Nell‘estate del 2010 ho avuto l‘opportunità di lavorare in Giappone a un incarico decisamente insolito: realizzare il software di navigazione e controllo per un robot destinato a sbarcare sulla Luna. Questa opportunità è stata il frutto di una catena di eventi straordinari che ha avuto inizio in un momento di crisi, e che mi ha portato a contatto con persone fuori dal comune, da una celebre rock star britannica a un ignegnere russo che, negli anni Sessanta, partecipò al segretissimo programma lunare sovietico.
That’s one small step for a man…
Il 7 luglio del 2010 è stato un giorno storico per me. Dopo settimane di preparativi, il rover El Dorado è finalmente pronto per il primo test di mobilità autonoma. Seguendo scrupolosamente la check list, avvio il controller, armo gli attuatori, lancio gli script di configurazione e avvio i servizi di sistema. Dopo un attimo di esitazione, carico la direttiva Forward e premo invio. Con un ronzio, El Dorado prende vita e comincia navigare libero nel corridoio dell laboratorio di Robotica Spaziale della facoltà di Ingegneria della Università di Tohoku.
Oh gioia: ogni cosa segue i piani alla perfezione, in un moto ipnotico – complesso e armonioso allo stesso tempo – preciso come un orologio svizzero. Avete mai provato la sensazione di essere guidati? Come se ogni cosa nella vostra vita sia accaduta per portarvi a un preciso momento nel tempo e nello spazio, in cui le cose fluiscono senza sforzo apparente? Come quando vi trovate di fronte a una cascata in un giorno di primavera, il sole vi scalda la pelle e mentre l’acqua scroscia potete vedete un arcobalento brillare nella nebbia e sentire l’odore fresco della vegetazione…
Dopo un mese di duro lavoro il rover si stava finalmente muovendo in modo autonomo, e io osservavo mesmerizzato l’evoluzione del suo percorso sulla mappa tridimensionale del mio computer. Ad un tratto, una rivelazione. Mentre il rover si avvicina al termine del corridoio, verso le scale che portano ai piani inferiori, mi rendo conto con orrore di non aver ancora aggiunto la direttiva Stop alla mia console di comando…
Vi siete mai domandati cosa sia quel bottone rosso che potete trovare sopra tutti i robot sperimentali? È quello che noi scienziati robotici chiamiamo Panic Button, un pulsante che permette di immobilizzare la macchina, bloccando la meccanica e disattivando tutti gli attuatori. È una specie di assicurazione sulla vita che permette di risolvere i problemi che possono capitare quando un artefatto metallico da 30 chili sta speronando qualcosa o qualcuno, inconsapevole delle possibili conseguenze. Inutile dirlo: quel pulsante ha salvato la mia giornata.
Chiamo il mio amico Hiroaki Inotsume e mi faccio aiutare a riportare El Dorado in laboratorio, quindi invito tutti a bere un the. È un giorno da festeggiare: il 7 luglio infatti è l’anniversario di una decisione che ha dato un corso nuovo alla mia vita, una decisione che ha dato il via ad una serie di eventi che mi hanno portato in Giappone a lavorare con uno dei massimi esperti di robotica spaziale del mondo.
Quando meno te lo aspetti
Tutto è iniziato il 24 maggio del 2009. Era il giorno del mio trentaseiesimo compleanno, ma non avevo nessuna festa in programma. Per quanto mi riguardava, il compleanno aveva smesso da molto tempo di essere qualcosa da festeggiare, ed era piuttosto fonte di disappunto. Non è che avessi da lamentarmi dei risultati che avevo ottenuto nella mia vita, ma c’era qualcosa in quel numero che cresceva inesorabilmente di anno in anno che mi dava la fastidiosa sensazione di essermi perso qualcosa. C’era un tempo in cui pensavo che niente fosse impossibile, in cui non accettavo di perdere tempo tra un’idea e la sua implementazione. Ricordo l’eccitazione di intraprendere una nuova iniziativa, l’energia inesauribile che mi accompagnava quando ero pienamente coinvolto nelle cose che facevo, la sensazione che ci fosse una ragione profonda e uno scopo ultimo alle mie azioni. E anche se ovviamente non tutte le iniziative andavano a buon fine, il processo di scoperta era in se’ un ciclo virtuoso in cui non esisteva fallimento, solo feedback da cui trarre spunto per nuove iniziative.
Poi le cose cominciarono a cambiare. I figli, il lavoro, la casa, le responsabilità, gli impegni di tutti i giorni diventarono scuse per rimandare a oltranza progetti che un tempo consideravo importanti. La chitarra elettrica, su cui neglli anni di liceo trascorrevo ore, giaceva ormai da anni sotto il letto a prendere polvere. L’idea di andare a studiare e lavorare all’estero, che per anni avevo coltivato, era rimasto un sogno irrelaizzato. La seconda laurea che giuravo di prendere, le lingue che volevo imparare, le persone che volevo conoscere, i posti che volevo visitare erano ormai cose che non avevo piu tempo di fare. O almeno questo era ciò che mi dicevo, come se il tempo che trascorrevo a guardare la televisione la sera fosse al contrario qualcosa da cui dipendeva la mia stessa esistenza. “È la tua vita”, pensavo: “rassegnati e sii realista, perchè non sei piu un ragazzino e non stai certo ringiovanendo”.
Sospetto che pensieri simili passino per la testa alla maggior parte delle persone. Il lavoro domina le nostre vite, e malgrado le soddisfazioni non manchino, è dura ammettere che non ha mantenuto in pieno le aspettative. L’informatica, grossa passione di un tempo, è diventata poi un lavoro da cui dipendono le risorse per mantenere una vita sicura ma priva di sorprese. I sistemi informativi aziendali e bancari, per quanto interessanti, non sono esattamente il tipo di cose che infiammano gli animi, che ti fanno svegliare alle sei di mattina gridando: “Non vedo l’ora di andare in ufficio a lavorare su quell’eccitante software per la pianificazione finanziaria!”.
Questo era il tenore dei miei pensieri mentre leggevo il giornale in quello che sembra il più anticlimatico dei miei compleanni. Ma le cose stavano per cambiare: a innescare il cambiamento un piccolo articolo nel supplemento tecnico del Sole 24 Ore che parlava di un istituto il cui nome sembra uno scherzo o una truffa: International Space University.
International Space University
In poco piu di 600 parole, vengo a sapere che la International Space University – ISU in breve – è un istituto che si trova a Strasburgo, nella regione nord est della Francia. Fondata nel 1987 da Peter Diamandis, Todd B. Hawley e Robert Richards, l’ISU è l’unico isituto al mondo ad offrire un programma interdisciplinare rivolto a chi intenda intraprendere una professione non necessariamente di tipo tecnico in campo aerospaziale [1].
L’industria aerospaziale ha delle particolarità che la distinguono da qualunque altra industria tecnologica. Un veicolo spaziale presenta requisiti straordinari in termini di costo, volume, massa, prestazioni, durata nel tempo e sicurezza. Le missioni spaziali coinvolgono agenzie governative, istituti di ricerca pubblici e industre private, in un regime di diritto internazionale sviluppato ad hoc. Le procedure di lancio e messa in orbita comportano rischi enormi a cose e persone, al punto di richiedere supervisione militare e speciali polizze assicurative. La maggior parte delle operazioni non ammettono un “successo parziale”: durante un lancio, ad esempio, un malfunzionamento anche minimo provoca la distruzione del satellite e il fallimento completo dell’intera missione. Per questa ragione è importante che tutti i soggetti coinvolti nello sviluppo, dagli ingegneri ai manager, dai legali agli scienziati, dispongano della capacità di spaziare da una disciplina all’altra, in modo da favorire una visione olistica che permetta di realizzare il prodotto migliore nel tempo disponibile al costo piu conveniente.
Quell’articolo aveva scatenato in me una serie di associazioni. Come la stretta di mano nello spazio tra l’astronauta americano Deke Slayton e il cosmonauta russo Allexander Leonov nel ’75, durante la storica missione Apollo-Soyuz, primo episodio di collaborazione USA-URSS in trenta anni di guerra fredda. Non aveno nemmeno tre anni allora, ma quelle immagini avevano un fascino misterioso, capace di imprimersi nella mia memoria. Mi tornò in mente il primo lancio dello Space Shuttle – sul quale scrissi un tema in seconda elementare – e il disastro del Challenger, che segnò la mia infanzia come una tragedia personale. Da che ho ricordi, ho sempre avuto la passione per la conquista dello spazio. Ma ora che ci ripensavo, non avevo mai pensato neanche per un istante di poter lavorare in questo settore. L’unica facoltà di cui fossi a conoscenza che aveva sbocchi in quel settore era ingegneria aerospaziale, e io ero sicuro della mia vocazione per l’informatica. Che ci fossero altrie vie di accesso era una possibilità che non avevo neanche mai preso in considerazione.
Mi ero sempre domandato se posti come la International Space University esistano davvero. Domande come questa giacciono prive di risposta nel fondo della nostra mente tra le curiosità irrisolte. Quell’articolo aveva dato una risposta, e così facendo aveva scatenato in me una nuova domanda dagli effetti dirompenti: ora che so che un posto del genere esiste, cosa diavolo faccio?
Una decisione: inviare il dossier per l’ammissione
Ci sono idee che hanno un effetto dirompente: sono quelle idee che ci spingono al di fuori della nostra zona di comfort, e ci portano a fare cose di cui non pensavamo essere capaci. Avevo sempre voluto prendere un’altra laurea, assumere nuove competenze, vivere all’estero e imparare una lingua nuova: ad un tratto mi domandavo se non avesse senso fare tutte queste cose in un colpo solo. Ma un’idea di per se’ non è niente, se non è seguita dall’azione. E l’azione ha un grosso nemico: il dubbio. Cosa succede se lascio il lavoro per un anno? Se mi accorgo che non ho mezzi a sufficienza? Come posso tenere il contatto con le mie figlie se vado all’estero? Posso davvero rinunciare alle comodità a cui mi sono abituato? Cosa faccio con i due cani che da 11 anni vivono con me? E cosa succede se le cose non vanno come mi aspetto?
I dubbi sono un meccanismo di difesa importantissimo, al quale dobbiamo prestare attenzione. Qualunque dubbio ci passi per la mente, dobbiamo avere l’onestà di analizzarlo con spirito critico e con il desiderio sincero di trovare una soluzione. Ma allo stesso tempo, dobbiamo resisterea alla tentazione di usare i dubbi come scusa per non agire, un’atteggiamento che può stroncare sul nascere anche la migliore idea.
Per questa ragione, nonostante tutti i dubbi che potevo avere, nelle settimane seguenti ho preparato il dossier per l’ammissione all’ISU. Invece di concentrarmi sui dubbi, decisi di sospendere le critiche e rinviare la soluzione di potenziali problemi al momento in cui questi ultimi si fossero realmente presentati. Confidavo nel fatto che se avessi avuto la possibilità concreta di intraprendere questa iniziativa, avrei anche trovato il modo di farlo. A metà giugno 2009 inoltrai la domanda, e quindi smisi di pensarci: avevo avevo altre cose per la mente e non volevo perdere tempo.
Una provvidenziale crisi di mezza età
Quell’articolo ebbe su di me un effetto piu profondo di quanto avessi previsto. D’improvviso mi trovai a ripensare a tutti i progetti che per anni avevo tenuto in sospeso, e a valutare se avevano ancora qualche valore per me. Mi trovai a vivere, in anticipo di quindici anni, una sorta di crisi di mezza età. La cosa presentava dei vantaggi: a 36 anni uno ha il tempo, i mezzi, la maturità e l’esperienza per fare qualcosa di concreto riguardo alle proprie frustrazioni, senza necessariamente degenerare nel patetico.
Tra i sogni messi nel cassetto, alcuni riguardavano la mia passione per la musica. Per anni avevo suonato la chitarra in un gruppo rock, in quello che era stato uno dei periodi più spensierati della mia vita. Col tempo altri interessi avevano acquisito priorità, e nel complesso non avevo rimpianti o nostalgie. Ma c’era una cosa che avevo sempre desiderato fare e avevo sempre rimandato: un seminario di Guitar Craft con Robert Fripp.
Il ruolo di un maestro
Robert Fripp è un chitarrista e produttore inglese, noto per il suo lavoro con i King Crimson, Brian Eno, Peter Gabriel e David Bowie. Debbie Harry, cantante dei Blondie, ha dichiarato in un’intervista che Robert Fripp è “la cosa più rumorosa che abbia mai sentito in vita mia”. Lo stile iconoclasta, il suono selvaggio, le armonie inconsuete e una retorica inconfondibile hanno permesso a questo personaggio di ricavarsi una nicchia nella scena del progressive rock britannico. Robert Fripp è famoso nella comunità informatica per aver realizzato la libreria di suono per Windows Vista, malgrado sia notoriamente un utente Mac. Questo lavoro, che difficilmente può essere considerato tra i suoi migliori, è peraltro senza dubbio quello per il quale è stato pagato meglio… Molto interessante un video in cui il musicista britannico lavora ai suoni di Windows Vista [2].
A fine anni Sessanta, dopo un intenso periodo di sperimentazione con droghe di vario genere, Rober Fripp decise di cambiare completamente stile di vita. Divenne vegetariano, cominciò a praticare meditazione e andò alla ricerca di un profondo equilibrio interiore. Questo approccio ascetico diede vita ad una filosofia curiosa e originale, che ebbe conseguenze significative nella sua produzione musicale. Parallelamente ai progetti piu commerciali, prese a lavorare negli anni Settanta con Brian Eno su composizioni realizzate sovrapponendo loop di chitarra pesantemente effettata. Queste composizioni – le Frippertronics – scatenarono l’entusiasmo dei fan di Eno, e l’indifferenza di chiunque altro [3]. La collaborazione con Peter Gabriel permise alle Frippertronics di trovare una via verso il grande pubblico in brani come Exposure.
A metà degli anni Ottanta Robert Fripp diede vita al Guitar Craft, una scuola di musica che punta a sviluppare in modo armonico una relazione con la chitarra, con la musica e con se’ stessi. I seminari sono potenzialmente aperti a chiunque, anche a chi non ha mai preso in mano uno strumento musicale in vita sua. La didattica di Robert Fripp è fondata su un metodo per chitarra acustica a plettro, che utilizza una accordatura alternativa, simile a quella di violini e viole (Do, Sol, Re, La, Mi, Sol). L’originalità dell’approccio è tale che chiunque si avvicini ad esso si trova di fatto a cominciare da zero. Per essere ammessi, i candidati devono inviare una lettera in cui rispondono a tre domande:
- chi sei?
- perche’ vuoi partecipare?
- qual è il tuo scopo?
Robert legge personalmente queste lettere, e si prende la libertà di rifiutare chiunque non consideri adatto alla filosofia della scuola. Scrissi una lettera di quasi tre pagine, in cui parlavo dei pensieri che avevo avuto nelle ultime settimane, senza fare alcuna menzione alla musica o alla chitarra. Venni subito accettato.
Guitar Craft
A luglio 2009 iniziai così il mio primo Guitar Craft. Il Guitar Craft è un’esperienza residenziale, condotta nella cornice del monastero di San Cugat a Barcellona. Il programma comprende corsi di yoga, tai chi, meditazione, tecnica Alexander e, occasionalmente, lezioni di musica. Pranzo e cena, rigorosamente vegetariani, vengono serviti nella sala del convento, dove ci si riunisce per condividere le impressioni della giornata. I partecipanti sono invitati a prendere parte volontariamente alle attività di manutenzione dell’ambiente: pulizia, ordine, lavoro in cucina e quant’altro. Ogni sera ci si raduna tutti insieme nella hall, dove Robert dirige improvvisazioni di gruppo [4].
Dopo due giorni di completa cacofonia, la musica compare in modo spontaneo. L’ordine emerge dal caos, portando momenti musicali di un’intensità indescrivibile. A qualunque ora del giorno o della notte ci si riunisce spontaneamente in gruppi per praticare i fondamentali, studiare variazioni sulle scale o imparare brani di repertorio. Chi ha abbastanza confidenza, trova il coraggio di esibirsi di fronte al gruppo durante l’ora di pranzo. L’espressione di Robert, che assiste tra il divertito e lo sgomento, è parte integrante dello spettacolo. L’improvvisazioni di gruppo, che inizialmente è solo una sequenza informe di note, diventa col tempo una sofisticata Frippertronics di cui tutti facciamo parte. La magia del Guitar Craft non può essere descritta a parole, e non può essere illustrata facilmente a chi non vi abbia preso parte: l’uso di macchine fotografiche e registratori è infatti bandito per tutta la durata del seminario [5].
Una delle caratteristiche salienti Robert è il suo ineffabile umorismo inglese. La prima sera, uno dei partecipanti propose di fare due gruppi di pratica, in maniera da seguire meglio le esigenze delle persone con piu esperienza. Senza fare una piega, Robert rispose: “Stai suggerendo che questo gruppo debba essere diviso in due: quelli che fanno schifo, e quelli che fanno veramente, veramente veramente, veramente schifo. Potrei sapere di quale gruppo ti aspetti di fare parte?”
In un’altra occasione, stavamo provando in gruppo alcune variazioni sulle scale. Rapito dalla musica, cominciai a battere il piede inconsapevolmente. Robert interruppe l’esecuzione, e senza scomporsi mi disse: “Abbiamo una convenzione al Guitar Craft: ogni volta che qualcuno batte il piede, lo fa seguendo il tempo.”
Dal Guitar Craft all’ISU
Proprio mentre mi trovavo a Barcellona, nel bel mezzo di questa insolita esperienza, ricevetti una e-mail dall’ISU. La mia domanda di ammissione era stata accettata, ma non era finita qui: assieme all’ammissione, mi era stata assegnata una sostanziosa borsa di studio finanziata dall’Ente Spaziale Europeo. La notizia mi prese di contropiede: d’improvviso mi resi conto che a fin dei conti non mi ero preparato a ricevere una risposta positiva. Tutti i dubbi che mi erano passati per la testa durante il mese precedente – dubbi che avevo cacciato nel fondo della mia mente – mi crollarono addosso. Venni sopraffatto dall’enormità della cosa: andare a vivere un’anno a Strasburgo a fare un’università dal nome bizzarro non mi sembrava più una grande idea, dopotutto.
Per questa ragione, chiesi a Robert un incontro privato, sperando in una prova della sua proverbiale saggezza. Durante l’incontro gli parlai dell’opportunità che mi si era presentata, quindi passai a elencare i dubbi che avevo in mente: le necessità delle mie figlie, i disagi di chiudere casa, il problema di sistemare me stesso e i miei cani, l’incognita di sospendere il lavoro per un anno, il problema dell’età e mille altre cose. Lui mi ascoltò con attenzione, quindi disse: “Il comfort è un falso amico che ci porta alla prigrizia e ci allontana da occasioni di crescita personale. In questo senso il comfort è simile alla morte. Congratulazioni per l’opportunità che ti si è presentata. Mi pare che tu sappia esattamente cosa vuoi, e cosa è importante per te. Le tue figlie sono importanti. I tuoi cani sono importanti. Tutto il resto non è rilevante, e può essere sistemato.”
Verso una nuova vita
Fu così che il 7 luglio 2009 presi una decisione: accettai la borsa di studio e formalizzai la mia iscrizione. Finito il Guitar Craft, tornai a casa e iniziai i preparativi. Presi accordi con la madre delle mie figlie per concordare le visite nel corso dell’anno successivo. Consegnai il mio appartamento a una persona di fiducia. Sistemai le mie finanze in maniera da assicurare sia a me che alle mie figlie un flusso di cassa costante per l’anno successivo. Cercai a Strasburgo un appartamento che mi permettesse di coinvolgere i miei cani Emi e Ike in questa avventura. Portai a termine gli incarichi di lavoro in sospeso, e presi accordi per il futuro.
Il 6 settembre caricai la macchina con le mie cose, e mi misi in strada. Dopo una giornata di viaggio attraverso i meravigliosi paesaggi di Austria e Germania, arrivai nel mio nuovo appartamento. Dopo aver scaricato la macchina, iniziai a mettere in ordine le mie cose e a preparare la casa per la notte. Emi e Ike si aggiravano disorientati nel nuovo ambiente: anche per loro era passato un po’ di tempo dall’ultimo trasloco. Ad un certo punto, rassegnati, saltarono sul letto e cominciarono a farsi le cucce. In quel preciso istante, l’edificio numero 11 in Rue des Chevaliers a Geispolsheim diventò la mia casa: era l’inizio di un anno indimenticabile.
Be’… ci fermiamo qui, ma il racconto continua nel prossimo numero…
Riferimenti
[1] ISU
http://www.isunet.edu/index.php/about-us
[2] Un video con Robert Fripp al lavoro sui suoni di Windows Vista
http://channel9.msdn.com/Blogs/Charles/Making-Windows-Vista-Sing-Robert-Fripp-and-the-Vista-Melody
[3] Un video con Robert Fripp nel 1979 in una dimostrazione di Frippertronics.
http://www.youtube.com/watch?v=K8kcuqIqmIU
[4] Il video con il quartetto (A)Polonia Guitar Ensemble che esegue “Caliope” di Robert Fripp, uno dei brani piu famosi del repertorio del Guitar Craft. L’esibizione dà un’idea del tipo di atmosfera che si respira duante un Guitar Craft.
http://www.youtube.com/watch?v=Df_856XjVkc
[5] In questa intervista Robert Fripp parla del suo rapporto con la musica e il mercato musicale.