Introduzione
Non c’è cosa più difficile, a mio parere, del presentarsi ad uno sconosciuto: è come iniziare a scrivere su un foglio bianco, in cui però non hai la possibilità di cancellare con la gomma o con il bianchetto se la frase che hai detto non ti piace. Le prime parole parlano di te e di come sei.
Il pensiero appena espresso è una parte costante e importante del mio lavoro: “Piacere, mi chiamo Martina e sono una storyteller”.
Storyteller e storytelling
Qui in Italia la parola storyteller e, sopratutto la professione che essa definisce, non sono ancora radicate nelle realtà lavorative e quotidiane delle persone. Lo capisco quando mi capita di vedere — e succede spesso — facce perplesse nel capire che cosa effettivamente faccia nella vita. A volte vorrei fare un rewind, un “riavvolgimento rapido del nastro”, come si faceva con i vecchi Walkman, per poter cambiare la frase e dire: “Piacere, mi chiamo Martina e sono una cantastorie”.
Storytelling è la denominazione inglese di una delle più antiche attività umane: il racconto, la narrazione di storie. Nell’antichità classica, gli aedi erano uomini che giravano di villaggio in villaggio a raccontare storie e portare notizie; nel mondo celtico, i bardi trasmettevano le tradizioni in maniera orale; nella cultura medievale, menestrelli e giullari erano figure che esaltavano personaggi illustri della società al popolo oppure che, all’interno delle corti, dilettavano gli spettatori con epiche o brevi racconti, e a cui a volte era consentito di dileggiare il potere e i potenti. Anche nella nostra cultura tradizionale, specie nel Meridione d’Italia, è ben presente la figura del cantastorie che, accompagnato da musica e da immagini su grandi tele, raccontava episodi e gesta legati a volte al ciclo dei poemi cavallerechi, a volte invece derivati dalla storia recente e dalla cronaca.
I tempi cambiano, ma la necessità di comunicare resta
Negli ultimi secoli i media hanno progressivamente preso il posto del bardo con sistemi sempre più complessi, passando dalla “gazzetta” settecentesca attraverso l’epoca d’oro dei giornali e delle riviste del secolo scorso, per arrivare agli attuali notiziari radiofonici, televisivi e via web in cui spesso alla notizia e al commento si abbinano intrattenimento e sponsorizzazione.
Eppure, anche con tutti questi cambiamenti facilitati da piattaforme tecnologicamente molto avanzate, dietro ai moderni mezzi c’è ancora la necessità di comunicare al pubblico, di diffondere idee e proposte.
Questa tendenza si riflette specificamente anche nel mondo del lavoro, come accade nel caso del cosiddetto Business Novelling; questo desiderio di comunicare ha permesso alla figura del bardo di perdurare nel tempo; e ciò che sorprende maggiormente è che, nonostante il cambiamento di contesto e l’avanzamento tecnologico, certe caratteristiche della figura del narratore sono rimaste le stesse di chi svolgeva queste attività nei secoli passati.
Storytelling in campo lavorativo
Sì, ma in definitiva, oggi che cosa è uno storyteller? Che ruolo svolge? E soprattutto, in campo aziendale, può avere un effettivo valore?
Come già detto in precedenza, in Italia la parola anglosassone non si sente molto, a meno che non si faccia parte dell’ambito ristretto di chi pratica queste attività; del resto, se volessimo utilizzare il termine italiano “cantastorie”, ci troveremmo a pensare piuttosto a una figura fiabesca e antica, troppo arcaica per la realtà di oggi.
Ma, in ambito giornalistico, si trovano eccome figure simili, al punto tale che si organizzano — e si partecipa a — seminari sulla tematica; nell’intrattenimento, poi, lo storytelling è la base essenziale per lo sviluppo della letteratura e dell’audiovisivo.
Sempre più si comincia a prendere atto del fatto che in campo aziendale la figura dello storyteller sia fondamentale per la creazione e la promozione di progetti e prodotti, per aiutare a sviluppare la creatività per quanto riguarda il Public Speaking, la capacità di saper parlare in pubblico e con il pubblico.
L’importanza della narrazione orale
La narrazione orale è un’arte talmente radicata nel nostro essere e nelle nostre attività che lo storyteller è un essere Ibrido: si sente parlare spesso di attori o giornalisti che sanno raccontare storie, ma anche le figure di coaching che operano all’interno di contesti aziendali e di progetti sanno raccontare, poiché il racconto ha anche una valenza pedagogica e d’insegnamento; un insegnante è assolutamente uno storyteller.
Non credete mai a chi vi dice: “Io non so raccontare belle storie…”. Di fatto, che tu stia narrando una fiaba a un bambino, o tenendo un esame orale all’Università, o facendo un colloquio di lavoro, o semplicemente chiacchierando di una tua esperienza con un conoscente… stai comunque raccontando. La comunicazione e il racconto sono parte ineluttabile del nostro essere uomini e donne. Pertanto: “Piacere, sono Martina, e sono una storyteller”.
Un’esperienza d’esempio
Quindi vi racconterò delle storie. Che cosa racconto? Che vi propongo? Questa è una rivista per “tecnici”, dai programmatori a chi si occupa delle architetture; si parla di tecnologie, di management e di Agile; che tipo di contributo posso dare? Queste sono le stesse domande che mi sono posta io stessa partecipando a #Play14 a Milano, dal 5 al 7 di maggio 2016 (evendo del quale si può leggere il resoconto nel numero precedente di MokaByte, ndr).
Anche in quell’occasione, mi sono resa conto che le mie conoscenze erano utilizzabili per situazioni pratiche all’interno dell’ambiente di lavoro, come ad esempio il rapporto con i colleghi, sempre importante e ancor più cruciale laddove si decida seriamente di adottare un approccio Lean/Agile.
Un esercizio di Team Building proposto è stato di costruire in gruppo un’immagine, una fotografia di una strada; ognuno ha ricordato gli oggetti inseriti dagli altri partecipanti, e in seguito ha aggiunto il proprio. Dopo il primo imbarazzo, i partecipanti hanno introdotto dettagli sempre più precisi, collegati a quelli proposti, creando così una “fotografia” molto ricca e animata.
Durante lo svolgimento dell’esercizio, e riprendendolo ultimamente come esempio durante una conversazione, mi sono inoltre resa conto di un fatto importante: nel momento in cui una persona deve spiegare e scrivere un concetto, il più delle volte gli risulta difficile trovare le “parole giuste” da usare, perché tale concetto risulta essere ancora astratto, senza una “forma”, un’immagine che sostenga e da cui iniziare a scegliere le parole con cui descriverla.
Abbiamo anche lavorato sulla respirazione, il contatto visivo e l’ascolto, tre parti fondamentali non solo nella creazione di una storia o nel parlare in pubblico, ma anche nell’entrare in contatto con terze persone, nel creare un ambiente di lavoro positivo tra colleghi dove, prima di spingere l’altro a muoversi, siamo noi a mostrare l’inizio del percorso e a essere propositivi.
Mi sono state poste domande anche molto interessanti: “In un ambiente dove ultimamente è diventato quasi routine l’essere “positivi e propositivi” — i famosi ‘Yes men’ per intenderci — esiste un modo anche per dire di no, senza però mortificare o mettere a disagio l’altro?”; “Come posso rendere più coeso il mio team nel caso ci fossero antipatie o sfiducia?”. “Esercizi come quelli dello storytelling possono essere portati nella vita lavorativa di tutti i giorni, e non solo in determinate situazioni come seminari o workshop?”.
Questa serie
A domande come queste mi piace rispondere e invito i lettori ad esprimere dubbi, a farmi domande e ad aprire un dialogo dove poterci mettere in gioco ed esplorare i nostri punti di vista.
Con gli articoli che costituiranno questa serie, vi invito a un viaggio in cui vi mostrerò come, da un’immagine nella nostra testa, possiamo arrivare alla creazione di un prodotto e alla sua vendita; come da un nostro respiro possiamo cominciare una collaborazione duratura dentro un gruppo di lavoro; come, dall’ascolto puro e semplice, si possa arrivare alla realizzazione di un buon contratto di lavoro.
Per dare un’idea di quello che ci aspetta, riporto di seguito una serie di argomenti di cui parleremo a partire dal prossimo numero: come vedete, partiamo dallo storytelling ma andiamo a intersecare numerosi temi relativi all’organizzazione del lavoro, alla gestione del progetto, ai processi di produzione e alle attività collaborative.
- Il lavoro per immagini, lo scheletro della storia.
- La consapevolezza di quello che si vuole comunicare.
- Storytelling in ufficio: comunicare con i colleghi.
- Il rapporto tra chi parla, chi ascolta e lo spazio. Interazione, esposizione, emozione.
- Raccontare in gruppo: la fiducia e la resa.
- Cos’è una storia? Cosa non è? I tanti aspetti del racconto.
Conclusioni
Con questa breve introduzione ho voluto solo stimolare qualche curiosità e dare qualche indicazione. Nei prossimi articoli vedremo come le tecniche dello storytelling possano arricchire il nostro bagaglio di conoscenze e competenze e quanto possano aiutare a migliorare la comunicazione e l’interconnessione tra le persone nei contesti lavorativi.