Esperienze variegate
Questo mese prendiamo un aperitivo tecnologico insieme a Fabio Ghislandi, imprenditore, agile coach e collega. Ma in questa occasione parliamo soprattutto con Fabio in qualità di attuale presidente dell’Italian Agile Movement (IAM) [1].
Con Fabio vogliamo parlare del lavoro che si svolge all’interno dello IAM, della diffusione di Agile e del suo stato di salute nel nostro Paese, nonché delle varie declinazioni che questo termine sta assumendo, specie negli ultimissimi anni.
Giovanni: Prima di parlare di “agilità” e del movimento agile in Italia, vorrei chiedere a Fabio di presentarsi. In che cosa consiste il tuo lavoro? Quale la tua passione principale? Come cucini l’uovo?
Fabio: In questi anni faccio due lavori. Mi divido tra Intré e Agile Reloaded. Con la prima, che è un’azienda di sviluppo software, faccio ufficialmente l’imprenditore; nella quotidianità cerco di rendere questa esperienza professionale appassionante per chi la vive. Con Agile Reloaded sono trainer e coach con l’ambizione — l’utopia? — di cambiare l’approccio con cui le aziende impostano il loro modo di lavorare. L’uovo mi piace cucinarlo all’occhio di bue.
Giovanni: Bene. Quindi tu sei un cosiddetto agile coach. In cosa consiste il tuo lavoro?
Fabio: Quando alle persone dici “vi hanno insegnato a fare mutitasking ossessivo e questo è sbagliato, non è efficiente e fa male alla salute” e poi li aiuti a prioritizzare le attività, affrontandole una alla volta, secondo il loro valore… Quando dici alle persone “vi suggerisco di fare delle ipotesi e di verficarne quanto prima la fondatezza, in modo empirico” e poi costruisci con loro un processo iterativo… Quando dici alle persone “vi propongo di fare un passo alla volta conservando sempre l’integrità del prodotto” e poi costruisci con loro un processo incrementale… Quando fai queste cose e tante altre allora fai l’agile coach. Non sei lì per fornire soluzioni preconfezionate.
Promuovere la cultura dell’agilità
Giovanni: Parlaci invece del tuo coinvolgimento nello Italian Agile Movement.
Fabio: Ho partecipato negli anni alle varie conferenze sull’agilità e mi sono appassionato all’idea di tenere viva e sviluppare una comunità che continuasse questa opera, importante, di portare il mindset agile nei luoghi di lavoro, tra i professionisti.
Quando, due anni fa, si faticava a trovare qualcuno che si spendesse in prima persona assumendo la guida dell’Associazione, mi sono offerto di farlo io. Siamo soddisfatti dei risultati che stiamo ottenendo, grazie alla squadra che stiamo costruendo e alle persone che hanno la stessa passione.
È aumentato significativamente il numero degli eventi, delle persone che li organizzano e di quelle che vi partecipano. È scontato dire che si potrebbe fare di più.
Giovanni: Vuoi dirci qualcosa di più sulo IAM? Cosa è esattamente questa organizzazione? Qual è il vostro compito? Che tipo di iniziative svolgete?
Fabio: Lo scopo del movimento, creato da Marco Abis nel lontano 2002, è promuovere tra le persone la cultura e l’approccio agile, mentre l’associazione, fondata nel 2014, costituisce il braccio istituzionale di questo movimento.
Come a volte accade in queto tipo di realtà, il rischio è che l’associazione prevalga sul movimento: ripongo pertanto una continua attenzione perché lo spirito movimentista non lasci il campo a quello associazionistico, che finisce spesso per essere troppo burocratizzato; non è nostra intenzione creare un “carrozzone”.
Nel 2018 sono stati organizzati 12 eventi rispetto ai 5 dell’anno precedente: sostanzialmente si tratta di conferenze, generaliste o tematiche, oppure di camp su temi specifici.
La caratteristica, non banale, è che gli eventi sono rigorosamente gratuiti per i partecipanti e ciò è possibile grazie al contributo, ugualmente gratuito, degli speaker che mettono a disposizione le loro conoscenze in una prospettiva realmente comunitaria. Oltre all’aspetto organizzativo, l’attenzione è quindi fortemente focalizzata sulla selezione di contenuti di qualità. Per la sostenibilità economica ci affidiamo agli sponsor che selezioniamo proprio per l’intenzionalità e la serietà che mettono nella trasformazione verso un approccio agile, oppure perché si tratta di società attive nella formazione o nel coaching.
Giovanni: Secondo te, facendo un po’ il mix fra la tua esperienza di agile coach ma anche di membro attivo della comunità, qual è la principale difficoltà che le aziende incontrano oggi nell’applicazione di Agile? Qual è la necessità più impellente?
Fabio: Sicuramente la principale difficoltà è il reale coinvolgimento dei manager, dei decisori. Quando il management è a bordo, l’iniziativa ha una buona probabilità di successo. Questo non significa poi che fare il percorso sia facile… tutt’altro. Ma è un primo passo giusto da cui partire.
Il bisogno più evidente è quello di sgravarsi del modo di pensare l’azienda in chiave novecentesca, con processi lenti, direttive dall’alto, scarsa valorizzazione della parte pensante dei collaboratori.
Giovanni: Se fossi tu a decidere, quale tema sceglieresti per la prossima conferenza su Agile?
Fabio: “Il cambiamento parte da te”.