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Nel numero:

217 maggio
, anno 2016

#Play14 Milano

Quando i giochi si fanno seri

Roberta Trucco

Roberta Trucco ama viaggiare, connettersi con le persone e ha la passione per il kitesurf e il mare.
Ha studiato economia presso l’Università di Pisa, ha vissuto diversi anni all’estero e ha lavorato in ambito HR per società inglesi.
Entrata in contatto con la filosofia Lean, si appassiona alle metodologie agili. Al momento lavora al progetto di una start up, muove i suoi primi passi nel mondo dell’agile coaching e collabora con Cocoon Projects, azienda fondata su un modello innovativo di Open Governance.

Play14Milano17

#Play14 Milano

Quando i giochi si fanno seri

Picture of Roberta Trucco

Roberta Trucco

  • Questo articolo parla di: Apprendimento & Serious Gaming, Conferenze & Reportage, Soft skills

Una unconference per giocare

Il gioco è una cosa seria. È un’attività che produce piacere e, nella concezione filosofica, è un tramite per raggiungere la libertà e l’espressione della fantasia. Sarà appunto per questo che da tempo ho compreso che con il gioco è possibile insegnare, imparare e capire. Affascinata inoltre dal sempre maggiore utilizzo nel mondo del coaching aziendale dei giochi seri — e semiseri — quali strumenti per accrescere e rafforzare lo spirito e le prestazioni di gruppo, ho deciso di partecipare al #play14 che si è tenuto quest’anno a Milano dal 5 al 7 maggio 2016. Questa esperienza è stata davvero interessante e soprattutto molto coinvolgente.

Figura 1 – Lo spazio MIL è un grande edificio in mattoni rossi a vista, della prima metà degli anni Trenta, frutto di un processo di trasformazione e riqualificazione della Breda Siderurgica di un tempo.
Figura 1 – Lo spazio MIL è un grande edificio in mattoni rossi a vista, della prima metà degli anni Trenta, frutto di un processo di trasformazione e riqualificazione della Breda Siderurgica di un tempo.

 

Oltre alla voglia di scoprire nuove tecniche e pratiche di serious gaming da cui poter trarre spunto per la mia attività di coaching, ciò che mi ha spinto a prendere parte alla prima edizione italiana di #play14, organizzata dal team di Agile Reloaded [1], è stata anche la curiosità di partecipare per la prima volta a una unconference [2] dove il marketplace era composto esclusivamente da una varietà di giochi e proposte pratiche, dalle molteplici finalità e interessi.

Figura 2 – Il maestoso carroponte, che fa da contorno allo spazio MIL, simbolo dell’architettura industriale e di un luogo unico per atmosfera e valore storico, il più grande polo ex-industriale di Milano.
Figura 2 – Il maestoso carroponte, che fa da contorno allo spazio MIL, simbolo dell’architettura industriale e di un luogo unico per atmosfera e valore storico, il più grande polo ex-industriale di Milano.

 

Dove abbiamo giocato

Al bel risultato, ha sicuramente contribuito la scelta azzeccata dello spazio MIL che sorge all’interno di un’area ex Breda di Sesto San Giovanni, al confine con Milano, recuperata secondo i canoni dell’archeologia industriale siderurgica, dove si è svolto l’evento. La struttura era totalmente in sintonia con quelle impiegate nelle precedenti edizioni di #play14.

Figura 3 – Questa struttura è oggi divenuta un importante spazio polivalente di ben 1400 mq che si è rivelato ideale per ospitare una “non conferenza”. Grazie a questo open space gigante, abbiamo avuto la possibilità di creare al suo interno 6 spazi nei quali assistere in maniera confortevole alle sessioni proposte.
Figura 3 – Questa struttura è oggi divenuta un importante spazio polivalente di ben 1400 mq che si è rivelato ideale per ospitare una “non conferenza”. Grazie a questo open space gigante, abbiamo avuto la possibilità di creare al suo interno 6 spazi nei quali assistere in maniera confortevole alle sessioni proposte.

 

Con questo articolo non farò un reportage minuzioso delle sessioni svoltesi e di quanto è accaduto al #play14, ma voglio raccontarvi della mia esperienza come partecipante, delle emozioni e del divertimento provato in relazione ai giochi a cui ho preso parte, dai quali porto a casa spunti di riflessione e apprendimento che sicuramente mi saranno utili.

Figura 4 – L’area all’interno era talmente grande che gli organizzatori dell’evento per velocizzare gli spostamenti nelle varie aree usavano monopattini e skateboard! L’uso del monopattino per spostarsi, o semplicemente per divertirsi, è diventata da subito una pratica diffusasi anche tra i partecipanti dato il clima cosi familiare che si è creato sin da subito.
Figura 4 – L’area all’interno era talmente grande che gli organizzatori dell’evento per velocizzare gli spostamenti nelle varie aree usavano monopattini e skateboard! L’uso del monopattino per spostarsi, o semplicemente per divertirsi, è diventata da subito una pratica diffusasi anche tra i partecipanti dato il clima cosi familiare che si è creato sin da subito.

 

Chiunque è venuto era la persona giusta

Che la diversità, all’interno di gruppi di lavoro e non solo, sia fondamentale all’apporto di valore e sia essa stessa un sinonimo di valore è noto da tempo; la conferma c’è stata anche al #play14 dove l’eterogeneità dei tanti partecipati con diversi background professionali e provenienti anche da altri Paesi come Inghilterra, Francia e Spagna, ha favorito la condivisione e l’interazione alle tante attività, apportando un grande valore aggiunto a queste tre giornate fatte di giochi, riflessioni, condivisioni, sorrisi, ironia e tanto divertimento.

Figura 5 – Seri professionisti a convegno… anche se non si direbbe…
Figura 5 – Seri professionisti a convegno… anche se non si direbbe…

 

Tutto quello che è successo è l’unica cosa che poteva succedere

L’adrenalina e lo spirito di gruppo sono stati stimolati a dovere nella parte iniziale di tutti e tre i giorni partendo dal primo giorno di benvenuto all’evento.

Figura 6 – Uno degli icebreakers in cui i partecipanti divisi in team collaborano insieme per creare in dieci secondi con il proprio corpo un oggetto o un animale è stata un’attività tra le più strane e divertenti, molto adatta a rompere il ghiaccio.
Figura 6 – Uno degli icebreakers in cui i partecipanti divisi in team collaborano insieme per creare in dieci secondi con il proprio corpo un oggetto o un animale è stata un’attività tra le più strane e divertenti, molto adatta a rompere il ghiaccio.

 

Dal tardo pomeriggio, il #play14 ha preso il via con varie e brevi attività “sciogli ghiaccio” e di riscaldamento proposte sia dagli organizzatori che dai giocatori stessi e in cui tutti siamo stati piacevolmente coinvolti.

Figura 7 – Un’attività per stimolare la fiducia: correre velocemente nel mezzo a barriere di mani che si spostano al passaggio della persona in corsa.
Figura 7 – Un’attività per stimolare la fiducia: correre velocemente nel mezzo a barriere di mani che si spostano al passaggio della persona in corsa.

 

Creare uno spot TV per #play14

La prima serata si è conclusa con un social game a squadre proposto da Angela e Giovanni, con la finalità di permettere a tutti i partecipanti di conoscersi un po’ meglio tra di loro, non solo per le competenze professionali ma anche per i loro hobby e interessi.

Nella seconda parte ci è stato chiesto di formare delle squadre con un massimo di 10 persone allo scopo di creare in trenta minuti uno spot per pubblicizzare la prossima edizione di #play14 e infine di presentarlo nel tempo di un minuto agli altri e procedere poi alla votazione.

Figura 8 – Uno dei team sullo stage alle prese con la loro performance “on air”.
Figura 8 – Uno dei team sullo stage alle prese con la loro performance “on air”.

 

Il marketplace

Secondo la formula della “non conferenza”, i vari eventi delle giornate sono stati proposti e sintetizzati con il nome del gioco o dell’attività. Poi i cartelli vengono organizzati in un “programma” lasciando la possibilità agli altri partecipanti di scegliere le attività a cui partecipare in base alla fascia oraria ed al tema.

Figura 9 – Si compone il marketplace della “non conferenza”.
Figura 9 – Si compone il marketplace della “non conferenza”.

 

Quando incomincia è il momento giusto: i giochi a cui ho preso parte

Di seguito riporto la mia esperienza con le attività a cui ho preso parte. Come ho già detto, questo fornisce una visione parziale di quello che è accaduto… ma mi auguro che si possano percepire gli spunti avuti e le riflessioni operate a partire dai giochi.

Negotiation game: vinci più che puoi

Questa attività si è rivelata molto competitiva, mostrando l’impatto delle varie situazioni win-lose in quei gruppi di lavoro che hanno bisogno per prendere decisioni, di competere con altri gruppi e, in altri casi, di collaborare con altri team rivali per vincere il più possibile.

La dinamica del gioco era la seguente: siamo stati divisi in 4 gruppi di 4 partecipanti ciascuno che venivano sistemati abbastanza distanziati da non vedere il lavoro dell’uno o dell’altro gruppo. Per 10 turni di gioco ad ogni gruppo è stato semplicemente chiesto di scegliere una A o una B, scrivendola su un Post-it. La vittoria di ciascun turno dipendeva dal tipo di scelta fatta da ciascun gruppo.

Le combinazioni possibili erano 5:

  • 4 A: ciascun gruppo perdeva un punto;
  • 3 A e 1 B: ciascun dei 3 gruppi che aveva scelto A vinceva un 1 punto, mentre il solo gruppo che sceglieva B perdeva 3 punti;
  • 2 A e 2 B: i due gruppi che sceglievano A vincevano 2 punti così come i due gruppi che sceglievano B;
  • 1 A e 3 B: ciascuno dei 3 gruppi che sceglieva B perdeva un punto mentre il gruppo che aveva scelto A vinceva 3 punti;
  • 4 B: ciascun gruppo vinceva 1 punto.

C’erano ovviamente delle regole:

  • si poteva parlare all’interno dello stesso gruppo;
  • non si poteva parlare con gli altri tre gruppi…
  • …salvo che in tre occasioni: prima del quinto, ottavo e decimo turno, al fine di discutere tra gruppi diversi e operare una scelta comune (A o B).

Elia, il facilitatore del gioco, prendeva nota delle scelte fatte da ciascun gruppo, marcando il punteggio ottenuto.

Figura 10 – Un momento del gioco Negotiation game, in cui si riflette sulla strategia più giusta da adottare.
Figura 10 – Un momento del gioco Negotiation game, in cui si riflette sulla strategia più giusta da adottare.

 

Il gioco ha fatto emergere quanto gli effetti della collaborazione e della competizione influiscano sul risultato del gioco, dato che alla fine, il punteggio totale derivava, a nostra insaputa, non dalla somma dei punti guadagnati dal singolo gruppo ma da quelli guadagnati per singolo turno da tutti e quattro i gruppi!

Questo ha evidenziato quanto un gruppo fatto di individualisti e poco collaborativo possa danneggiare il risultato dell’intero ecosistema in cui opera, a differenza di quei gruppi che vogliono anteporre il bene del gruppo al bene del singolo e che raggiungevano cosi un punteggio finale più alto.

Project management: two teams and a fail

Questo gioco consisteva nel dividere i partecipanti casualmente in due gruppi, dopo di che i facilitatori Hoang e Massimo facevano pescare una carta a ciascuno da un mazzo; la carta poteva essere di colore rosso o blu: questa distinzione di colori segnava l’appartenenza di ciascun giocatore alla squadra rossa o a quella blu.

Il mazzo conteneva in maggioranza carte che rappresentavano la figura del developer, e solo due che rappresentavano project manager e quella del fail. La difficoltà era rappresentata dal fatto che nessun giocatore conosceva il colore delle carte pescate dagli altri, né chi possedesse le uniche due carte diverse.

Lo scopo del gioco era diverso per le due squadre: per poter vincere, gli appartenenti alla squadra blu dovevano tenere separate queste due figure tra i due gruppi, i rossi invece dovevano tenerli insieme all’interno dello stesso per portarsi a casa la vittoria.

A questo punto siamo entrati nel vivo del gioco: i due gruppi inizialmente divisi a caso eleggevano a maggioranza il proprio leader senza conoscerne né la vera identità (developer, project manager, fail), né il colore della sua carta. Il leader aveva il compito di decidere tra i giocatori del gruppo, quali fossero i due più strategicamente saggi e tenerli come “ostaggi” e scambiarli con gli “ostaggi” selezionati dall’ altro leader.

In base a queste scelte i giocatori di ciascun gruppo potevano a maggioranza decidere di detronizzare il proprio leader o poteva lui stesso abbandonare la sua carica in base alla convenienza per la propria squadra.

Nonostante la difficoltà iniziale per entrare nel meccanismo, e dopo un primo turno di prova, il gioco è entrato nel vivo e ognuno dei partecipanti ha iniziato a mettere in piedi strategie, come ad esempio indagare sul colore della carta degli altri partecipanti del gruppo in cui si trovavano e cercare di agire in favore della propria squadra nel caso scoprissero l’identità del possessore della carta project manager o del fail, per portarsi a casa la vittoria.

In un terzo turno del gioco i facilitatori hanno inserito nel mazzo di carte altre due figure: quelle del ninja rosso e del ninja blu, che complicavano alquanto la situazione. Questi due, infatti, potevano permettersi in qualsiasi momento di mandare dalla parte opposta uno o più giocatori che risultavano “scomodi” per la loro squadra di appartenenza.

Figura 11 – Two teams and a fail: un gioco abbastanza complicato che ha però avuto il merito di mettere bene in luce l’importanza di comunicazione e identità all’interno dei gruppi di lavoro.
Figura 11 – Two teams and a fail: un gioco abbastanza complicato che ha però avuto il merito di mettere bene in luce l’importanza di comunicazione e identità all’interno dei gruppi di lavoro.

 

Questo gioco ha portato a riflettere molto sull’importanza non solo di una comunicazione efficace per il raggiungimento degli obiettivi ma anche sulla necessità di mantenere la propria identità come singoli all’interno di un gruppo di lavoro per portare beneficio a tutto il team, alzando la mano nel momento in cui non si è d’accordo con le decisioni prese.

Client oriented train

Non si è trattato di un vero e proprio gioco, quanto piuttosto di un’attività in grado di far emergere alcune importanti considerazioni.

Nella parte introduttiva, Fabio, il facilitatore della sessione, ha posto l’attenzione sull’importanza della definizione delle strategie corrette e del giusto bilanciamento tra le attività che vengono fatte per il cliente e quelle fatte all’interno del team di lavoro.

Siamo stati divisi in gruppi di 8 persone per la simulazione di un lavoro di team dove il primo esercizio era quello di fare un brainstorming nel quale definire quali erano considerati da ognuno, i valori più importanti che devono essere presenti all’interno del team di lavoro. Ci è stato poi chiesto di girare il foglio sul quale avevamo scritto i valori e di riflettere sulla coesione del gruppo di lavoro nell’identificazione del valore aggiunto da poter consegnare al cliente.

In una seconda parte, abbiamo costruito la value preposition del nostro team di lavoro, che comprendesse gli obiettivi e i valori individuali di ciascuno, passando attraverso una fase di negoziazione degli stessi per arrivare a quelli fondamentali per il gruppo. Questi sono stati sintetizzati in un titolo o in un claim che tenesse conto anche del valore aggiunto che avevamo definito nella prima parte.

Successivamente, abbiamo riportato sulla matrice che Fabio aveva disegnato nella parte introduttiva della sessione, mettendo su un asse i valori fondamentali per il team e sull’altro le competenze specifiche dello stesso.

Abbiamo poi riflettuto sulle azioni che potevano creare il valore aggiunto per ciascuna combinazione di valori e competenze.

Figura 12 – Entrare a far parte di un gruppo di lavoro non significa essere già una squadra: pensare di poter lavorare bene e in modo efficiente come singolo e senza la collaborazione degli altri non porta risultati.
Figura 12 – Entrare a far parte di un gruppo di lavoro non significa essere già una squadra: pensare di poter lavorare bene e in modo efficiente come singolo e senza la collaborazione degli altri non porta risultati.

 

È stato un esercizio difficile ma sicuramente importante per capire quando un team naviga nella stessa direzione. Equilibrio tra individualità e collaborazione, comprensione dell’intersezione tra valori e competenze diventano fondamentali per una collaborazione proficua e un lavoro efficiente.

Yes and / And yes

Il gioco proposto da Kelly aveva lo scopo di portare a riflettere su quanto l’essere assertivi e più empatici all’interno del proprio gruppo di lavoro porti le persone a lavorare meglio insieme.

Nella fase di riscaldamento iniziale, a ciascuno di noi è stato chiesto di scrivere una parola su un foglio di carta e di metterlo a terra al centro del gruppo; una volta che tutti avevano scritto il proprio, dovevamo pescare un foglio a caso dal mucchio.

Divisi poi in gruppi di 4, ognuno di noi doveva descrivere le caratteristiche positive del proprio oggetto per delineare un progetto comune. La regola del gioco era di non utilizzare la parola “no” ma solo lo “yes and” per cercare di migliorare e implementare l’idea dell’altro anche se questa poteva risultare bizzarra o estremamente fantasiosa.

Figura 13 – “Yes and / And yes”, un gioco per stimolare la condivisione, trovando il lato positivo in ciascuna idea proposta.
Figura 13 – “Yes and / And yes”, un gioco per stimolare la condivisione, trovando il lato positivo in ciascuna idea proposta.

 

Siamo passati poi ad applicare questo tipo di atteggiamento empatico alle situazioni reali descritte dal singolo, cercando di dare suggerimenti e consigli alle difficoltà vissute nel proprio lavoro senza utilizzare il no ma incoraggiando le idee che ciascuno aveva.

Slackline walking

Gioco tanto semplice quanto efficace, per dimostrare come la fiducia nel proprio gruppo aiuti a raggiungere un obiettivo: in questo caso si trattava di camminare a turno su una fettuccia sollevata circa 20 cm da terra, cercando di mantenere l’equilibrio e rassicurati dalla presenza ai lati dagli altri partecipanti sui quali la persona poteva appoggiarsi, in caso di difficoltà, per arrivare alla meta.

Figura 14 – Funamboli… a 20 cm da terra. Ma camminare su una slackline (una fettuccia alpinistica tesa tra due ancoraggi) non è affatto facile: la presenza dei propri compagni, su cui si può letteralmente appoggiare, facilita moltissimo l’impresa.
Figura 14 – Funamboli… a 20 cm da terra. Ma camminare su una slackline (una fettuccia alpinistica tesa tra due ancoraggi) non è affatto facile: la presenza dei propri compagni, su cui si può letteralmente appoggiare, facilita moltissimo l’impresa.

 

Fluire nelle situazioni: Contact tango

Il Contact Tango è una pratica di danza, ideata dall’argentino Javier Cura. In esso, i punti di contatto fisico, fra almeno due danzatori, diventano il punto di partenza di una esplorazione fatta di movimenti improvvisati.

Marco ha fatto danzare tutti i partecipanti, cercando di far capire come questa pratica possa aiutare a far fluire le soluzioni: grazie ad una semplice combinazione di passi si può ritrovare la centratura su un problema, ritrovando l’assetto dentro di noi. Si è trattato non di un gioco, ma di un lavoro sulla consapevolezza e sul sé, allo scopo di acquisire maggiore “scioltezza” nel gestire situazioni problematiche.

Spesso il pensiero di un problema ci assilla a tal punto da non riuscire ad essere più concentrati per trovarne la soluzione; cercando invece di rilassare una parte del nostro corpo ed eliminando lo stress, il corpo ricombina le idee che la mente è stata in grado di realizzare e permette così all’idea che magari è già stata elaborata, di emergere in maniera a noi evidente.

Questo tipo di pratica può essere anche un valido aiuto nell’acquisizione della leadership: volendo guidare qualcuno, dobbiamo per prima cosa porre attenzione al suo peso per poter procedere verso una direzione, in modo da far fluire l’energia tra i due corpi, lasciandola scorrere senza blocchi o interferenze.

Figura 15 – La pratica del Contact Tango per acquisire leadership e trovare soluzioni ai problemi.
Figura 15 – La pratica del Contact Tango per acquisire leadership e trovare soluzioni ai problemi.

 

Un altro esercizio è stato quello di far sperimentare su noi stessi le differenze che avvertiamo quando lasciamo che sia la pancia a guidare la nostra direzione senza interferenza delle altre parti del corpo, portandosi dietro il cuore e la mente: il muoversi veramente di pancia dà tranquillità, dà presenza e le persone che ci stanno intorno riescono ad avvertire il nostro corpo e a rimanere in ascolto.

The maze

Il gioco del labirinto è un’attività di gruppo a conferma del fatto che quando un gruppo è unito e lavora per il team, ciascuno dei membri ottiene di più.

Il gioco si è svolto in un labirinto ricreato tramite del nastro sul pavimento. Ciascun gruppo, di circa dieci membri, doveva indovinare il percorso corretto attraverso una serie di tentativi ed errori. Il gioco terminava quando tutti i membri riuscivano a passare correttamente attraverso il labirinto senza fare passi sbagliati.

La difficoltà era rappresentata dal fatto che non si poteva parlare con la persona che era all’interno del labirinto ma si poteva solo indicare alla persona su quale quadrato procedere in base alle prove precedenti. In caso di passo sbagliato, uno dei facilitatori, Chris o Christina, segnalava l’errore facendo tornare indietro la persona che lasciava il posto a un compagno.

Il gruppo ha dovuto quindi anche stabilire autonomamente una strategia per poter facilmente memorizzare i passi corretti ed essere quindi di supporto alla persona che si trovava all’interno del labirinto e che poteva non ricordarsi i passi corretti, rischiando di sbagliare.

Figura 16 – The Maze, il labirinto: procedere per tentativi ed errori nel completare il tracciato sotto l’occhio attento dei compagni di squadra che aiutano a ricordare il giusto percorso da seguire.
Figura 16 – The Maze, il labirinto: procedere per tentativi ed errori nel completare il tracciato sotto l’occhio attento dei compagni di squadra che aiutano a ricordare il giusto percorso da seguire.

 

È stato interessante osservare come, grazie alla concentrazione costante e all’aiuto attivo da parte di ciascun membro, ogni persona del team sia riuscita a completare il percorso.

A3 Airplane Game

Il gioco aiuta a capire il funzionamento dell’A3 Reporting [3] per migliorare i processi in atto e risolvere problemi con la collaborazione delle persone coinvolte al problema. Dopo averci spiegato come viene disegnato un A3 reporting, Giulio, ci ha diviso in due squadre che rappresentavano una azienda che costruiva aerei di carta.

Sulla base delle informazioni ricevute dovevamo completare un A3 reporting.

  • Background: azienda che costruisce aerei (di carta);
  • Misura della situazione corrente: gli aerei da noi costruiti hanno problemi di atterraggio;
  • Obiettivo da raggiungere: un maggior numero di aerei che atterrano sulla pista.

Abbiamo avuto 10 minuti a disposizione per costruire gli aerei con dei fogli A4 e ad altri 10 minuti per provare i lanci e contare quanti erano atterrati sulla pista che Giulio aveva costruito a qualche metro di distanza da noi.

Abbiamo quindi riportato sul foglio A3 il numero di aerei prefissati come obiettivo di miglioramento e abbiamo proceduto a una analisi per cercare di migliorare la produzione di aerei e raggiungere l’obiettivo prefissato.

La tecnica utilizzata per l’analisi è stata quella delle 5 why’s che consiste nel chiedere il perché del perché fino a rispondere a 5 perché o fermarsi prima nel caso non si potesse andare oltre.

Figura 17 – L’A3 Reporting permette di raccogliere e visualizzare tutte le informazioni rilevanti in modo sintetico.
Figura 17 – L’A3 Reporting permette di raccogliere e visualizzare tutte le informazioni rilevanti in modo sintetico.

 

In base della causa che stava alla radice del problema, il team ha stabilito le contromisure: quelle del nostro gruppo erano di far costruire gli aerei solo alle persone avevano una miglior tecnica nel realizzarli, e di farli lanciare dalle persone che avevano fatto atterrare più aerei nella pista durante la prima parte del gioco.

È stato in seguito definito il piano in base alle azioni da compiere per mettere in pratica le contromisure e siamo passati all’ultima fase del follow-up per provare nuovamente i lanci e vedere il miglioramento ottenuto prima di procedere con il test finale.

 

Quando è finita è finita

Quello che mi porto a casa è sicuramente la condivisione di questa esperienza con le tante persone conosciute e con cui ho avuto modo di parlare, confrontarmi, ridere e scherzare durante tutto il corso dell’evento.

È stato bello aver ricevuto l’ennesima conferma di quanto si possa apprendere giocando ed averlo potuto sperimentare in una “non conferenza” è stato sicuramente differente dal solito, visto che, per la prima volta, leggendo il cartellone del programma, mi trovavo a dover scegliere tra nomi di giochi che preannunciavano temi interessanti. Molti i contenuti emersi e le tecniche di facilitazione utilizzate dai coach che hanno partecipato a questa prima edizione italiana, offrendomi notevoli spunti di riflessioni per il futuro.

#play14 è stata davvero un’esperienza che consiglio a tutti coloro che, come me, sono affascinati e credono nell’importanza dei giochi seri come strumenti integrativi per l’apprendimento delle metodologie agili, per il miglioramento della produttività in azienda e la crescita come gruppo dei team di lavoro.

 

Roberta Trucco

Roberta Trucco ama viaggiare, connettersi con le persone e ha la passione per il kitesurf e il mare.
Ha studiato economia presso l’Università di Pisa, ha vissuto diversi anni all’estero e ha lavorato in ambito HR per società inglesi.
Entrata in contatto con la filosofia Lean, si appassiona alle metodologie agili. Al momento lavora al progetto di una start up, muove i suoi primi passi nel mondo dell’agile coaching e collabora con Cocoon Projects, azienda fondata su un modello innovativo di Open Governance.

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