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Nel numero:

218 giugno
, anno 2016

Agile Coach Camp 2016

Considerazioni… dal campo

Roberta Trucco

Roberta Trucco ama viaggiare, connettersi con le persone e ha la passione per il kitesurf e il mare.
Ha studiato economia presso l’Università di Pisa, ha vissuto diversi anni all’estero e ha lavorato in ambito HR per società inglesi.
Entrata in contatto con la filosofia Lean, si appassiona alle metodologie agili. Al momento lavora al progetto di una start up, muove i suoi primi passi nel mondo dell’agile coaching e collabora con Cocoon Projects, azienda fondata su un modello innovativo di Open Governance.

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Agile Coach Camp 2016

Considerazioni… dal campo

Picture of Roberta Trucco

Roberta Trucco

  • Questo articolo parla di: Apprendimento & Serious Gaming, Conferenze & Reportage, Soft skills

Agile Coach Camp Italy, edizione 2016

Quest’anno l’Agile Coach Camp Italy 2016 è stato organizzato nella Magnifica Comunità degli Altipiani Cimbri, a  Lavarone in provincia di Trento, dal 9 all’11 giugno.

All’appello, oltre che i veterani e gli habitué dell’appuntamento, hanno partecipato numerose facce nuove, come la mia, tutti accomunati dal desiderio di affrontare tematiche inerenti le metodologie Agili e condividerne l’esperienza. Una full immersion dall’alba al tramonto — e non solo — fatta di ascolto, condivisione, partecipazione e collaborazione.

Figura 1 – Il complesso alberghiero che ha ospitato l’evento di quest’anno offriva una meravigliosa vista del piccolo Lago di Lavarone.
Figura 1 – Il complesso alberghiero che ha ospitato l’evento di quest’anno offriva una meravigliosa vista del piccolo Lago di Lavarone.

 

Si è subito creata una atmosfera di palpabile condivisione in cui era impossibile non interagire; è stata una tre giorni d’ispirazione per tutti i “ruoli” coinvolti nei lavori: coach agili, scrum masters, product owners, executives, developers ma anche altre figure professionali che si stanno avvicinando al mondo agile.

 

Una non-conferenza oltre i confini

All’Agile Coach Camp Italy 2016 [1], giunto in Italia alla sua sesta edizione, la lingua maggiormente utilizzata è stata l’inglese, vista la presenza di professionisti provenienti da diverse nazioni come la Germania, l’Olanda e Regno Unito.

Come tutti  gli Agile Coach Camp organizzati nel mondo, l’evento si è svolto secondo la metodologia dell’Open Space Technology, precisando per chi ancora non avesse avuto la fortuna di fare quest’esperienza, che è una tecnica tesa a stimolare l’autoorganizzazione di un gruppo di persone riunitesi per discutere tematiche che hanno a cuore. Non esiste un’agenda predefinita dell’evento ma viene costruita al momento grazie agli argomenti e ai temi proposti  e presentati dai partecipanti,  che contribuiscono cosi a costruire il Marketplace dell’evento in base alle fasce orarie e agli spazi a disposizione.

Figura 2 – Apertura dell’evento da parte di Pierluigi Pugliese, uno dei consueti organizzatori dell’Agile Coach Camp in Italia.
Figura 2 – Apertura dell’evento da parte di Pierluigi Pugliese, uno dei consueti organizzatori dell’Agile Coach Camp in Italia.

 

Quattro principi, una sola regola a governare la non-conferenza: senza scendere in particolari ed evitando ripetizioni, rimanderei gli interessati che  vogliono approfondire l’argomento alla lettura del resoconto dell’Agile Coach Camp 2013 [2].

 

Rompiamo il ghiaccio

La prima giornata è iniziata nel tardo pomeriggio di giovedì con una presentazione dell’evento, seguita da alcune attività per favorire la conoscenza e consentire di presentarsi agli altri.

In una delle attività proposte, ci è stato chiesto di scrivere sinteticamente su un foglio A4 quello di cui avremmo voluto discutere nel corso del Camp, creando una mappa personale; successivamente siamo andati in giro nella stanza, cercando persone con gli stessi interessi e le stesse competenze che sarebbero diventate i “compagni perfetti” con cui formare dei gruppi di 6 persone e con cui creare nei 15 minuti a disposizione un live talk su un determinato argomento deciso da tutto il gruppo.

Figura 3 – Una tra le attività sciogli-ghiaccio iniziali è stata quella di creare una mappa “umana” dell’Europa sulla base della provenienza di ciascuno dei partecipanti.
Figura 3 – Una tra le attività sciogli-ghiaccio iniziali è stata quella di creare una mappa “umana” dell’Europa sulla base della provenienza di ciascuno dei partecipanti.

 

La fase di socializzazione è proseguita durante l’aperitivo; per molti anche il dopo cena è stata un’occasione per continuare a intavolare discussioni di gruppo, partecipare a sessioni serali improvvisate o per dedicarsi ad altri tipi di eventi organizzati dai partecipanti quali partite di biliardo, tiro con l’arco (!) o semplicemente scambiandosi quattro chiacchiere davanti a un bicchiere.

 

Ore 9: Apertura del  Marketplace

Il giorno successivo, dopo la prima colazione si è aperto ufficialmente l’open space; molte le sessioni proposte dagli intervenuti ma, per ovvi motivi, vi racconterò qualcosa solo delle sessioni a cui ho preso parte e dalle quali sono scaturiti spunti di riflessioni che hanno portato a elaborazioni interessanti.

Figura 4 – Contrattazioni e scelte davanti al Marketplace.
Figura 4 – Contrattazioni e scelte davanti al Marketplace.

 

Possiamo cambiare la cultura aziendale?

In questa sessione, suggerita da Emiliano Soldi, si è riflettuto sul come aiutare le organizzazioni a cambiare la loro cultura aziendale, pensando non solo al cambiamento degli obiettivi aziendali o al decentramento decisionale dell’organizzazione riducendo gli strati piramidali, bensì, al modo in cui riuscire a mettere insieme persone facendo loro condividere valori e responsabilità al fine di proporre una nuova struttura e una nuova organizzazione.

Si è parlato delle strategie che adottiamo o vorremmo adottare nell’ambito delle organizzazioni nelle quali operiamo, di quando ci rendiamo conto che le persone praticano l’Agile mettendo in pratica dei meccanismi agili, ma senza essere veramente agili.

Figura 5 – Una sintesi dei temi affrontati in questa sessione intorno alla possibilità di innescare il cambiamento culturale nelle aziende.
Figura 5 – Una sintesi dei temi affrontati in questa sessione intorno alla possibilità di innescare il cambiamento culturale nelle aziende.

 

La sessione ha quindi portato a discutere sulla possibilità e l’impossibilità di cambiare la cultura all’interno di un’azienda, del tempo necessario, della resistenza da parte dei manager al cambiamento, della necessità di un nuovo DNA da iniettare per ottenere comportamenti che possano portare a un cambiamento culturale di tutti gli attori coinvolti nel processo.

 

Empowering

Andrea Provaglio ha proposto come tema di discussione quello dell’empowering e della difficoltà che il management tradizionale ha nel trasferire il potere all’interno di un team e dunque sulla volontà, sulla capacità e sul coraggio di lasciare andare il potere, temendo una perdita di controllo e non permettendo così a un team di autoorganizzarsi e responsabilizzarsi.

Si è parlato tra le possibili soluzioni della delegation board di J. Appelo [3] e, nello specifico, dei sette livelli di delega che la compongono: data una lista di aree decisionali, per ogni scelta che deve essere presa, viene dato un certo livello di delega che può essere da “zero delega” a “massima delega”. La delegation board, caratterizzata dalla simmetria dei livelli che la compongono, con quello centrale di agreement, può portare da una parte alla totale dittatura da parte del management o alla totale autonomia del team dall’altra.

Figura 6 – Intorno a un tavolo da biliardo si discute sulla responsabilità manageriale e sulla necessità di delegare ai team di lavoro.
Figura 6 – Intorno a un tavolo da biliardo si discute sulla responsabilità manageriale e sulla necessità di delegare ai team di lavoro.

 

Il vantaggio, oltre a quello derivante dalla totale trasparenza, è quello di permettere a un team di essere autoorganizzante e di poter decidere autonomamente come raggiungere i propri obiettivi. Si è parlato della disfunzione esistente nelle realtà aziendale: da una parte l’autonomia e la responsabilità affidata al management e dall’altra il potere detenuto in solido nelle mani degli executive. Questo non facilita l’empowering dei team di lavoro per la paura di un fallimento che potrebbe fare seguito a un decentramento decisionale: in un contesto tradizionale le conseguenze a spese del management stesso sarebbero inaccettabili.

 

Management Constellations

Sempre Andrea Provaglio, in questo mini-workshop altamente interattivo, ha presentato questo approccio sistemico, utilizzato per aiutare a capire le complessità organizzative e sociali; quando un team o una società si trovano ad affrontare qualche problema legato a un progetto o a una situazione interna, il Management Constellations permette di arrivare a soluzioni che sarebbero altrimenti difficili da vedere.

Andrea ha scelto una tra le situazioni di vita reale proposte dai partecipanti e ha guidato la persona che aveva presentato il caso in questione alla soluzione tramite il metodo del Management Constellations.

Figura 7 – Una fase del Management Constellations in cui si tiene conto di diversi fattori quali posizionamento, orientamento e distanza tra i membri del team per poter arrivare alla visualizzazione condivisa del problema e riflettere per trovare una soluzione allo stesso.
Figura 7 – Una fase del Management Constellations in cui si tiene conto di diversi fattori quali posizionamento, orientamento e distanza tra i membri del team per poter arrivare alla visualizzazione condivisa del problema e riflettere per trovare una soluzione allo stesso.

 

Le costellazioni di gestione sono utili per creare una visione condivisa di un problema all’interno di un gruppo di persone, dove per costellazioni ci si riferisce metaforicamente ad un sistema di elementi interconnessi a cui attribuiamo un qualche significato.

 

Un gioco serio per il dopo cena

In questa sessione serale Marco Trincardi ha proposto un Lego game per evidenziare la differenza di risultato derivante dallo sviluppare un progetto seguendo la metodologia agile piuttosto che quella tradizionale.

Anzitutto ci siamo divisi in 2 squadre: Team A, ad approccio tradizionale, e Team B, a metodologia agile. Lo scopo del gioco era di creare una città, costruendo case e vendendole a un dato compratore.

Le due squadre avevano a disposizione lo stesso budget ma dovevano seguire regole diverse, conformemente a quelli che erano i due approcci utilizzati per sviluppare il progetto: la squadra A, ad approccio tradizionale, aveva 15 minuti per pianificare e accordarsi col buyer e 45 minuti per costruire le città e vendeva le case al compratore solo alla fine della fase di sviluppo; la squadra B, in accordo con i principi Agile, invece seguiva un iter di 4 iterazioni che includevano tutte la fase di pianificazione, sviluppo, revisione e vendita.

Alla fine di questo mini-workshop, sono stati messi a confronto i due progetti con interessanti osservazioni a conferma di quello che avviene molto spesso nella realtà.

Figura 8 – Alla fine di ciascuna iterazione il cliente partecipava alla fase di revisione, dando feedback al team, e a quella di vendita, contrattando con il team per l’acquisto delle case. Nella nuova fase di pianificazione della successiva iterazione, il team pianificava lo sprint successivo seguendo le indicazioni del compratore.
Figura 8 – Alla fine di ciascuna iterazione il cliente partecipava alla fase di revisione, dando feedback al team, e a quella di vendita, contrattando con il team per l’acquisto delle case. Nella nuova fase di pianificazione della successiva iterazione, il team pianificava lo sprint successivo seguendo le indicazioni del compratore.

 

Il team tradizionale non aveva un’idea chiara dei costi sostenuti se non alla fine dei 60 minuti; invece la squadra agile iniziava a guadagnare fin dalla fine della prima iterazione, raggiungendo il break even point già alla fine della seconda iterazione.

Interessante notare la differenza tra la tipologia di case costruite dalla squadra tradizionale rispetto a quella agile: mentre il primo team costruiva case molto imponenti impiegando più tempo e facendo salire il costo, il secondo team costruiva case più piccole rispettando quelli che erano i tempi e i costi previsti e consegnando valore già alla fine della prima iterazione esattamente come avviene nello sviluppo agile di software con un piccolo lotto di funzionalità rilasciate alla fine di ciascuna iterazione per la creazione immediata di valore.

 

Back to the future

Tra i tanti giochi utilizzati seriamente nelle aziende per affrontare problemi complessi, ci sono anche i Rory’s Story Cubes, dadi da gioco che hanno, su ciascuna faccia, dei simboli che offrono ottimi stimoli per la creazione di storie.

Adriano Gasparri li ha utilizzati all’interno di un gioco serio chiamato “Back to the future” in onore dell’omonimo film cult il cui protagonista era il giovane Marty McFly. La finalità consisteva nel farci guardare al futuro della nostra carriera professionale e aiutarci a sviluppare un nuovo approccio risolutivo ai problemi.

Divisi in gruppi di 3-4 persone con 9 dadi in dotazione per gruppo, abbiamo iniziato da subito a giocare e prendere confidenza con i dadi, utilizzandoli inizialmente per creare storie fantastiche e stimolando la nostra creatività, fino ad arrivare a toccare la sfera personale e professionale uscendo a piccoli passi dalla nostra zona di confort. Le storie raccontate erano inventate sulla base dei 9 simboli che uscivano a seguito dei lanci e da noi interpretati.

Figura 9 – “Back to the future” ha rappresentato il giusto connubio tra storytelling e gamification.
Figura 9 – “Back to the future” ha rappresentato il giusto connubio tra storytelling e gamification.

 

L’ultimo lancio di dadi coincideva con un esercizio a conclusione della sessione, ossia quello di raccontare una storia meno libera rispetto alle precedenti attività, che facesse emergere al tempo stesso sia la nostra situazione personale che professionale individuando, tra i vari simboli, quelli che più rappresentavano i momenti di maggior successo e insuccesso della nostra vita.

La storia raccontata da ciascuno di noi si è chiusa con un momenti di retrospettiva individuale per riflettere su quanto appreso nell’arco della nostra intera vita personale e professionale.

 

Agile e bubbole (= bullshit)

In questa sessione, facilitata da Pierluigi Pugliese, si è discusso sull’implicazione etica dell’utilizzo di nuove metodologie non convalidate nell’ambito agile, e sul se e quanto una metodologia dovrebbe essere testata e sperimentata prima di essere presentata e venduta al mercato perché concretamente efficiente.

Figura 10 – Possiamo commettere errori nell’utilizzo di una metodologia piuttosto che di un’altra ma l’importante è cercare di lavorare in modo etico e professionale.
Figura 10 – Possiamo commettere errori nell’utilizzo di una metodologia piuttosto che di un’altra ma l’importante è cercare di lavorare in modo etico e professionale.

 

Molti gli esempi fatti e le riflessioni etiche sulla necessità di indagare più a fondo nel capire quanto un nuovo strumento sia stato veramente convalidato come funzionante dalla comunità prima di essere utilizzato all’interno delle organizzazioni: il senso sta nel non correre il rischio di utilizzare qualcosa di malfunzionante.

 

The Improvement Kata

Un altro gioco serio al quale ho partecipato è stato Improvement Kata [4] proposto da Matteo Vaccari. Si tratta di una routine scientifica in quattro fasi attraverso la cui pratica un’organizzazione può migliorarsi e adattarsi in modo continuo raggiungendo obiettivi impegnativi in modo sistematico.

Dopo una prima fase introduttiva, siamo entrati nel vivo del gioco. Ciascun gruppo era formato da 5 giocatori e aveva a disposizione un tempo sfida di 15 secondi, in cui tentare di ricostruire un puzzle Ravensburger consistente in 15 pezzi.

Faceva parte del gruppo una sesta persona che aveva il compito di prendere il tempo che veniva poi registrato su un modulo specifico dall’archivista del gruppo alla fine di ogni turno di gioco. In questo modo tutti avevano ben chiari i miglioramenti o i peggioramenti rispetto al turno precedente.

Considerando i quattro livelli del metodo, l’obiettivo di ciascuna squadra era quello di definire una strategia durante il tempo concesso tra un turno di gioco e l’altro; tale strategia doveva permettere di fare una stima del tempo necessario alla ricostruzione del puzzle e di raggiungere il risultato finale, avendo ben chiara la situazione di partenza e quella corrente.

Figura 11 – I giocatori alla fine di ogni ciclo hanno 60 secondi di tempo per definire la strategia ed raggiungere l’obiettivo finale.
Figura 11 – I giocatori alla fine di ogni ciclo hanno 60 secondi di tempo per definire la strategia ed raggiungere l’obiettivo finale.

 

Questo gioco è utile per far prendere consapevolezza di quanto sia importante che le idee vengano testate e per creare la cultura del miglioramento continuo all’interno delle organizzazioni.

 

La transizione agile per energizzare il processo di crescita

Pur nella differenza delle proposte e delle attività svolte, molte delle sessioni a cui ho partecipato hanno fatto emergere una “lezione comune” mai come ora importante per l’affermazione delle metodologie Agile in ambiti sempre più allargati.

Figura 12 – Tanti Post-it per evidenziare le cose che ci sono più e meno piaciute durante l’Agile Coach Camp.
Figura 12 – Tanti Post-it per evidenziare le cose che ci sono più e meno piaciute durante l’Agile Coach Camp.

 

È apparsa infatti chiara la forte esigenza da parte degli intervenuti di cercare di capire e di ricevere suggerimenti sul come supportare le aziende verso un cambiamento culturale e organizzativo. La presa di coscienza è che tale cambiamento deve essere basato sugli individui piuttosto che sull’implementazione di semplici processi produttivi o aspetti di project management. Solo così, collocando il proprio percorso in un’ottica di miglioramento continuo riguardante tutti gli innumerevoli aspetti della realtà aziendale, sarà possibile lavorare per un reale e duraturo processo di transizione.

 

Conclusioni

L ’agile coach camp si è rivelato una buona palestra dove allenarsi per due giorni consecutivi insieme agli esperti della comunità agile nazionale e internazionale intervenuti all’evento, attraverso un continuo scambio esperienziale, e affrontando e discutendo temi d’interesse legati al mondo agile.

La realtà non ha deluso le aspettative di trovarsi immersi in discussioni di gruppo ricche di stimoli e fonte di riflessioni, dove l’attenzione era puntata sugli individui e sulle interazioni più che sui processi e sugli strumenti, in totale coerenza con il Manifesto Agile.

Oltre alle tante nuove idee e a nuovi strumenti da sperimentare, da questa esperienza porto a casa molta voglia di fare e soprattutto tanti nuovi amici. Questo camp si è rivelato infatti un’ottima occasione di reincontrare persone conosciute a eventi precedenti ma anche di conoscere persone appassionate di filosofia agile, con cui poter interagire e collaborare in futuro.

 

Roberta Trucco

Roberta Trucco ama viaggiare, connettersi con le persone e ha la passione per il kitesurf e il mare.
Ha studiato economia presso l’Università di Pisa, ha vissuto diversi anni all’estero e ha lavorato in ambito HR per società inglesi.
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L’Agile e il management

I parte: dal management tradizionale al Radical Management

Business Process Automation

III parte: Bizagi Modeler

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I parte: Moderni cantastorie

Metriche Kanban per il miglioramento continuo

V parte: “Probabilistic forecasting” per prevedere il futuro

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