Introduzione
Il contesto sociale ed economico è cambiato insieme al tipo di competenze richieste per inserirsi efficacemente nel mercato del lavoro. Accanto alle classiche competenze tecniche si fanno spazio in modo sempre più insistito abilità interpersonali come la capacità di lavorare in gruppo o la comunicazione: si tratta di quelle che vengono definite ormai correntemente come soft skills, e che ancora in molti chiamano “competenze trasversali”.
Trovare un contesto e una modalità efficace per svilupparle assume allora grande rilevanza e il mondo del gioco e della gamification sembra rispondere bene a questa esigenza, mixando i giusti ingredienti — indipendenza, libertà, stra-ordinarietà — per favorire la crescita personale. La ricerca che presenteremo in questo articolo ha provato a mettere in relazione le abitudini e le performance di gioco digitale con i risultati a una batteria di test attitudinali: innovazione e “classicità” a confronto. I risultati sono significativi e, spesso, sorprendenti.
Intelligenza e competenze
Ciò che serve per essere “intelligenti” sul posto di lavoro è ormai cambiato: si richiede di applicare un nuovo tipo di approccio all’acquisizione delle competenze, spostando il focus da chi insegna a chi apprende, supportando il processo di crescita di una persona con le sue caratteristiche, attitudini e con i suoi modi di pensare il mondo.
A questo scopo, il mondo ludico apre a moltissime opportunità per progettare strategie di sviluppo delle più importanti competenze trasversali. Il gioco, infatti, è un elemento culturale costituito da tre componenti principali — indipendenza, libertà e stra-ordinarietà — che lo rendono uno strumento flessibile e adattabile a moltissimi contesti.
Quante intelligenze hai?
L’intelligenza, in tutte le sue forme, è sempre stato argomento di discussione e di interesse. Fin dall’antichità classica, Pitagora, Platone e Aristotele hanno elaborato pensieri in merito a cosa volesse dire essere intelligente; in epoca moderna, con la nascita e l’affermarsi della psicologia, in molti hanno provato poi a definirla.
I due filoni principali sono quello iniziato e portato avanti da Charles Spearman [1], che teorizzava un unico fattore generale di intelligenza, e quello di cui Robert Sternberg [2] è uno dei principali studiosi, che vede l’intelligenza come un processo che combina molte componenti. Altra teoria di grande peso è quella sviluppata da Cattell [3] prima e Horn [4] poi, due psicologi statunitensi che hanno distinto l’intelligenza fluida e quella cristallizzata.
L’intelligenza fluida è la capacità di risolvere problemi senza usare precedenti esperienze o conoscenze, mentre l’Intelligenza cristallizzata agisce tramite le competenze apprese nel tempo con l’esperienza formale e informale. Essendo l’Intelligenza fluida una misura della flessibilità mentale, in molti hanno tentato di allenare questa abilità per incrementare competenze chiave come il pensiero divergente, il ragionamento induttivo e il problem solving creativo.
Un tipo di intelligenza è il ragionamento astratto, che comprende l’organizzazione del pensiero, la capacità riflessiva, l’immaginazione e l’uso dell’attenzione selettiva. Troviamo un’applicazione del pensiero astratto nel modo in cui le persone riescono a crearsi rappresentazioni interne di oggetti anche senza la loro presenza effettiva.
Soft skills
Non è una novità, il mondo va veloce. E se osserviamo questo mondo che va veloce, ci accorgiamo che “essere intelligenti” forse non è più sufficiente o perlomeno che il concetto di “intelligenza” nel mondo aziendale post-moderno è molto articolato e complesso, composto da molte sfaccettature e caleidoscopico.
Alcuni dei lavori più richiesti ad oggi — per esempio, sviluppatore di app, specialista di cloud computing, analista di big data — non esistevano 10 anni fa. Questo ha portato a un cambiamento anche nel costrutto di intelligenza e nelle competenze richieste alle persone, nonché nelle modalità con le quali viene valutata la performance sul posto di lavoro.
Gestire una grande mole di informazioni, analizzare attentamente situazioni complesse, prendere decisioni in modo rapido ed efficace, collaborare con altre persone nella risoluzione di problemi: si tratta di abilità che i classici test di performance non valutano e che fanno riferimento al mondo delle soft skills.
Che cosa sono le competenze “trasversali”
Le soft skills sono molto importanti nel migliorare le proprie interazioni sociali, le performance lavorative e le prospettive di carriera; tali competenze possono essere sviluppate nelle attività formali e informali di tutti i giorni. Come afferma Robles [5]:
Le soft skills sono quelle intangibili, non tecniche, specifiche capacità che determinano le proprie abilità come leader, facilitatore, mediatore e negoziatore
Le soft skills sono solitamente contrapposte alle hard skills, le competenze tecniche che storicamente hanno rappresentato ciò che i recruiter cercavano maggiormente. Senza negarne il ruolo anche nelle organizzazioni moderne, il peso che rivestono le competenze tecniche sta cambiando in favore di quello delle soft skills, come dimostra lo studio di Watts e Watts del 2008, citato in [6], che attribuisce addirittura l’85% del successo di un lavoratore alle competenze trasversali.
In sintesi possiamo quindi dire che il cambiamento non solo è inevitabile ma è già avvenuto ed è sotto i nostri occhi. Prendiamone atto e cavalchiamo l’onda (digitale) che sta aprendo nuovi percorsi con nuovi protagonisti e nuove abilità da sviluppare. Ciò che ci occorre è professionalità e intelligenza, ma senza prendersi troppo sul serio e, magari, giocandoci su…
Play the game
Già, il gioco: un elemento che attraversa le nostre vite fin dall’infanzia ma che ha un ruolo nello sviluppo intellettuale, emotivo e comportamentale di ognuno di noi in tutte le fasi della crescita. Giocare è un modo per rilassarsi, sviluppare autocontrollo, sperimentarsi in situazioni nuove, esercitare il potere; ma concentrarsi troppo sui suoi significati fa perdere l’essenza del gioco, il “gusto” di giocare in modo ingenuo.
Una prospettiva interessante sul tema è quella offerta da Johan Huizinga, uno storico olandese: nel suo libro del 1938 Homo Ludens [7], Huizinga parla della socializzazione umana come costruita sopra e nel gioco, considerandolo un elemento costitutivo della cultura umana. Il gioco ha, per Huizinga, tre caratteristiche principali: l’indipendenza, la libertà e la stra-ordinarietà. Tutto questo è intersecato con precise regole, senza le quali non avremmo uno svolgimento corretto e funzionale del gioco.
Con queste premesse il gioco è quindi declinabile in tutti gli ambiti e con qualsiasi target, perché giocare non sottostà alle categorie, ma le ingloba e le pone sotto un punto di vista luminoso, dando la possibilità di esplorare nuovi modi di fare e di essere a chi ha voglia di mettersi, appunto, in gioco…
“Gamificare” i processi: in che modo?
Come si uniscono le competenze trasversali, il gioco e il mondo aziendale? La risposta la troviamo nel concetto di gamification (“ludicizzazione”), di cui abbiamo parlato ampliamente nel primo articolo di questa serie. Ma riportiamo di seguito una breve sintesi di cosa significa questo concetto [8]:
L’uso di elementi di game design in contesti non ludici
Questa è una delle definizioni più accurate di “gamification”, fornita da alcuni dei principali esperti sul tema; il costrutto è relativamente recente, lo troviamo infatti usato per la prima volta (documentata) nel 2008, anche se è dal 2010 che è iniziata la sua diffusione in aree come l’istruzione, il lavoro, la salute e l’organizzazione aziendale.
La notorietà e diffusione del concetto di gamification è legato a due principali fattori: da un lato la costante presenza del (video)gioco nella vita quotidiana, dall’altro la consapevolezza che gli elementi ludici hanno il potenziale di rendere prodotti e servizi più coinvolgenti e divertenti.
Le esperienze “gamificate” agiscono positivamente sulla motivazione intrinseca e aumentano, tra le altre, l’interazione sociale e la produttività; anche grazie a questi dati, sta crescendo il numero di startup che inseriscono elementi di gamification nel loro business e il numero di articoli e ricerche scientifiche sul tema.
Certo, i giochi usati in modo “serio” hanno una storia di migliaia di anni, ma l’ultimo ventennio ha segnato un cambio di passo con l’esplosione del digitale e, di conseguenza, dei giochi digitali. In letteratura vengono definiti “serious games” quei giochi il cui scopo principale non è l’intrattenimento ma la componente educativa. Accanto — concettualmente — a questi sono apparsi altri generi, come i pervasive games, che espandono una loro caratteristica in senso spaziale, temporale o sociale in un processo globale di “ludicizzazione della cultura” che sta trasformando i videogiochi in esperienze di apprendimento.
Il funzionamento della gamification
Ma come “funziona” la gamification? Possiamo pensarla come un processo diviso in tre macrocomponenti: le affordances motivazionali, i meccanismi psicologici e i comportamenti conseguenti.
Nella categoria delle affordances motivazionali rientrano i singoli elementi che agiscono sulla motivazione individuale, come i punteggi, le classifiche, i badges (piccoli premi e riconoscimenti non legati all’obiettivo principale del gioco). Queste componenti generano soddisfazione, ottimismo e creazione di significato, meccanismi psicologici che portano a sentirsi in controllo delle proprie azioni fino ad arrivare in uno stato di flow, il completo coinvolgimento in una esperienza [9].
Le conseguenze sul comportamento riguardano principalmente un piano pratico come le intenzioni d’acquisto, ma sarebbe interessante aprire nuovi orizzonti approfondendo il livello qualitativo dei comportamenti. Senza dubbio, un incentivo sul piano comportamentale è dato dal confrontarsi con altre persone o con degli standard condivisi: il confronto sociale e la validazione altrui, ad esempio, sono collegati alla preferenza per comportamenti o prodotti che hanno il favore di persone per noi importanti.
Tramite i badges viene messo in atto anche un altro meccanismo, quello di definizione di obiettivi chiari, raggiungibili che aumentano la propria autoefficacia e soddisfazione. I sotto-obiettivi infatti fungono da driver per l’esperienza dell’utente, che si orienta meglio e ottiene maggiore soddisfazione dall’utilizzo del servizio/prodotto.
I rischi della gamification
Certo non mancano i possibili rovesci della medaglia, come la limitatezza nel tempo degli effetti motivazionali o le possibili conseguenze negative di alcune affordances, basti pensare alla competizione che, per quanto stimolante, può portare a situazioni percepite in modo negativo. Altro rischio è quello legato all’utilizzo poco consapevole di questi elementi da parte delle aziende: iniziare un programma di ricompense esterne, ad esempio, andrebbe a rinforzare dei comportamenti che potrebbero poi cessare nel momento in cui la ricompensa scompare, causando cali di prestazione o insoddisfazione.
Nonostante i possibili rischi, che è utile considerare soprattutto per migliorare gli interventi futuri di gamification, è sicuro che il tema offra prospettive e spunti generativi in una notevole quantità di ambiti di studio e di applicazione.
La ricerca
L’efficacia dei videogiochi nel sostenere l’apprendimento di soft skills, come la collaborazione e il problem solving, è dimostrata e sono state anche rilevate delle differenze tra giocatori e non giocatori nel saper analizzare gli eventi in modo rapido e nell’abilità di decision making [10].
La ricerca che presentiamo di seguito è partita proprio da questo stato dell’arte, nel tentativo di approfondire e allargare la conoscenza e le evidenze sulla correlazione tra gioco e soft skills.
Partecipanti
Nello specifico, il campione era composto da 131 studenti universitari di cui 89 donne e 42 uomini, con un’età media di 21,8 anni. Di questi 131, il 43,5% (57) giocava sia su smartphone che su PC o console, e sono per questo stati considerati “hard gamers”, ossia persone che dedicano molto tempo al gioco digitale.
Procedura
Gli studenti hanno preso parte a una ricerca longitudinale che li ha visti partecipare a quattro sessioni di gioco con quattro videogiochi scelti preliminarmente. Ogni sessione è stata preceduta dalla compilazione di un test attitudinale diverso, collegato a uno specifico videogioco in base alle competenze misurate dal test e richieste dal videogame.
Strumenti
I test piscoattitudinali intendevano valutare
- ragionamento astratto
- velocità e precisione
- rapporti spaziali
- intelligenza fluida
Per le prime tre competenze, sono state utilizzate tre sottoscale del test il DAT-5 (Differential Aptitude Tests), mentre, per la quarta competenza, il test delle Matrici Progressive di Raven (APM) ha svolto la sua funzione di storica misura dell’intelligenza fluida.
La scelta dei giochi doveva, ovvviamente, favorire applicazioni in grado di mettere alla prova tali competenze. Le didascalie delle figure 2-5 illustrano le caratteristiche dei giochi scelti allo scopo.
Discussione
L’obiettivo era di esplorare la relazione tra soft skills e videogiochi, mettendola in relazione con test scientifici di provata affidabilità e con le abitudini di gioco sui propri dispositivi.
Abbiamo ipotizzato che il tempo di gioco influenzasse la performance ai giochi e ai test, aprendo a possibilità di sviluppo delle skills, e che ci fosse una correlazione tra i punteggi ai videogiochi e ai test correlati, per verificare la corrispondenza effettiva tra le competenze sottostanti i due strumenti.
I risultati ci hanno mostrato come sia la performance ai giochi, in particolare a Roll the Ball, che i risultati dei test, quello sul ragionamento astratto su tutti, migliorassero all’aumentare del tempo di gioco, in termini sia di frequenza che di durata delle sessioni. Nello specifico gli hard gamers, ossia coloro che hanno dichiarato di giocare sia su mobile che su PC/console, rispetto agli altri hanno ottenuto punteggi migliori sia ai giochi che a due test, quello sul ragionamento astratto e quello sull’intelligenza fluida, sebbene non siano emersi valori significativi. Se per il primo risultato non ci stupiamo, per un prevedibile effetto “esperienza”, l’influenza sui test non era scontata e ha confermato le nostre ipotesi.
Tra i giochi e i test la correlazione più importante è stata trovata tra Roll the Ball e il test sul ragionamento astratto, collegati nel disegno di ricerca e nei risultati. Lo stesso test ha fatto registrare un collegamento significativo con un altro gioco, Dooors, risultato che apre a domande per futuri sviluppi della ricerca.
Conclusioni
I risultati di questa ricerca sono solo un tassello del variopinto universo di cui fanno parte le attività gamificate o comunque affiliate al gioco e alle sue applicazioni. Ma è così che si costruisce la conoscenza in un dato ambito, soprattutto se, come in questo caso, l’oggetto di studio è una materia “controversa”, innovativa ed efficace.
Interessante notare come i partecipanti abbiano riportato di essere stati molto coinvolti nelle sessioni di gioco e positivamente sorpresi dalla combinazione di videogiochi e test tradizionali per l’assessment e i processi di selezione e valutazione in azienda. Questo da una parte ha evidenziato il lato innovativo di questo tipo di approccio e dall’altra ci ha fatto riflettere sull’uso ancora scarso di questo potente strumento. Abbiamo dunque di fronte la sfida di ampliare e approfondire la sua conoscenza, soprattutto nel mondo del lavoro, dove le opportunità sono molte ma, spesso, sono tante anche le resistenze a innovare in modo concreto e funzionale.
Speriamo dunque nel tempo di ridurre lo stigma negativo associato al gioco e far emergere un aspetto che ha una lunghissima storia alle spalle e un altrettanto duraturo futuro davanti a sé.