Introduzione: una serie sul gioco nella realtà lavorativa
È possibile un’altra realtà lavorativa? Un altro modo di vivere il proprio lavoro, un altro modo di fare ciò che si è sempre fatto per farlo ancora meglio? Noi vogliamo credere che sia possibile tornare a guardare il mondo con gli occhi di un bambino che gioca, che scopre regole nuove e ci si adatta. Il gioco come strumento funzionale per apprendere, crescere e sentirsi sempre più coinvolti e poter migliorare anche il proprio benessere lavorativo.
Another work is possibile! vuole essere un punto di vista diverso da cui guardare il mondo del lavoro e fornire degli spunti di riflessione di come, attraverso il gioco si possa conoscere e migliorare sé stessi (e gli altri) favorendo un processo di consapevolezza delle proprie skills.
Che cos’è la gamification?
In questo primo articolo della serie cercheremo di capire meglio che cos’è la gamification, perché è opportuno conoscerla e da quali elementi è composta questa pratica metodologica che in italiano potrebbe essere tradotta in “ludicizzazione”.
Chiunque cerchi di fare una distinzione tra apprendimento e divertimento non conosce le basi di entrambi.
Sul senso di questa massima del filosofo canadese Marshall McLuhan si basano i principi della gamification, ossia l’uso di elementi di gioco e di game design all’interno di contesti non propriamente ludici. Ma cosa significa esattamente la parola gamification? E come può un’azienda trarre vantaggio dall’utilizzo di tale approccio all’interno dei propri processi organizzativi?
La gamification è definita [1] come “l’utilizzo di elementi mutuati dai giochi e dalle tecniche di game design in contesti esterni ai giochi”. Questo ci porta a rappresentarla come un insieme di regole e di strategie tipiche del mondo ludico che si possono applicare perciò in contesti diversi dal gioco. Inoltre la radice della parola rimanda al concetto di “game”, cioè “gioco”.
Il valore e gli elementi del gioco
Il gioco è un’esperienza coinvolgente e ricca di stimoli, in grado di catturare e mantenere l’attenzione, attivare e motivare i soggetti, guidandoli all’acquisizione di nuove conoscenze, strategie e competenze. Se ci fermiamo a esaminare la definizione di gioco [2] che fornisce Jane McGonigal, direttore ricerca e sviluppo del settore giochi presso l’Institute for the Future di Palo Alto, scopriamo che ci si riferisce a un tentativo volontario di superare ostacoli non necessari e sono quattro gli elementi che compongono qualunque tipo di gioco esistente:
- l’obiettivo da raggiungere;
- una serie definita di regole da rispettare per poter raggiungere quel determinato obiettivo;
- un sistema di feedback che indica al giocatore quanto sono vicini al raggiungimento dell’obiettivo;
- la volontarietà della partecipazione al gioco stesso.
Le meccaniche del gioco
Le meccaniche di gioco — cioè i processi di base che spingono avanti l’azione e determinano il coinvolgimento del giocatore — maggiormente utilizzate all’interno della gamification, sono le seguenti.
- Punti: rappresentano la ricompensa immediata per un comportamento ritenuto positivo all’interno del gioco e quindi ne denotano la bravura e l’esperienza.
- Livelli: rappresentano un sistema per introdurre obiettivi progressivi da raggiungere garantendo l’accesso a nuovi contenuti.
- Badge: sono “medaglie” per il raggiungimento di un certo traguardo o obiettivo, andando a caratterizzare il profilo e l’identità del giocatore
- Classifiche: sono un metodo per ordinare i giocatori in base al loro livello di performance e accendere un sano spirito di competizione, consentendo così di poter confrontare — e quindi migliorare — le proprie capacità con quelle degli altri partecipanti al gioco.
- Missioni: si tratta di una serie di ostacoli che il giocatore deve superare per poter guadagnare punti, badge o avanzare di livello.
Gamification in sintesi
Quindi è possibile sintetizzare il concetto di gamification come un insieme di prassi mutuate dal mondo dei giochi, che hanno l’obiettivo di applicare meccaniche ludiche ad attività che non hanno direttamente a che fare con il gioco; in questo modo è possibile influenzare e modificare il comportamento delle persone, favorendo la nascita ed il consolidamento di interesse attivo da parte degli utenti coinvolti verso il messaggio che si è scelto di comunicare, sia questo relativo all’incremento di performance personali o più in generale alle performance d’impresa.
I benefici dell’utilizzo della gamification
Ma perché applicare ad ambiti lavorativi questi elementi del mondo dei giochi? La risposta ha molteplici sfaccettature, ma le principali possono essere riassunte nei tre punti seguenti.
- Coinvolgimento: la gamification consente di esaltare il ruolo delle persone, ponendo gli individui al centro dell’attenzione e mettendoli in condizioni di tirare fuori da sé stessi elementi positivi e costruttivi.
- Divertimento: il gioco consente di far divertire le persone, di farle rilassare e di far provare delle piacevoli sensazioni ai giocatori.
- Motivazione: il gioco è in grado di influenzare il comportamento delle persone attraverso rinforzi e condurli alla realizzazione di comportamenti ritenuti normalmente noiosi o poco stimolanti.
Se è vero che le più funzionali esperienze di apprendimento si basano su di una forte motivazione, sulla declinazione di obiettivi chiari, sull’interpretazione dei risultati e su feedback immediati e continui, allora è vero anche che i giochi sono eccezionali strumenti di apprendimento, perché funzionano esattamente con queste caratteristiche.
Gamification per i millennials
Tutti questi aspetti assumono oggi un rilievo ancora più importante se prendiamo in considerazione la fascia dei cosiddetti millennials — o nativi digitali — cioè i nati tra il 1980 e il 2000. Questa generazione è cresciuta in un mondo ultradigitalizzato ed è entrata — relativamente — da poco sul mercato del lavoro con una completa rottura dei codici sociologici preesistenti.
Amano ricevere comunicazioni attraverso logiche game-like, sia nel tempo libero che in ambito professionale. La dimensione ludica ha pervaso l’esistenza di questa generazione, nella sua valenza più valoriale ed evoluta. Nel gioco non si bara, nel gioco si riceve un feedback per ogni azione, nel gioco ci sono degli obiettivi e delle regole chiare, nel gioco c’è una forte componente etica: il migliore vince.
Inoltre, sempre da un punto di vista sociologico, fino alla fine del XX secolo, l’apprendimento e il divertimento erano visti spesso come in opposizione l’uno con l’altro. Ma questa prospettiva si è dimostrata un po’ datata e anacronistica con l’avvento del XXI secolo e proprio della generazione dei millennials. Questo perché, tale prospettiva, teneva in considerazione il “cosa si studia” e “a cosa si gioca”, ma non il “come si studia” e “come si gioca”.
Gioco e apprendimento
Che il gioco possa avere un rapporto assai più fertile e fecondo con l’apprendimento lo si può capire anche semplicemente osservando l’etimologia del termine “scuola”, luogo d’eccellenza per l’apprendimento, dove è possibile rintracciare una nozione che rimanda alla piacevolezza del gioco: dal greco σχòλή (scholḗ), che sta a indicare l’ozio nel senso greco del termine vale a dire l’occupare piacevolmente il tempo libero, aver tempo di dedicarsi a una cosa per divertimento.
Dall’epoca dell’antica civiltà dei Greci sono trascorsi molti secoli e molto è cambiato nel concetto sociale di conoscenza. Oggi, il significato di conoscenza si è spostato dall’esser capaci di ricordare e ripetere delle informazioni studiate su dei libri o manuali a essere capaci di reperirle, valutarle ed adoperarle nel modo e nel contesto migliore. L’insegnamento e la formazione per la gran parte del XX secolo ha focalizzato la propria attenzione all’acquisizione di competenze basiche (saper leggere, saper scrivere, saper far di conto) e di conoscenze tecniche di una materia (la storia, la geografia, la geometria) concentrata essenzialmente nella prima parte della vita degli individui.
L’approccio secondo cui la vita degli individui si divide in un primario periodo di apprendimento e in una seconda fase di applicazione delle conoscenze acquisite è stato da tempo superato: oggi, questo approccio è stato soppiantato da quello comunemente indicato con il termine Life Long Learning, cioè al consolidato processo di apprendimento continuo che accompagna gli individui lungo l’intero arco della vita.
Infatti, con l’avvento del XXI secolo vi è stata una crescente complessità e continua modificazione del contesto economico, sociale e tecnologico che ha portato alla necessità che l’apprendimento, continuo e permanente, sviluppi competenze trasversali che permettano agli individui di affrontare in modo razionale e costruttivo le difficoltà più varie e adattarsi con successo ai molteplici cambiamenti contestuali. Quindi, competenze come la capacità di risolvere problemi complessi o interagire criticamente attraverso il linguaggio e i media, o ancora la capacità di risultare efficace all’interno di un gruppo di lavoro saranno sempre più determinanti per il proprio successo professionale.
Insomma il gioco è uno dei metodi più ancestrali che adoperiamo per imparare, lo strumento più naturale con cui il nostro cervello apprende e non soltanto quando si è bambini, ma anche da grandi. E, quando si è adulti, si può apprendere attraverso l’utilizzo di elementi ludici, grazie ad elementi che siamo soliti associare al mondo del gioco. In una parola, appunto, attraverso la gamification.
Controindicazioni all’utilizzo della gamification
Essendosi diffusa così velocemente e ampiamente nel mondo del lavoro, la gamification ha suscitato anche alcune perplessità e riflessioni critiche. Uno dei maggiori scettici è sicuramente Ian Bogost, filosofo e noto videogame designer americano che l’ha definita “merce di sfruttamento” o “bullshit” [3].
Le sue perplessità riguardano principalmente il fatto che, sebbene la gamification sia teoricamente progettata sui bisogni dell’utente, in pratica rischia di finire per limitarsi a difendere semplicemente i bisogni dell’organizzazione e di chi l’ha commissionata. Invece di risvegliare il coinvolgimento e il divertimento, trascina gli individui al soddisfacimento di una serie di motivazioni estrinseche che poco hanno a che fare coi loro veri bisogni.
Anche Steve Conway [4] pone interessanti questioni sul tema evidenziando, in primo luogo, che ritenere che la gamification aggiunga una qualità intrinseca di divertimento e di coinvolgimento al lavoro è paradossale perché questa funziona quasi sempre attraverso l’aggiunta di ricompense estrinseche al lavoro come trofei, distintivi o punti. Queste cose non hanno nulla a che vedere con il piacere intrinseco del gioco. Sono forme di ricompensa estrinseca.
Conway a tal proposito propone un comunissimo esempio di gamification, quello del monitoraggio del progresso attraverso punti, distintivi e obiettivi. Quando si ottengono queste ricompense, ci sono sottofondi musicali, animazioni e altre forme di congratulazione con il giocatore. Questo, secondo i sostenitori della gamification, dovrebbe portare l’individuo a sentire un senso di avanzamento nella propria vita lavorativa e quindi a provare un maggior coinvolgimento e motivazione. Di fatto questo non accade. La conquista di un determinato obiettivo o di un distintivo, nella gran parte dei casi, non è legata a una trasformazione dell’individuo — ad esempio delle sue competenze o delle sue relazioni sociali — ma è purtroppo fine a sé stessa.
Non si gioca più per il gusto di giocare ma per ottenere il maggior numero possibile di premi. Questo avviene tipicamente quando si usano dei “trucchi” o altre modalità per ottenere più velocemente tali premi.
Ricompense esterne e motivazione intrinseca
Infatti, se è vero che le competenze dei dipendenti sono misurate attraverso le metriche di performance ottenute dalla gamification, allora il dipendente farà di tutto perché quelle metriche siano più alte.
La propria performance lavorativa non viene goduta in sé ma diventa strumento per ottenere qualcos’altro. Questo può portare il lavoratore anche ad azioni scorrette: ad esempio tradendo la fiducia dei propri colleghi. Ma anche nel caso in cui non ci siano azioni scorrette, le ricompense esterne sembrano comunque diminuire la motivazione intrinseca dell’individuo. La mentalità strumentale è finalizzata all’obiettivo e non a come questo viene raggiunto. Inoltre è una mentalità che nutre sé stessa: una volta che si dà una ricompensa a qualcuno, questo ne vorrà sempre di più: bisogna tenerlo in un loop di ricompense per sempre.
Le potenzialità della gamification
In ogni caso, se è vero infatti che in molti casi la gamification viene utilizzata nei modi di cui sopra, è vero anche che le sue potenzialità non si fermano a questo e che esistono dei casi in cui la sua progettazione ha rispecchiato realmente i bisogni degli utenti. La gamification favorisce un utilizzo efficiente in senso economico delle risorse e porta benefici in termini di soddisfazione degli utenti, ma pone seri interrogativi sul confine tra etica e business quando si utilizzano tecniche di manipolazione psicologica per ottenere risultati economici.
A seconda degli ambiti, è necessaria una comprensione profonda della persona dal punto di vista umano e medico-scientifico per utilizzare le tecniche di gioco più adatte in misura tale da non danneggiare gli utenti. Una misura i cui limiti devono essere tracciati non solo dal buon senso di chi conosce bene gli effetti della gamification e rispetta la libertà di scelta delle persone, ma anche da autorità pubbliche che possono tutelare i consumatori da comportamenti opportunistici attraverso linee guida che tengano conto in modo dinamico dei progressi della tecnologia.
Conclusioni
La gamification non può essere considerata la panacea di tutti i mali e non sempre si vedono processi gamificati nel modo opportuno. Di base non è soltanto una questione “tecnologica”: prima di tutto sembra essere una questione metodologica e strategica. Bisogna aver chiari gli obiettivi, il target, il budget sul quale possiamo fare affidamento, il tipo di ritorno che ci aspettiamo e i tempi di realizzazione.
Non basta stilare una classifica o assegnare dei punti o dei badge — questa è la cosiddetta pointsification — per poter affermare di aver fatto vera gamification: a lungo andare questi stimoli risulteranno banali e non incentiveranno l’utente/cliente a continuare il gioco e l’obiettivo del coinvolgimento, primo step di qualunque processo gamificato, andrà perduto inevitabilmente.
Infine non basta trasformare un “qualcosa” in un “qualcosa gamificato” per renderlo di successo. Bisogna sempre pensare che la gamification è un metodo, uno strumento che non cambia il contenuto che stiamo veicolando. Quindi si deve riflettere se tale metodo è quello maggiormente adatto per il contenuto e per il target.
La gamification non è una moda passeggera, ormai questo è chiaro, e sarà destinata a diventare sempre più pervasiva nelle nostre vite di consumatori, lavoratori e cittadini. Il gioco che porterà con sé forse potrà aiutarci a rendere più leggere e divertenti molte delle nostre attività quotidiane. Forse anche il lavoro.