Nel primo articolo di questa serie, abbiamo visto le motivazioni esistenziali e professionali che hanno spinto il nostro Andrea a intraprendere un percorso che lo porterà, tra l‘altro, in Giappone a sviluppare software per rover lunari. In questa seconda puntata, seguiamo il nostro articolista in una tappa fondamentale del suo viaggio: la formazione presso la International Space University di Strasburgo.
Arrivo alla International Space University
Appena giunto a Strasburgo, scoprii con sorpresa che la mia reputazione mi aveva preceduto. Pare non siano molte le persone che al momento di cercare casa, pongono una sola specifica richiesta: “Voglio qualunque posto che mi permetta di tenere due cani con me”. Al momento del mio arrivo, quindi, ero già diventato una specie di leggenda metropolitana. Avete sentito parlare di quel boss mafioso che ha comprato una tenuta agricola in Alsazia con una villa ottocentesca per i suoi 30 mastini da combattimento? Ecco, quello sono io. Incredibile con quale facilità si spargono certe voci infondate.
I primi giorni furono una specie di Erasmus sotto steroidi. Tutto avveniva rapidamente, e le amicizie si creavano in modo naturale e spontaeo. La composizione delle classi ISU è molto eterogenea, con un’età variabile tra i 19 e i 40 anni. Una buona frazione della classe è composta da ingegneri; il resto da avvocati, medici, laureati in economia, psicologi, fisici, matematici, fisioterapisti… L’unico tema comune è la passione per lo spazio, e una storia personale straordinaria. La provenienza è la più varia. Ci sono studenti provenienti da ogni paese europeo, dalla Spagna al Belgio, dala Francia alla Germania. Ci sono un gran numero di studenti statunitensi e canadesi, e rappresentanti di Messico, Perù, Argentina e Brasile. L’Asia è sempre presente, con cinesi, indiani, giapponesi e malesi. L’Africa pure, con nigeriani, sudafricani ed egiziani. Nell’arco di più di venti anni, tutti i maggiori Paesi del mondo hanno avuto i loro rappresentanti.
Una cosa che mi saltò subito agli occhi fu la differenza generazionale. Io sono nato nel ’73, e faccio parte della “MTV Generation”. La mia soglia di attenzione è 7 minuti, la durata media di un paio di videoclip musicali. I ragazzi nati nei decenni successivi, invece fanno parte della “Twitter Generation”: la loro soglia di attenzione non supera il minuto e mezzo. Il fatto è che questa è anche la soglia minima per l’apprendimento: a me servono 7 minuti per cogliere il significato di un articolo, di un sito web o di un documentario, a loro basta uno sguardo. Se devo raccogliere informazioni su un argomento nuovo, ho bisogno di una giornata; loro ci mettono si e no un’ora. Si può argomentare sulla profondità di un simile approccio, ma resta il fatto che questa è una tendenza irreversibile: i nostri figli stanno crescendo in questo modo e questo è il nostro futuro.
Il ruolo della donna
Una cosa che mi ha colpito è stato il gran numero di donne nella classe. La mia classe era composta per il 30% da donne, ognuna delle quali con un profilo straordinario. In un momento storico in cui il ruolo della donna viene svilito dall’immagine della velina, è opportuno ricordare che esistono modelli più nobili a cui fare riferimento.
All’ISU ho conosciuto Heidi, un ingegnere aerospaziale con sei anni di esperienza nell’industria aerospaziale. Nonostante i successi nel suo lavoro, Heidi aveva maturato il desiderio di trovare una nuova dimensione professionale. Questo desiderio l’aveva portata a iscriversi all’ISU, in modo da poter esplorare altri aspetti della sua professione. Oggi, dopo aver conseguito la laurea, ha deciso di restare per un po’ in Francia come insegnante di inglese. Presto tornerà in America per intraprendere un programma di dottorato e diventare un professore universitario.
Ho incontrato Dasha, ingegnere aerospaziale russa dagli irresistibili occhi verdi. A 18 anni, Dasha aveva già una laurea in ingegneria elettronica e una specializzazione in ingegneria aerospaziale. A 19 cominciò a frequentare l’ISU per acquisire una visione interdisciplinare dell’industria. Ora che ha 21 anni è tornata a Mosca, dove sta costruendo una carriera nell’esclusiva industria aerospaziale sovietica.
Ho conosciuto Kira, diplomata in fisioterapia responsabile della logistica di un centro di ricerca e addestramento in Antartide. Giunta all’ISU questo settembre, è stata contattata dal Johnson Space Center di Houston per una ricerca sull’addestramento di astronauti.
E per finire ho conosciuto Carmen, una bellissima Messicana laureata in ingegneria elettronica. Cresciuta guardando le stelle con suo padre nel giardino di casa, ha lavorato per tre anni nel settore delle telecomunicazioni. Giunta all’ISU un anno fa per realizzare il suo sogno di lavorare nell’industria spaziale, ha coronato il suo sogno l’estate scorsa, quando in NASA ha avuto l’insolita opportunità di progettare, costruire, testare e lanciare un prototipo di satellite costruito attorno a un telefono cellullare Android. In febbraio è stata nominata rappresentante del Messico della Space Generation, una organizzazione internazionale che promuove attività culturali legate allo spazio.
Queste storie sono solo alcuni esempi del tipo di persone che ho conosciuto nel corso di questo anno straordinario. Quello che ho imparato è che l’ISU è l’unico posto per il quale non vale la massima “l’unico limite è il cielo.”
Vita da scienziato spaziale
Quando chiesi a mia figlia Laura se aveva capito cosa andavo a fare a Strasburgo, lei mi rispose: “Vai a fare l’astronauta!” “No,” le risposi, “ma potrei finire a diventare uno di quelli che mandano gli astronauti nello spazio.” “Ah, ho capito: diventerai uno scienziato,” mi rispose sorridendo, “uno scienziato pazzo!”.
Confortato da questa etichetta, con la quale finì per identificarmi, mi preparai alla mia nuova vita da studente. Le lezioni coprono un gran numero di tematiche, sia tecniche che non. Ci sono lezioni sulle tecnologie: la missilistica, i sensori e i componenti spaziali, i sistemi di alimentazione, di pressurizzazione… Ci sono lezioni scientifiche, sulla meccanica orbitale, sulla fisica atmosferica, sulla geologia planetaria… Ci sono lezioni sulle fasi di una missione: lancio, correzione dell’orbita, station keeping, rientro… Ci sono lezioni di management: fasi di un progetto, gestione delle risorse, pianificazione del budget… E anche lezioni di legge: diritto internazionale, lo Space Treaty, la Moon Convention, la protezione planetaria… Non mancano infine lezioni di tematiche legate alla sicurezza: gestione del traffico, detriti spaziali, soccorso, telemedicina…
Un approccio così vasto e interdisciplinare, presentato in un periodo di appena 6 mesi, è un’esperienza di apprendimento straordinaria, che apre un’infinità di orizzonti. Per esempio: un aereo che sorvola una nazione senza autorizzazione, commette una violazione dello spazio aereo, e rischia nel peggiore dei casi di essere abbattuto. Ma dove finisce lo spazio aereo? Dal punto di vista legale, lo spazio aereo termina a 100 km di altezza, dove inizia lo spazio “vero e proprio”. Chi lo ha deciso? Nel 1957, l’Unione Sovietica lanciò in orbita lo Sputnik, che per mesi sorvolò lo spazio aereo di tutto il mondo. Gli Stati Uniti, unica altra nazione a possedere tecnologia missilistica, non sollevarono il problema della violazione dello spazio aereo: a loro volta vedevano il vantaggio di poter sorvolare indisturbati lo spazio nemico per ragioni di spionaggio. Questa convenzione venne poi formalizzata in un trattato, l’Outer Space Treaty, ratificato dieci anni dopo dalle nazioni di tutto il mondo. Quella decisione creò un equilibrio che permise a USA e URSS di coesistere per più di 40 anni senza farsi guerra. Quella stessa decisione ci garantisce di avere telecomunicazioni intercontinentali, GPS, dati precisi e affidabili per le previsioni meteo e televisione satellitare.
La giornata tipo
La giornata all’ISU è ufficialmente divisa in due parti. Dalle 09:00 alle 12:30 ci sono le lezioni: tre lezioni da un’ora, separate da 15 minuti di pausa tra l’una e l’altra. Alle 14:30, dopo la pausa pranzo, iniziano le attività pomeridiane, che consistono in laboratori e lavori di squadra. Alle 18:30, quando è ora di andare a casa, inizia la parte non ufficiale, ma non meno importante. Il lavoro all’ISU è così intenso che piano piano prende a dominare ogni momento della giornata, inclusa la sera e la notte. Per questa ragione l’ISU è conosciuto anche come “Insufficent Sleep University”. Uniti dalla passione comune, la gente trova il modo di organizzarsi. La piccola cucina della student lounge diventa un punto di incontro per cene collettive. La gigantesca hall diventa la sede di party improvvisati. E se dovete utilizzare parte della notte per terminare un compito, potete stare certi che avrete compagnia.
L’ISU è un edificio che ha una componente misteriosa. Al suo interno trovano posto documenti confidenziali e attrezzature militari decommissionate. L’ISU ospita perfino una capsula spaziale russa, il cui proprietario intende modificarla e utilizzarla per turismo spaziale. È custodita in una cantina talmente segreta che hanno dovuto blindare le pareti, murare l’ingresso e sopprimere l’operaio che ha eseguito i lavori. Se si venisse a sapere che ho rivelato la cosa, verrei immediatamente imprigionato, processato e giustiziato 🙂
Una missione lunare
Le esercitazioni più importanti vengono svolte in team interdisciplinari, in maniera da riproporre un contesto professionale simile a quello reale. L’esercitazione maggiormente rappresentativa delle nostre attività nel corso dell’anno è stato il progetto di una missione di esplorazione geologica della Luna. Questa esercitazione, da completare nell’arco di una settimana, corrisponde allo studio di fattibilità di una missione, una fase che di solito occupa almeno 6 mesi e che è cruciale per il processo di raccolta dei fondi.
Il documento dei requisiti specificava
- la data di lancio, che pone precisi limiti di tempo per progettare e sviluppare la sonda;
- l’orbita finale attorno alla luna, che impone dei vincoli nella scelta del missile e della latitudine di lancio;
- le zone della Luna da sorvolare;
- svariati vincoli di tipo economico.
La prospezione del suolo lunare doveva avvenire con sonde a penetrazione.
La traiettoria
La prima cosa da fare per verificare la fattibilità della missione è stabilire la traiettoria. Il calcolo avviene a ritroso: data l’orbita di arrivo, si procede a ritroso calcolando la spinta necessaria ad ogni cambio di rotta. La meccanica orbitale è la scienza che studia il moto celeste: un satellite artificiale non è altro che un corpo celeste che si muove in relazione ad altri corpi. Molti pensano che andare nello spazio sia una questione di altezza, mentre in realtà una questione di velocità. Se provate a trasportare un corpo anche a 40000 km di altezza e lo lasciate lì immobile, esso verrà catturato dalla gravità terrestre e precipiterà verso il centro della terra. Ciò che mantiente un corpo nello spazio è la sua velocità tangenziale, che gli permette di “cadere” per un tempo indefinito attorno alla terra. Per restare nello spazio, lo Space Shuttle viaggia all’incredibile velocià di 20-25000 km al secondo, che gli permette di mantenere un’orbita di circa 300-400 km di altezza.
Un satellite ha delle capacità di manovra molto limitate. In ogni dato momento, esso si trova in un’orbita attorno ad un corpo celeste. La meccanica orbitale permette di studiare le forze necessarie a muovere l’astronave da un’orbita all’altra. Ogni manovra richiede una certa forza, applicata in una specifica direzione. La forza da applicare è proporzionale alla massa del satellite. Per spostare un satellite dall’orbita terrestre a quella lunare, ad esempio, c’è bisogno di fornire una spinta che prende il nome di Trans Lunar Injection, che deve essere eseguita da uno stadio addizionale che va scelto tra i modelli commerciali sulla base della massa del veicolo.
Ogni traiettoria offre dei compromessi tra energia richiesta e durata della manovra, o massa del carburante richiesto. Per fare un’esempio, è possibile andare su Marte seguendo una traiettoria “economica” che richiede quasi due anni, o una estremamente costosa che richiede solo sei mesi. Una eventuale missione umana verrà costruita attorno alla seconda, ma la maggior parte delle sonde automatiche si affidano alla traiettoria “economica”.
I componenti
Parallelamente allo studio della rotta, si procede a stabilire quali sono i componenti necessari a garantire il successo di una missione. Ciascun componente (l’antenna, la fotocamera, i motori per il controllo della rotta, i sensori di posizione etc.) può essere scelto dai cataloghi sulla base del costo e della prestazione richiesta. Ogni componente è caratterizzato da una massa, da un consumo e da un costo: questi dati vengono raccolti rispettivamente nel “mass budget” e nel “power budget” e nel “cost budget”. Similmente, si compila un “link budget” che tiene conto del volume di dati trasmesso nel corso della della missione e un “delta V” budget, che tiene in considerazione tutte le manovre che il veicolo dovra’ eseguire nel corso della sua vita operativa (cambio di orbita, inclinazione, mantenimento della traiettoria e così via.)
Il processo è iterativo, e va ripetuto più volte. Per fare un esempio, se il satellite consuma 400 W, deve disporre di una sorgente di energia elettrica adeguata, tipicamente un pannello solare. L’orbita scelta limita la disponibilità del sole che, per determinati periodi viene eclissato da altri corpi celesti,come la Terra o la Luna stessa. La presenza di eclissi ricorrenti richiede un pannello più grande e delle batterie, la cui aggiunta incrementa la massa e comporta la necessità di combustibile per le manovre. Il combustibile a sua volta incrementa la massa: questo aggiornamento della massa richiede che si proceda a una nuova iterazione.
Usando delle tabelle, è possibile approssimare la massa della struttura (lo “scheletro” del veicolo), che deve a sua volta essere aggiornato ad ogni iterazione. Quando i numeri cominciano a convergere, è possibile procedere alla progettazione CAD del veicolo. Nello spazio l’aerodinamica non conta, ma conta invece la distribuzione delle masse, che deve rispettare certi criteri di simmetria. Il modulo lunare delle missioni Apollo, tanto per fare un esempio celebre, aveva una grossa sporgenza in corrispondenza del serbatoio dell’ossidante, che doveva controbilanciare i serbatoi del combustibile, che a causa della differenza di densità aveva una dimensione completamente diversa.
La scelta del razzo vettore
Mano a mano che vengono chiariti i dettagli progettuali del veicolo, comincia il processo di scelta della piattaforma di lancio, e di conseguenza del razzo vettore. La latitudine della piattaforma di lancio influenza l’inclinazione dell’orbita. I satelliti geostazionari, che si trovano su un’orbita equatoriale, vengono lanciati da basi vicine all’equatore, come Cape Canaveral, nella Florida, o Korou, nella Guyana francese. I satelliti che seguono una rotta polare vengono invece lanciati da località presenti nell’emisfero nord, come la base militare di Vandenberg, in California.
Ogni base mette a dispone un certo numero di razzi vettori, ciascuno dei quali ha un prezzo, dei tempi di consegna e integrazione e una personale storia di affidabilità. Ogni nazione inoltre ha delle particolari convenzioni per quanto concerne l’assicurazione e altri dettagli legali. Gli Stati Uniti hanno delle regolazioni molto restrittive per quanto riguarda l’export di tecnologie legate alla difesa, l’International Traffic in Arm Regulation (ITAR). Se si desidera integrare componenti americani nell’astronave, il Governo degli Stati Uniti negherà quasi sicuramente il permesso di utilizzare un vettore russo o cinese. Il manuale utente del razzo fornisce le specifiche della baia di carico: il veicolo deve essere progettato tenendo in considerazione queste dimensioni. Con questi dati a disposizione, ci siamo messi al lavoro per creare un modello in cartone, che permettesse di dare un’idea in scala del veicolo.
Per quanto questo risultato sia solo un modellino di cartone, volto più che altro a comprendere la forma e la struttura basilare del mezzo, alla base di esso ci sono calcoli raffinati, la modellazione con programmi CAD e un importante lavoro di squadra che prende in considerazione anche molti aspetti legati ai vincoli economici del progetto.
Non solo lavoro
Lavorare ad un simile progetto richiede invariabilmente di passare le serate in università. Sono queste le occasioni in cui un Italiano può mostrare il proprio indiscutibile valore. La gente, infatti, ha diverse maniere di reagire allo stress: quando tutti cominciano a dare via di testa, io comincio a fare da mangiare. La preparazione di una cena è un momento che permette di riunire persone di età e culture diverse in un lavoro gratificante e creativo, il momento del pasto è un rituale che permette di sciogliere la tensione, e di portare un momento di gioia e relax. La cena è anche un momento che appiana le eventuali rivalità: al momento della cena non esiste distinzione di team, solo amici con cui trascorrere la serata.
Conclusioni
L’anno trascorso alla ISU è stata una esperienza relativamente breve ma intensa, non solo sul piano professionale ma anche su quello umano. Quello che però doveva essere un punto di arrivo, almeno parzialmente, si è poi rivelato un ulteriore punto di partenza, verso una nuova esperienza: la permanenza in Giappone e lo sviluppo di software di navigazione per robot lunari, in cui le conoscenze apprese alla ISU e le mie esperienze pregresse nel mondo Java hanno potuto trovare una sintesi. Ma di questo, e di molto altro ancora, cominceremo a parlare dalla prossima volta.
Riferimenti
[1] Il progetto Phonesat
http://www.wired.com/gadgetlab/2010/07/nexus-one-phone-rides-a-rocket-up-28000-feet/