In questo articolo presentiamo un resoconto e una riflessione sul workshop Agile Grammelot che abbiamo condotto alla conferenza Agile Prague 2013. Grazie alla tecnica del gioco, di cui abbiamo parlato nella serie AgileGamification, siamo riusciti a trasmettere alcuni concetti base delle metodologie agili ai partecipanti, in maniera divertente ed efficace, puntando sulla comunicazione.
Agile Prague 2013
In questo articolo a più mani, racconteremo l’esperienza vissuta alla conferenza Agile Prague 2013, in cui due dei tre autori (Marco e Giovanni) hanno presentato il primo format di un workshop che, con approccio iterativo e incrementale, stiamo presentando come strumento di apprendimento su temi Lean e Agile all’interno di organizzazioni e team di lavoro. Il successo del workshop è stato notevole, sia in termini di valutazione, sia in termini di partecipazione.
Praga, l’Agile e i punti di vista…
Prima di entrare nei dettagli, vogliamo riportare alcune impressioni personali degli autori. Marco non era mai stato a Praga, ma aveva sentito parlarne bene da molti, scoprendo anche che esiste un gruppo di supporto per italiani che per lavoro vivono o vogliono trasferirsi a Praga. Pare che le opportunità non siano poche e la vita sia economicamente più sostenibile che in Italia, quantomeno per chi opera nel settore della consulenza IT in senso lato. Una volta giunto lì però, ha avuto una prima impressione negativa: l’aereo è atterratto in un aeroporto deserto; il tragitto in taxi ha mostrato l’hinterland e i quartieri direzionali sotto una pioggia leggera ma fastidiosa; l’albergo era silenzioso e apparentemente disabitato.
Più tardi, da una conversazione con Giovanni, che era arrivato in precedenza, è venuto fuori che Praga si svuota nei weekend, che la città si percorre agilmente con i mezzi pubblici, puntuali e mai affollati, e che la zona centrale è davvero incantevole, in una sorta di viaggio nel tempo verso una Vienna in miniatura fotografata negli anni Sessanta.
Come dire… l’importanza della comunicazione, che poi era uno dei temi portanti del nostro workshop…
La conferenza
Tornando a noi, che eravamo lì a fare gli “agilisti” e non i turisti, vediamo che cosa ci attendeva. Agile Prague è una conferenza giovane, stimolante, frutto dello sforzo di pochi organizzatori (tra cui la “coloratissima” Zuzi Sochova) e sponsorizzata, tra gli altri, dalla Scrum Alliance e dalla comunità Agile della Repubblica Ceca. Ciò che ci ha stupito della conferenza è stato il livello relativamente specifico degli interventi. Escludendo un paio di talk fortemente “sponsorizzati”, abbiamo notato che speaker e pubblico dell’Agile Prague 2013 non erano concentrati su temi quali adozione, transizione e sponsorizzazione di pratiche Lean o Agile Development; quella fase, ancora molto dibattuta in diversi eventi italiani, sembra essere stata superata da tempo. Si è passati dunque al livello successivo: migliorare. Gli interventi che non hanno trattato test, quality assurance e best practice si sono concentrati sui fattori umani e sulle cosiddette soft skills degli individui coinvolti in processi agili.
Agile Grammelot: un workshop sulla comunicazione… e non solo
In uno scenario del genere, il nostro workshop calzava alla perfezione. Agile Grammelot è un evento collaborativo in cui coach e pubblico lavorano insieme per fare esperienza di dinamiche sociali, di principi Lean-Agile e di team working, giungendo insieme alla definizione di alcune preziose indicazioni che ogni partecipante può impegnarsi a portare nella sua realtà professionale durante i giorni a seguire, supportato da materiale di follow-up e da una community in fase di formazione.
La struttura sembra ricalcare quella dell’Agile Game classico con i Lego: presentazione, brief, iterazioni e retrospettiva. In realtà il gioco diventa soltanto una specie di pretesto, un’occasione per mettere “in scena” (quasi letteralmente) ciò che succede nei team durante le varie sfide quotidiane, in particolare:
- assunzione di responsabilità
- rispetto reciproco
- condivisione di intenti e obiettivi
- chiarezza sui ruoli
- comunicazione da e verso il team stesso
- problem solving, pensiero laterale
La metafora del grammelot
Il grammelot è una lingua di finzione, che, insieme a una adeguata pantomima, tende a imitare una comunicazione reale, o una lingua esistente, di cui richiama, per esempio, certe sonorità o cadenze. È una pratica propria del teatro dell’improvvisazione, e il nostro Dario Fo ne è l’indiscusso maestro. Per il nostro workshop il grammelot è la metafora di fondo, il simbolo dei problemi di comunicazione tra
- membri del team
- team e stakeholder
- cliente e PO
- e così via…
Ogni professionista che viva dinamiche “sociali” all’interno di aziende e gruppi di lavoro, la può sperimentare ogni giorno sul lavoro.
Le fasi del workshop
Alcune fasi del workshop tendono a enfatizzare dinamiche spesso disfunzionali quali la comunicazione con il cliente, il passaggio di informazioni tra Product Owner e Development Team, l’inserimento di nuovi membri e l’arrivo a “gamba tesa” di nuovi requisiti a dir poco dirompenti. Il workshop prevede anche attività volte al relazionarsi (parlare di se’, raccogliere informazioni sugli altri) e di setting the stage, ossia esercizi di movimento e percezione in cui mettere in moto l’energia necessaria a lavorare insieme con il giusto approccio (reagire al cambiamento).
Al termine del workshop viene eseguita, insieme ai partecipanti e con il supporto della platea che ha osservato lo svolgimento, una sorta di retrospettiva moderata dai conduttori, per evidenziare questioni ed episodi di cui discutere. Lo scopo è sintetizzare i concetti chiave della performance. Questo è forse il momento a più alto valore di tutto il workshop, in quanto dipende fortemente da cosa è successo, da quanto è stato notato e quanto è passato sottotraccia pur essendo importante, soprattutto nelle organizzazioni in cui le relazioni professionali e la chiarezza del processo sono fondamentali al raggiungimento di alte performance… e di soddisfazione personale.
Lo svolgimento e i risultati
Anche nei quattro team formati durante il workshop di Agile Prague, abbiamo notato alcune dinamiche che si stanno ripetendo in altre applicazioni del format:
- soltanto un team non ha rilasciato alcun prodotto alla prima iterazione;
- uno dei quattro team si è particolarmente focalizzato sulla progettazione; in genere corrisponde a quello che non rilascia alla prima iterazione;
- uno dei quattro team si è invece concentrato sulla prototipazione;
- uno dei quattro team non tiene in considerazione principi base del Lean, che vengono suggeriti, ma non spiegati, durante la fase iniziale;
- due dei quattro team, spesso per merito di un Product Owner con esperienza, riescono ad andare oltre le (poche) regole per adattarsi alle condizioni di lavoro.
L’ambientazione
L’ambientazione del workshop ha messo in difficoltà i primi partecipanti, che hanno trovato dopo la pausa pranzo una sala completamente svuotata dalle sedie (una faticaccia: le abbiamo tutte impilate sui lati). Per due giorni era stata una comune “small room” in assetto da conferenza frontale. Dopo le prime perplessità, i primi gruppi si sono formati e le persone si sono disposte al centro della sala, dove erano già presenti i quattro tavoli a disposizione dei team e un quinto di supporto (il “magazzino”).
Fatta una breve introduzione a due voci, l’attività si è movimentata subito con il “setting the stage”. L’energia generata dal movimento e dalle sfide lanciate da Giovanni hanno permesso di creare in 12 minuti (tutto è time boxed, nel programma) uno spirito positivo che ha favorito tutte le interazioni successive. Non si è trattato di una banale “rottura del ghiaccio”, bensì di una simulazione cognitiva basata su spazio e percezione degli altri, osservazione e autocontrollo.
Cosa cambia nelle persone coinvolte in attività di questo tipo, rispetto ai comuni “giri di tavolo” o alle presentazioni reciproche? Si deve compiere qualcosa insieme, ci si deve guardare, parlare e muovere: ci si riconosce nella medesima situazione, si crea una sorta di micro-comunità. Suddividere le persone in gruppi divisi per competenze, lasciare 5 minuti di reciproca conoscenza all’interno dei gruppi, per poi suddividerli ancora con un criterio totalmente arbitrario in quattro team di lavoro, ha permesso di avere omogeneità nelle competenze ma soprattutto lavorare su due livelli consecutivi di complessità relazionale: il primo, mettersi in gioco con “colleghi”; il secondo, lavorare con persone di cui non si conosceva che il nome; soltanto le esperienze iniziali e la consapevolezza di aver compiuto lo stesso percorso per giungere a quel tavolo teneva uniti i membri del team.
Dalla platea, al termine delle iterazioni, diversi osservatori hanno voluto far notare quanto questi team si fossero rivelati affiatati, nonostante lavorassero insieme per la prima volta. Un comportamento virtuoso, democratico e collaborativo, favorito dalle dinamiche messe in atto precedentemente.
Retrospettiva
Una domanda, in particolare, ricorre di frequente al termine di workshop o laboratori come questo: “come posso applicare ciò che ho vissuto oggi nel mio contesto lavorativo”? È la testimonianza di quanto la realtà professionale si possa allontanare da ciò che, con le giuste metodologie e una sana dose di comunicazione, si riesce a ottenere in qualsiasi contesto.
Lavorando su dinamiche relazionali ed emotive, soprattutto, si possono indebolire le obiezioni o le resistenze al cambiamento che si attaccano a questioni tecniche o procedurali. Dovunque si possa creare un clima collaborativo e di trasparenza si possono migliorare le performance e la motivazione. La metodologia di produzione e di organizzazione sono su un altro livello, e soprattutto sono condizionabili dai fattori umani, nel medio e nel lungo periodo.
L’esperienza di Agile Prague è stata molto positiva, ha dato qualcosa ai partecipanti e ha insegnato molto a noi “trainer”, come dovrebbe accadere in ogni occasione di formazione non tradizionale o espositiva. Il format è in evoluzione, si sta adattando a platee più o meno vaste, a diverse professionalità o contesti lavorativi. Il team di coaching stesso si sta allargando per prevedere l’inserimento di meta-livelli, ad esempio il “learning by games”, o gli aspetti psicologici delle interazioni sul lavoro.
Il format AgileGrammelot: dall’idea… al gioco
Il gioco che abbiamo presentato al nostro workshop è stato realizzato fondendo due tipologie di tecniche: da un lato si è attinto alla teoria del gamestorming, più volte citata da Giulio nei suoi articoli sul gioco agile; dall’altro si sono messe in pratica le tecniche utili in fase di visioning e creazione di un prodotto: anche in questo caso si può far riferimento all’articolo di [GAM-4] e a quanto proposto da Roman Pichler nel suo blog [RPCH] che, con il motto “from vision to backlog” (“and back” aggiunge qualcun altro), ci offre un tipico approccio al percorso che ci permette di passare dall’idea del prodotto, al prodotto stesso. In questo caso potremmo rivedere il motto in “from vision to game”.
Il mix delle due tecniche si è rivelato estremamente potente, sopratutto in fase di ispezione e indagine (quando, fissati degli obiettivi, ci si muove alla ricerca delle possibili soluzioni alternative).
Canvas
I Canvas sono strumenti molto potenti per ideare, valutare e condividere idee. Si tratta di lavagne o tabelloni in cui gli elementi chiave necessari a chi deve creare il prodotto o il modello di business, sono distribuiti in maniera ordinata, per aiutare chi li usa a scegliere in modo strutturato: Business Model Canvas e Product Canvas sono solo due degli esempi più conosciuti. Perche’ non farne uno anche per i giochi? Le risposte possono essere molteplici; diciamo che tramite l’utilizzo dei vari canvas possiamo valutare un gioco sotto questi aspetti:
- il contesto;
- l’astrazione dalla realtà;
- i ruoli che giocano all’interno del gioco/prodotto e che vogliamo evidenziare o analizzare in dettaglio;
- le regole e le meccaniche di gioco: scegliere prima le regole è un modo per pilotare il gioco e quindi andare a cercare le situazioni che vorremmo attivare per focalizzare l’attenzione dei partecipanti su determinati aspetti della vita di progetto; viceversa si può partire dalle tipiche problematiche e disfunzioni per individuare gli impedimenti che vogliamo evidenziare e da qui ricavare le regole;
- competizione, collaborazione e premi;
- messaggio e tematica che si vuole trasmettere.
Proviamo a vedere come rappresentare questi aspetti in una serie di canvas.
Game Canvas
Una canvas adattata per i giochi potrebbe essere sinteticamente rappresentata con una macro suddivisione in aree concettuali come riportato, in figura 1. Le tre grandi aree raggruppano gli aspetti tecnici del gioco, gli obiettivi, e le dinamiche del gioco come vengono vissute dai giocatori.
Figura 1 – Una canvas schematica adattata per i giochi: oltre alle informazioni su durata, numero di giocatori e scopo del gioco (addestramento, team building etc.), ci sono tre macroaree (tecnicalità, obiettivi, dinamiche vissute dai giocatori).
Nella versione di dettaglio, la game canvas potrebbe essere come quella raffigurata nella figura 2, dove le tre macroaree vengono ulteriormente sviluppate: logistica, regole, facilitazione, meccaniche, astrazione; obiettivi; ruoli, giocatori, ricompense, contesto.
Figura 2 – La canvas adattata per i giochi, con le voci più specificate.
Per capire il concetto con un semplice esempio, pensiamo a come potrebbe essere la canvas se dovesse riferirsi a un gioco conosciuto da tutti, come il Monopoli (figura 3).
Figura 3 – La canvas esplicitata specificamente per un gioco che tutti conoscono: il Monopoli.
Per la versione di AgileGrammelot riportiamo solo una versione “bozza”: vi invitiamo al nostro talk ad AgileDay a novembre 2013, per una sua rappresentazione live: lì potrete toccare con mano se la canvas è stata rispettata.
Figura 4 – La canvas di Agile Grammelot, a livello di bozza, senza tutte le voci esplicitate.
Conclusioni
L’esperienza di presentare Agile Grammelot alla conferenza Agile Prague 2013 è stata importante sotto diversi punti di vista: da un lato ci ha impegnato nell’ideare un gioco che avesse la capacità di trasmettere principi e valori Lean / Agile in maniera comprensibile e divertente; in questo processo abbiamo utilizzato il concetto di product canvas, adattandolo alla realizzazione del gioco. Dall’altro, il workshop e le reazioni di chi ha partecipato ci hanno consentito di mettere a punto alcuni aspetti e di verificare sul campo alcune ipotesi.
Riferimenti
[GAM-4] Giulio Roggero, “Agile Gamification: apprendere le metodologie giocando – IV parte: Agile. The board game reloaded”, MokaByte 186, luglio/agosto 2013
https://www.mokabyte.it/cms/article.run?permalink=mb186_AgileGamification-4
[RPCH] Roman Pichler, “The product canvas”
http://www.romanpichler.com/blog/agile-product-innovation/the-product-canvas/