L’esperienza fa percepire il valore
Le esperienze sono determinanti nella decisione di acquisto: progettarle in modo strutturato massimizza il valore percepito, l’unico per cui le persone sono disposte a pagare. Per raggiungere gli obiettivi di business è necessario modellare gli impatti del servizio nella loro vita. Possiamo allora dire che:
Experience Design + Value Design = Business Design
È questa l’equazione che vogliamo descrivere — e “dimostrare” — in questo articolo: vedremo perché la user experience strategy è cruciale nella progettazione di un servizio o prodotto ed è funzionale al business.
Meaningful = significativo
L’obiettivo intrinseco di ogni business è di creare profitto per l’azienda. Perché sia profittevole, un servizio (o prodotto) deve essere desiderabile per le persone a cui è rivolto. Per essere desiderabile, deve portare loro un vantaggio o, meglio, deve avere valore. Il valore, però, è strettamente legato al significato che le persone daranno a quel servizio.
Riassumendo: profitable —> valuable —> meaningful
Il focus allora non è sul profitto: per raggiungere gli obiettivi di business dobbiamo far sì che il servizio esprima pienamente il proprio valore e quindi che sia significativo per le persone.
Viviamo di esperienze (e le acquistiamo!)
Non ce ne rendiamo conto, ma ogni giorno viviamo esperienze d’uso e di consumo con brand, servizi e prodotti.
Come esseri umani, per come siamo strutturati, non immagazziniamo dati o immagini: siamo invece inclini a ricordare tutto ciò che è legato a una storia, che è esperienziale in termini di contesto e di utilizzo. Spesso i dettagli della storia restano sfuocati nella nostra memoria ma le emozioni che abbiamo provato sono vivide e chiare.
Ci abituiamo agli oggetti che acquistiamo. Ma le esperienze ci sorprendono continuamente. In inglese esiste il sostantivo experience, che significa “esperienza”, ma esiste anche il verbo to experience: “provare”, “sperimentare”, “conoscere”. In italiano un verbo analogo sarebbe “esperire”, ma non è usato comunemente ed è comunque diverso dal sostantivo. Forse potremmo inventarci un “esperenziare”…
L’esperienza rimane scolpita nella memoria, diventa un ricordo che evoca emozioni. I prodotti entrano ed escono continuamente dalla nostra vita, spesso senza lasciare traccia del loro passaggio [1]. Sono invece proprio le esperienze “ricordabili” quelle che ci interessano come progettisti.
Un’esperienza migliore rappresenta il motivo per cui una persona sceglie un servizio.
Ciò che facciamo in realtà non è acquistare prodotti o servizi: è acquistare esperienze. Proviamo a rendere concrete le cose: prendiamo come esempio il business del caffè per capire come l’esperienza cambia la percezione del valore.
Il caffè è solo un prodotto primario, in sé non ha un valore, non mangiamo chicchi di caffè. Lo apprezziamo maggiormente quando lo troviamo già macinato, raccolto in confezioni da 500 g, con un’etichetta che ne descrive la provenienza e le caratteristiche e intrisecamente gli attribuiamo maggior valore.
Quando poi è stato già preparato e reso pronto per il consumo — come risultato di un servizio — possiamo immediatamente sentirne il profumo e assaggiarne il gusto.
Infine l’esperienza di Starbucks, in cui puoi scegliere il la qualità, la quantità, il tipo di lavorazione, personalizzarlo con panna, latte, cannella fa apparire quella tazza di caffè unica e personale.
Questo è un classico tema da experience economy.
Siamo nell’experience economy, dal 1998
Spostandosi dal business legato alla “commodity” (a sinistra) fino al business guidato dall’esperienza (a destra) osserviamo la crescita di revenue, valore e fidelizzazione (figura 1). Ma c’è un problema in questo grafico.
Pensate a un servizio di assistenza clienti che offra una brutta esperienza. Sta comunque offrendo un’esperienza: pessima, ma sempre un’esperienza. Quindi il grafico di figura 1 non è del tutto corretto. Allo stesso modo quando parliamo di usabilità di un prodotto o di un sito web, stiamo sempre parlando di esperienza e siamo ancora nell’ambito di servizi e prodotti.
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Ecco quindi che la realtà è un po’ diversa da quanto anticipato qualche riga fa. Stiamo sempre fornendo esperienze, a prescindere dal tipo di business: se non teniamo in considerazione la componente esperienziale di quello che stiamo progettando, finiremo per creare pessimi servizi o pessimi prodotti (figura 2).
D’altra parte il valore sarà tanto più alto quanto più l’esperienza sarà cruciale per quel tipo di business: quando il contesto e il momento sono la caratteristica differenziante, una buona esperienza sarà l’elemento che porterà maggior valore.
L’esperienza è strategica
A questo punto l’esperienza diventa strategicamente importante per il business. La buona notizia è che l’esperienza è progettabile. Nathan Shedroff, professore al California College of the Arts, afferma che
Everything we create is an experience
Parliamo quindi di experience design: possiamo studiare e modellare il percorso, il viaggio che le persone fanno nei loro processi di scelta. Possiamo identificare momenti topici e fare in modo che quelli siano i momenti che ricorderanno.
Al centro abbiamo sempre le persone e le loro emozioni. Tutta la progettazione moderna è centrata sull’utente. “User Experience” è il termine che tutti ormai conoscono e che riassume bene questo concetto. Dobbiamo partire dalle persone per arrivare agli obiettivi di business.
Liminal Thinking: superare il confine dell’ovvio
Se parliamo di persone, allora dobbiamo prima di tutto cercare di capire come sono fatte, come ragionano, come vedono il mondo e come prendono le loro decisioni. In questo ci può aiutare un modello di pensiero descritto da Dave Gray chiamato Liminal Thinking [4].
Liminal è un termine che deriva dalla radice latina limen che significa “soglia”, “confine”, “bordo”. “Liminal” significa quindi “che sta sulla soglia”, “che sta sul confine”. La soglia è quella che ci introduce al passaggio attraverso una porta, ma in senso più ampio rappresenta il limite che segna il punto di transizione o di passaggio tra uno stato e l’altro.
Nel disegno la soglia di cui stiamo parlando è la linea rossa che separa le persone da ciò che è a loro visibile. Proviamo a spiegarci meglio, partendo dal basso.
In fondo, come substrato di tutto, troviamo la realtà. Ognuno di noi riesce a comprendere solo alcuni frammenti di realtà: quelli che sono legati alle nostre personali esperienze. Nessuno ha una comprensione della realtà del mondo nel suo complesso e in modo oggettivo: ognuno di noi ha esperienze personali e soggettive legate alla realtà delle cose.
Osserviamo la realtà attraverso l’esperienza. Usiamo l’espressione “fare esperienza” proprio in questa accezione di costruzione di idee e convinzioni con cui valutiamo la realtà con la quale abbiamo a che fare ogni giorno.
Risalendo la scala dal basso, rispetto all’esperienza che facciamo noi prestiamo attenzione solo alle cose che per noi sono importanti o hanno un qualche tipo di valore. Tipicamente sono rappresentate dai nostri bisogni. Basandoci sulle evidenze che consideriamo rilevanti rispetto ai nostri bisogni, noi formuliamo dei giudizi, ricaviamo delle assunzioni e alla fine ci formiamo in testa dei belief, delle convinzioni personali che ci tengono rinchiusi all’interno di una bolla.
All’interno di questa bolla ci sembra tutto ovvio. Ovvio per noi, per le convinzioni che ci governano. Ma il Liminal Thinking ci insegna proprio che l’ovvio non è ovvio.
È interessante vedere che i nostri belief, le nostre convinzioni solide e rocciose, in verità sono solo approssimazioni di una realtà che ci è sconosciuta. I belief sono come il dito che indica la Luna. Ci fermiamo a guardare il dito ma non dobbiamo mai dimenticarci che la realtà è la Luna.
Quando ci viene proposta un’idea che non faccia già parte dell’ovvio, ossia di ciò che per noi è ragionevole e comprensibile, abbiamo la tendenza a rifiutarla.
Il motivo sta nel fatto che quello che pensiamo sia reale è solo ciò che possiamo osservare: è solo la bolla all’interno della quale viviamo. Ciò che sta sotto non ci è immediatamente visibile e accessibile.
Ognuno di noi si trova in cima alla propria piramide di convinzioni, e vive nel proprio ovvio. Pensiamo di appoggiare su qualcosa di solido, di reale ma sotto di noi c’è lo spazio di confine (liminal space) che ci separa dalla realtà e che è invisibile agli altri.
Se non siamo noi a parlare di quelle che sono le nostre convinzioni, i nostri giudizi, i nostri bisogni gli altri non sapranno mai cosa pensiamo o proviamo davvero.
Per riuscire a far passare la nostra idea agli altri dobbiamo prima uscire dalla nostra bolla, scendendo lungo la scala di convinzioni. Imparare a scendere la scala al di sotto dell’ovvio che ci siamo costruiti è la chiave centrale del pensiero del Liminal Thinking.
Una volta arrivati alla base della piramide possiamo fornire agli altri qualcosa di osservabile che ci permetta di far risalire la nostra idea fino al vertice delle convinzioni per entrare nella bolla dei nostri interlocutori. Qualcosa di osservabile… o di “esperenziabile”. Un’esperienza appunto.
Dave Gray, l’autore di Liminal Thinking [4] afferma che
Liminal thinking is the art of creating change by understanding, shaping, and reframing beliefs. Beliefs form the basis of everything people say, think, and do.
Se siete interessati a leggere questo libro, preparatevi a mettere in gioco le vostre convinzioni.
La definizione che dà l’autore è illuminante: è l’arte di creare un cambiamento attraverso la comprensione e la modellazione delle convinzioni che sono alla base di tutto quello che le persone dicono, pensano e fanno.
Quando le persone cambiano convinzioni possono cambiare anche il proprio comportamento.
Quale esperienza dobbiamo modellare?
Abbiamo capito che il primo passo per entrare nella bolla degli altri è di progettare un’esperienza. Ma come facciamo a sapere qual è l’esperienza “giusta”?
Dobbiamo farci raccontare dalle persone quello che è nascosto sotto la loro soglia delle convinzioni, quali sono le assunzioni su cui basano i loro ragionamenti e le loro conclusioni.
Facciamo RICERCA sulle persone
Facciamo user research, cerchiamo di comprendere quali sono i bisogni rilevanti per le persone e progettiamo di conseguenza l’esperienza affinché sia osservabile e comprensibile.
Abbiamo tanti metodi strutturati e noti per fare ricerca: interviste, osservazione safari, co-progettazione con il cliente, web analytics… possiamo usare tutti gli elementi che abbiamo a disposizione. L’obiettivo è solo uno: cercare di conoscere al meglio possibile i nostri clienti. Perché, se il punto di partenza del nostro viaggio è il business, allora è di clienti che stiamo parlando.
Analizziamo gli INSIGHT
Analizziamo e aggreghiamo tutti gli insight che emergono dalla ricerca e cerchiamo di individuare le leve di progettazione che ci servono: bisogni, aspettative, job to be done, comportamenti.
Ma soprattuto valori. Se conosciamo la scala di valori di una persona, abbiamo la chiave per aprire la porta sulla soglia del Liminal Thinking.
Conclusioni
Per questo mese ci fermiamo qui, rimandando al prossimo numero per approfondire tutti gli aspetti legati al valore (reale e percepito). Introdurremo l’approccio dell’Impact Mapping per capire come progettare esperienze significative attraverso gli impatti, con l’obiettivo di apportare un cambiamento nel comportamento delle persone, nelle loro convinzioni o assunzioni.
Scoprirete che alla fine del percorso tutti i pezzi troveranno la loro collocazione per risolvere l’equazione presentata all’inizio:
Experience Design + Value Design = Business Design
Riferimenti
[1] Jay Cassano, The Science Of Why You Should Spend Your Money On Experiences, Not Things. Fast Company, 2015
https://tinyurl.com/yazkjs5b
[2] B. Joseph Pine II – James H. Gilmore, Welcome to the Experience Economy. Harward Business Review, 1998
https://hbr.org/1998/07/welcome-to-the-experience-economy
[3] Nathan Shedroff, The Value Design Brings to Business. WebVisions Portland 2016 https://tinyurl.com/y5892cr7
[4] Dave Gray, Liminal Thinking. Create the change you want by changing the way you think. Two Waves Books, 2016
[5] Gojko Adzic, Impact Mapping: Making a big impact with software products and projects. Provoking Thoughts, 2012