsi didattici “immersivi” e coinvolgenti su temi scientifici e tecnologici), dell’industria (simulazione di assemblaggio, riparazione, messa in opera etc.), della medicina e della cura della salute (assistenza alla riabilitazione fisioterapica, percorsi di assistenza nella cura psichiatrica etc.), militare etc.
Anche qui, probabilmente non sarà il 2019 l’anno della definitiva svolta, ma la realtà immersiva andrà sicuramente tenuta d’occhio. Mi si passi il gioco di parole.
Piattaforme e stili architetturali per il cloud
Questa è una tendenza ormai consolidata e che nel 2019 continuerà ad affermarsi. L’idea è quella del “as-a-servicei” per tante tecnologie fino a pochi anni fa emergenti e ormai emerse: augmented-analytics-as-a-service, AI-as-a-service, blockchain-as-a-service e così via, oltre ai più classici desktop-as-a-service e storage-as-a-service.
È una vera e propria “piattaformizzazione” — mi si passi il termine — che da un lato dimostra la definitiva centralità dei servizi cloud, dall’altro pone i fornitori di tali servizi cloud nel ruolo potenziale di veri artefici dell’innovazione, che potranno “prototipare”, sperimentare e abilitare attraverso i loro servizi le diverse tecnologie di tendenza…
L’importanza delle piattaforme si lega indissolubilmente a un aspetto architetturale ormai assodato: le applicazioni monolitiche stanno lasciando il campo ai microservizi. Se tale “cedimento” è già avvenuo in termini teorici, con il riconoscimento della validità dei microservizi, a livello pratico i monoliti sono ancora in piedi in numerose grandi aziende ma questo 2019 con ogni probabilità vedrà continuare l’espazione di architetture più flessibili, distribuite e scalabili dei vecchi monolitici.
Fare i conti senza l’oste
Fin qui abbiamo parlato di tendenze tecnologiche. Ma ci sono altri due argomenti che si stanno affermando sempre di più nella discussione su questi temi e che, anche se non sono strettamente tecnologici, hanno uno fortissimo rapporto con la tecnologia, ne vengono inflluenzati e la influenzano a loro volta: parliamo dei risvolti etici connessi con lo sviluppo di certe tecnologie, e della sostenibilità energetica delle stesse.
Etica
La figura del “consulente etico” — che a noi può sembrare quantomeno insolita — comincia ad apparire tra i professionisti su cui fanno affidamento svariate aziende americane del ramo hi-tech.
Senza entrare troppo in profondità — argomenti come questi richiederebbero interi articoli — il fatto è che le questioni etiche non solo non possono restare fuori dal modello di business delle varie aziende hi-tech, anche perché vengono percepite come importanti da tanti consumatori [6].
Anche se poi certi comportamenti “irresponsabili” da parte di molti utenti non lo farebbero pensare, in realtà la consapevolezza sul valore delle proprie informazioni personali è cresciuta in una buona fetta della popolazione che, se non altro, manifesta perplessità sul modo in cui le grandi aziende possono usare i dati personali di cui vengono in possesso.
In tal senso, le aziende devono essere molto trasparenti: è chiaro che esistono per fare business ma se nelle loro attività manifestano chiaramente questo aspetto e “mettono a suo agio” l’utente che cede i suoi dati, spiegando chiaramente il perché e i come del trattamento, l’utente sarà ben disposto a continuare il rapporto. Per quanto non sia una tecnologia, la fiducia resta uno degli elementi più abilitanti nell’ambito delle transazioni tra umani…
Con l’avvento del GDPR, almeno qui in Europa, questi temi sono stati portati all’attenzione del grande pubblico. Ma le aziende, prima ancora di manifestare rispetto per i dati degli utenti per motivi di compliance nei confronti del GDPR, dovrebbero agire animate dalla consapevolezza che fiducia e trasparenza rappresentano dei veri e propri asset in grado di renderle più solide e affidabili.
Energia
Le tecnologie ICT consumano quasi il 5% dell’intera energia prodotta sulla Terra [7]. Attenzione… dell’intera energia, non solo di quella elettrica, quindi di un totale in cui rientra, per esempio tutta l’energia necessaria per muovere automobili, navi o aeroplani che si spostano sulla superficie del nostro pianeta.
Sono cifre enormi che, specie se certe tecnologie continueranno a svilupparsi, sono destinate a crescere. Qualcuno afferma che uno dei limiti all’affermazione su ampia scala di utilizzo per la blockchain siano da attribuire proprio al fatto che si tratta di una tecnologia “energivora”.
Senza farsi prendere da ansie catastrofiste, occorre però prendere atto di una serie di fatti: senza significative scoperte e invenzioni, l’umanità non sembra in grado di produrre più energia di quella che già sta producendo, peraltro a prezzo di un negativo impatto sull’ecosistema. Semmai, al contrario, potremmo andare incontro a una riduzione dell’energia disponibile.
Tutto questo induce a fare alcune considerazioni: la prima è che ogni dispositivo che riesca a garantire un significativo risparmio dell’energia consumata avrà, nel lungo termine, un vantaggio competitivo su altri prodotti analoghi che però consumano di più.
La seconda è che l’emersione di determinate tendenze tecnologiche potrebbe richiedere molto più tempo del previsto, o addirittura mai verificarsi, proprio perché queste comportano un consumo eccessivo di energia. È chiaro che qui si entra in territori difficili da “esplorare” in termini di previsioni. Ma continuare a ignorare queste tematiche da parte di aziende e consumatori rappresenta un po’ il classico esempio dello struzzo che mette la testa sotto la sabbia. Immagine che, anche se non corrisponde a verità, rende bene l’idea.
Conclusioni
Vedremo cosa ci riserverà effettivamente il 2019. Gli argomenti proposti qui, come detto, sono più che altro il “pretesto” per una riflessione. Che non perda di vista anche gli aspetti etici e di sostenibilità energetica.