Recruiting: un’attività chiave
Il percorso che porta a un’assunzione è delicato in tutte le organizzazioni. Lo è particolarmente in una struttura dispersa [1] dove la natura stessa dell’organizzazione introduce complessità nella fase immediatamente successiva, quella di inserimento di un neoassunto. Siamo quindi motivati a far sì che l’intero percorso di assunzione sia il più efficace possibile.
Da intervistato ho fatto pochissimi colloqui: a mia memoria tre. In nessuno dei tre casi l’intervistatore aveva la più pallida idea di quale fosse l’oggetto del contendere: erano totalmente impreparati su questo aspetto. Probabilmente ne sapevano di HR — Human Resources, che espressione orribile —, ma certamente non avevano alcuna competenza informatica. Il che dovrebbe preoccupare.
Negli ultimi otto anni ho fatto una cinquantina di colloqui, da intervistatore. Non ho competenze specifiche in materia “risorse umane”: sono un informatico che intervista informatici. La nostra struttura organizzativa sopperisce egregiamente alla mia incompetenza in materia HR e al contempo massimizza le possibilità di successo durante il processo di selezione.
Che cosa cerchiamo
In una struttura dispersa, dove i processi decisionali sono distribuiti e lontani dal vertice [2], fiducia, responsabilità e maturità sono tre valori fondanti. Non ci sono competenze tecniche che possano sopperire in alcun modo a queste. Ma c’è di più, ancor prima delle competenze tecniche, e subito dopo come importanza rispetto ai valori, ci interessano le abilità collaborative e comunicative.
È ipotizzabile che una persona sola possa valutare tutti gli aspetti citati? È inoltre pensabile che il tutto possa essere fatto con un solo strumento? Ovviamente la risposta è no a entrambe le domande.
Il processo
Come abbiamo già avuto modo di vedere, i nostri processi sono strutturati in funzione della natura dell’organizzazione e dell’obiettivo che ci siamo prefissati. Ogni qualvolta si presenta l’occasione di assumere una nuova persona, la prima cosa che facciamo è formare una task force. Una task force è un gruppo di persone formato con lo scopo di risolvere un problema, in questo caso la valutazione di un candidato.
Per questo processo specifico, le task force sono formate da quattro o più persone. Una è quella che noi definiamo uno specialista, mentre le altre non hanno caratteristiche particolari se non il desiderio di assumere un nuovo collega, e perché no, imparare qualcosa di nuovo.
Un colloquio da noi è una sorta di viaggio attraverso tutto quello che siamo.
Una prima scrematura, senza l’accetta
La task force parte con la valutazione del curriculum vitae (CV). Ognuno se lo legge con calma e fa le sue valutazioni, alla fine “vota” sì o no. Il tutto su una piattaforma che ci permette di esprimere “votazioni cieche”, quindi non sappiamo cosa hanno votato gli altri finché tutti non hanno votato. Lo scopo è evitare il pregiudizio derivante dal leggere le valutazioni altrui.
Per i più curiosi, la “piattaforma” è un foglio di calcolo con annesso un po’ di scripting, secondo il principio KISS [3].
Nel frattempo, abbiamo mandato al candidato una serie di domande a cui rispondere. Non è un quiz; sono generalmente domande aperte mirate a capire le capacità comunicative scritte e la capacità di descrivere problemi e soluzioni.
Le domande hanno inoltre un terzo scopo: evitare di scartare qualcuno che potrebbe avere le caratteristiche che cerchiamo, ma è semplicemente pessimo a scrivere CV.
Anche per le domande ognuno fa le sue valutazioni e vota.
Le interviste
Se il candidato passa questa prima fase di scrematura, accede al percorso di interviste. Generalmente le interviste sono quattro e vengono tutte registrate per consentire ai membri della task force di visionarle. Ogni intervista è guidata da uno dei membri della task force. Non c’è una regola per decidere chi fa cosa, generalmente ci limitiamo a cercare un modo per bilanciare il carico di lavoro.
La prima intervista è la “cultural complement interview”. In questa fase spesso parliamo più noi che il candidato. Lo scopo è introdurre la persona intervistata alla nostra realtà. Descriviamo come lavoriamo, quali sono i vantaggi e gli svantaggi, le cose a cui stare attenti e quelle che non sono poi così importanti. Nel frattempo, facciamo domande finalizzate a comprendere se c’è affinità valoriale.
Al termine si discutono gli aspetti economici. Riteniamo sia importante scoprire le carte il più velocemente possibile per evitare a tutti onerose perdite di tempo qualora fosse evidente l’impossibilità di trovare un accordo economico.
Al termine di ogni intervista, ogni membro della task force revisiona la registrazione e il processo di votazione si ripete. Se la maggioranza vota per procedere, si procede.
La seconda e la terza intervista sono molto simili. Sono la “technical interview” e la “business interview”. Entrambe simulano il lavoro quotidiano e sono orientate a comprendere come la persona si relaziona con i colleghi, come approccia i problemi, e come gestisce le fasi di feedback. L’intervista tecnica simula il lavoro di un’ipotetica task force che deve risolvere un bug o implementare una nuova funzionalità. Quella di business, segue lo stesso filone ma affronta la creazione o manutenzione di un processo.
Da ultimo ci sono le forche caudine. Il candidato passa un’oretta con il CEO. Non è una vera e propria intervista, se il candidato è arrivato a questa fase siamo pressoché certi che formalizzeremo l’offerta. Quest’ultima fase è una lunga chiacchierata “filosofica” durante la quale il “malcapitato” viene gentilmente torchiato. Tutti quelli che ci sono passati dicono che sia un’esperienza importante, e spesso lo si percepisce palesemente guardando le registrazioni.
Il nostro ambiente di lavoro, il modello organizzativo, e la qualità dei colleghi, fanno sì che le proprie opinioni siano costantemente messe in discussione. Siamo dei micidiali avvocati del diavolo. È l’aspetto che più mi piace del come facciamo le cose. Quest’ultima intervista simula perfettamente questa tipologia di dinamiche.
Siamo solo a metà dell’opera
Una volta completata la fase di selezione con l’assunzione del candidato che ha superato tutta la trafila, inizia la seconda parte del processo: l’inserimento.
Ad ogni neoassunto viene assegnato un “onboarding buddy”, un compagno di viaggio che fornirà l’assistenza necessaria durante tutto il periodo di inserimento. Il compagno non ha nulla di speciale: è un volontario il cui unico requisito è quello di lavorare in un fuso orario compatibile con quello della nuova persona.
La fase di inserimento dura da un minimo di tre mesi a, indicativamente, un massimo di sei. È l’onboarding buddy che decide come gestirla e quando sia opportuno terminarla. L’onboarding buddy è principalmente un facilitatore, svolge tutta una serie di compiti burocratici e facilita l’ambientamento del nuovo assunto mettendolo in contatto con tutte le figure necessarie per un inserimento effettivo.
Il neoassunto avrà modo di incontrare un rappresentante di ogni squad, parteciperà a incontri ad hoc funzionali ad apprendere processi, tecnologie, e caratteristiche dei prodotti.
Progressiva autonomia
Con il compagno di viaggio, il neoassunto farà parte il prima possibile, spesso dal primo giorno, di una o più task force. In una prima fase, il neoassunto sarà un osservatore e lo scopo dell’onboarding buddy è quello di renderlo autonomo. An un certo punto la nuova persona sarà in grado di partecipare alla vita quotidiana in completa autonomia. Tipicamente è il segnale che porta al completamento della fase di inserimento.
Durante tutta la fase di inserimento, il neoassunto ha frequenti incontri sia con il proprio onboarding buddy, che con il CEO. Lo scopo di questi incontri più che di controllo è quello di facilitare la pervasività della cultura aziendale.
L’esperienza conta
Il lettore attento avrà certamente notato che non ho menzionato quale livello di esperienza cerchiamo. Non ne abbiamo uno specifico. Quello che abbiamo però imparato con il tempo è che, in una struttura come la nostra, assumere persone con poca esperienza, i junior, è molto difficile. Le motivazioni che abbiamo identificato sono principalmente due.
- In un ambiente 100% remoto, le persone sono da sole nel loro ufficio casalingo. Nonostante il lavoro dell’onboarding buddy, ci vuole molta capacità auto-organizzativa per non perdersi. Queste capacità si costruiscono con l’esperienza.
- Per motivi simili, la capacità di essere autonomi difficilmente si sviluppa nel breve periodo di inserimento. È necessario avere già una certa esperienza per potersi muovere con le proprie gambe.
Questo non ci impedisce comunque di assumere anche professionisti junior. In tal caso, la fase di inserimento assume ancora maggiore importanza, e ci impone di avere una particolare attenzione.
Conclusione
Non riteniamo di fare cose eclatanti. Abbiamo un processo di selezione e di inserimento rigoroso, il cui scopo, come per tutte le altre cose che facciamo, è l’efficacia piuttosto che l’efficienza. In una struttura organizzativa fluida, senza gerarchie rigide, certi errori rischiano di avere un impatto importante. Preferiamo sempre rallentare al fine di poter mettere particolare cura in quello che facciamo.
Il processo di assunzione è lungo e delicato: noi scegliamo il nuovo collega e al contempo vogliamo essere certi che la nuova persona sia felice di scegliere noi. Niente è lasciato al caso, e tutto è pensato perché sia un processo che porta a un esito positivo per tutti.