Introduzione
Abbiamo visto nell’ultima puntata alcune riflessioni legate alla geografia, alla rappresentazione dei dati geografici, alla cartografia e al fatto che, almeno concettualmente, Internet si sia fin dagli inizi caratterizzato anche come metafora geografica già nella terminologia usata (“sito”, “navigare”, “explorer” etc.).
In questo articolo, ci caliamo più da vicino nell’attuale tendenza “geolocal”, legata in gran parte alla diffusione di dispositivi mobili più o meno smart: vedremo alcuni concetti base ad alto livello di astrazione, presenteremo brevemente alcuni esempi di applicazioni in cui la componente di geolocalizzazione è fondamentale, e faremo alcune considerazioni legate alla comunicazione, al marketing e ai “ritorni in base all’investimento” sia dal punto di vista di chi può avere interesse a sviluppare certe applicazioni, sia dal punto di vista dell’utente.
Il concetto base: collocare i dati nello spazio
Introduciamo subito a un concetto importante, quello di georeferencing, ossia “georeferenziazione” usato soprattutto in ambito cartografico e di GIS (sistemi informativi geografici) per indicare la corretta corrispondenza tra elementi localizzati, base cartografica e loro esatta reciproca integrazione in un preciso sistema di riferimento (si dice anche che i dati sono “georiferiti”). In figura 1 è mostrato un esempio di georeferenziazione non perfetta dei dati, che può dipendere da molte ragioni: dalla precisione nell’acquisizione degli stessi, al sistema di riferimento topografico utilizzato (il famoso Datum geodetico, che solo in anni recenti è stato definitivamente unificato), alla deformazione dovuta alla conformazione della terra (le fotografie non sono ortorettificate), e così via.
In italiano vero (da considerare ormai come una lingua antica ai più sconosciuta) localizzazione vuol dire “collocazione geografica”, “individuazione sul territorio” di un dato elemento; ma in quell’interessante surrogato della nostra lingua parlato da programmatori e sviluppatori, architetti e manager, localizzazione va a braccetto con internazionalizzazione e rappresenta quei processi e quelle pratiche che si adottano per rendere un prodotto consono all’uso in un determinato contesto culturale, linguistico e nazionale diverso da quello di origine (i concetti di Locale, i18n e L10n). In questo caso, la parola americana “localization” che appunto significa quanto appena detto, viene tradotta in italiano in maniera pedissequa ed errata.
La parola inglese che invece indica il concetto corretto di “localizzazione” in italiano, ossia individuazione sul territorio, è location. A volte viene improvvidamente tradotta come “locazione” (che in italiano vuol dire tutt’altro, cioè “atto del concedere in affitto”…) come nel termine “geo-locazione”, che a dire il vero è poco corretto e andrebbe sostituito con “geolocalizzazione”. Per toglierci di impaccio, useremo il termine inglese geolocal (e qualche volta quello italiano di geolocalizzazione) senza dimenticare che in inglese è molto utilizzato il concetto LBS (Location-Based Services) per indicare tutte quelle tecnologie e quei sistemi che hanno alla base la corretta identificazione della posizione di un utente nello spazio, in real-time (si pensi ai sistemi GPS di navigazione ma anche alle applicazione che consentono di risalire alla posizione di un dispositivo triangolando la sua localizzazione sulla base delle celle telefoniche a cui si aggancia). Infine, la parola geotagging (“etichettatura geografica”) che assume sempre più significato in un web i cui contenuti sono costruiti dagli utenti, indica l’aggiunta di metadati geografici (latitudine, longitudine, ma anche altitudine) a elementi quali fotografie e pagine web: il concetto è semplicissimo (scatto una foto con una fotocamera o uno smart phone dotati di sistema di localizzazione, tipo GPS o altri, e nei metadati EXIF o XMP della fotografia vengono salvate anche longitudine e latitudine), ma per tale procedura esistono standard diversi.
Idee antiche, strumenti nuovi
Il fatto che la tematica geolocal sia tra le tendenze cui attualmente viene riservata maggiore attenzione è dovuta sostanzialmente a due fattori: uno è la dimensione social del web cui oramai siamo abituati (il traffico lo fanno i social media) e che ha raggiunto una massa critica; l’altra, di tipo più strettamente tecnologico, è la diffusione dei dispositivi mobili che, dopo anni di tentennamenti, ha ormai raggiunto una maturità strutturale. Anche se siamo ben lontani dall’”always on, everywhere” che tanto entusiasma certi ingenui tecnofili, è vero che iPhone, smart-phone Android-based, tablet/netbook, iPad, e altri telefonini evoluti sono sempre più diffusi. Più avanti nell’articolo riprenderemo brevemente questo aspetto.
I tre pilastri delle applicazioni “geografiche”
Qualsiasi applicazione che preveda una dimensione “geografica”, quando ridotta ai minimi termini, si deve necessariamente basare su questi concetti:
- una base cartografica (dalle foto aeree/satellitari alle mappe raster o vettoriali)
- una base di dati (opportunamente normalizzata)
- un sistema di riferimento spaziale cui agganciare precisamente le precedenti due
Del primo elemento (la base cartografica) abbiamo parlato da un punto di vista concettuale nella parte precedente di questa serie, con una lunga digressione, ma basti considerare il seguente dato di fatto: se per i professionisti della geografia e delle analisi geospaziali basate sui GIS resta fondamentale il ricorso alla cartografia “tradizionale”, per le applicazioni geolocal di tipo consumer, lo standard de facto è ormai l’accoppiata vincente Google Earth/Google Maps [1]. Certo, il programma ha dei limiti, non presenta la flessibilità di configurazione e di utilizzo per scopi molteplici offerta invece da strumenti analoghi più “scientifici” come Nasa World Wind [2] o OSSIMplanet [3], e non è aperto e collaborativo come l’accoppiata di progetti Marble [4] / OpenStreetMap [5] che negli ultimi tempi sta fornendo risultati di assoluto rilievo anche in un’ottica cartografica “tradizionale” (figura 2).
Fatto sta che la disponibilità di un’API Google Maps facilmente integrabile nei siti e la diffusione massiccia dell’applicazione desktop o mobile Google Earth che centinaia e centinaia di milioni di persone in tutto il mondo usano ormai in maniera stabile, ha fatto di questi strumenti una vera e propria base cartografica standard. Del resto, prima del nome delle applicazioni c’è il marchio Google, ed essere così grossi qualcosa vorrà pur dire… Nonostante la relativa chiusura del progetto, non sono mancati tentativi riusciti di personalizzazione della visione dei dati per esempio su Google Maps: l’applicazione è realizzata sostanzialmente in JavaScript e XML, pertanto non sono mancati gli utenti smanettoni che hanno effettuato operazioni di retroingegneria, riuscendo a creare scripts lato client per espandere o personalizzare la visualizzazione dei dati, oppure per aggiungere i propri metadati. E poi c’è l’ambiente Google Apps… ma di questo facciamo un accenno dopo.
Il secondo elemento, la base di dati da aggiungere come livello sopra la base cartografica, non è certo una invenzione moderna. Senza avere computer a disposizione, ma basandosi solamente su informazioni raccolte con analisi e interviste (la base dati) e applicandole su una semplice mappa cartacea della città di Londra (la base cartografica), nel 1854 il medico John Snow realizzò una “applicazione” che gli consentì di fare una scoperta fondamentale: esisteva una relazione stretta tra una pompa da cui veniva attinta acqua e i casi di colera che si erano verificati in quell’anno, con innumerevoli morti. A differenza dei suoi contemporanei che attribuivano il colera a un influsso di “aria cattiva”, questo medico inglese ipotizzava, a ragione, che la malattia si diffondesse per colpa di microorganismi contenuti nell’acqua usata per bere e cucinare, contaminata dalle acque reflue delle fogne. Realizzò pertanto una mappa [6] che metteva in relazione le pompe di approvvigionamento di acqua e i casi di malattia, scoprendo che le morti si erano concentrate proprio intorno a una particolare pompa. Il medico chiese alle autorità cittadine di chiuderla, e in effetti i casi di malattia diminuirono.
Fortunatamente, questo stesso tipo di inferenza delle informazioni può essere usato in condizioni meno drammatiche ma altrettanto interessanti, quali per esempio capire la maggiore o minore presenza di turisti nelle varie aree del globo [7]. Nella figura 4, i colori caldi (giallo = alto, rosso = medio) indicano la maggiore presenza di foto turistiche caricate su Panoramio, i colori freddi (blu = basso, grigio = nullo) la minore presenza di foto, fornendo una imprecisa ma comunque attendibile carta delle presenze turistiche.
Il terzo e ultimo elemento, il sistema di riferimento, lo trattiamo solo superficialmente, perche’ richiederebbe una lunghissima discussione. Basti dire che da un lato l’avvento e la diffusione dei sistemi di posizionamento basati sul satelliti (GPS, ma anche gli altri come GLONASS e progetto Galileo che entrerà finalmente in servizio nei prossimi anni) ha imposto come datum geodetico di riferimento mondiale il WGS84, risolvendo tanti problemi di “riproiezione” dei punti tra sistemi differenti. Dall’altro, in ambito social, i diversi standard di geotagging possono comportare dei problemi di compatibilità: ma questo è un tema su cui si sta già lavorando e su cui tornermo in futuro.
Il quarto gradino: massa critica social
Mentre un tempo, con i sistemi GIS orientati allo studio scientifico del territorio o alla gestione amministrativa, la base dati era realizzata in maniera mirata, per modellare una serie di informazioni che ci si andavano a cercare o che erano possedute da agenzie governative ed enti amministrativi, con l’avvento dei social media esiste in rete una massa critica di informazioni (in parte già geolocalizzate, in parte suscettibili di esserlo) che può rappresentare un vero e proprio patrimonio. Tra le prime, quelle già geolocal, pensiamo alle innumerevoli informazioni georeferenziate che vengono aggiunte spontaneamente dalla community di utenti e sviluppatori: abbiamo già detto di OpenStreetMap come progetto cartografico collaborativo (e intrinsecamente molto “strutturato” e relativamente elitario, perche’ richiede conoscenze di un certo livello e l’applicazione di precisi protocolli), ma tutti noi conosciamo il fenomeno delle foto delle vacanze geotagged agganciate a Google Earth, o della segnalazione di esercizi commerciali etc. su Google Maps. Il tanto osannato User Generated Content ha raggiunto in questi anni una dimensione enorme e sarà sempre più geolocal: e questo ci porta all’ultimo elemento da prendere in considerazione, ossia la progressiva diffusione di dispositivi mobili.
Il mattoncino finale: la rivoluzione mobile
La vera e propria rivoluzione sta nel fatto che se tutto questo era fino a pochi anni fa disponibile sul proprio desktop o sul portatile (il che a livello di mobilità cambia ben poco), con la diffusione dei dispositivi mobili di ultima generazione l’informazione geolocal può essere fruita (e, nell’altro senso, creata) proprio in diretta sul luogo interessato. Può sembrare ovvio (ormai tutte le novità tecnologiche ci sembrano ovvie) ma rappresenta invece un vero e proprio cambio di paradigma, dalle molteplici sfumature e dalle feconde prospettive di sviluppo. Molto banalmente, a differenza che nel passato, la gran parte delle informazioni saranno geolocal per il semplice fatto che nasceranno già tali: non saranno necessarie complicate operazioni di geolocalizzazione successive all’acquisizione dei dati, ma essi avranno già in se’ quei metadati geotagged, fin dall’inizio, in quanto in gran parte acquisiti con dispositivi abilitati (grazie a GPS, triangolazione di celle telefoniche etc.).
Alcuni esempi
Che le applicazioni contemporaneamente sociali e geolocalizzate stiano vivendo un momento di sviluppo, a sottolineare l’importanza della tendenza, ce lo dimostra anzitutto il gran numero di esse che si stanno affermando. Siamo probabilmente in una fase ancora lontana dalla maturità come si evince dal fatto che al momento nessuna di esse ha raggiunto uno stato di attore principale del panorama geolocal. Senza assolutamente voler essere esaustivi, presentiamo comunque una rapida carrellata delle principali applicazioni LBS di questo tipo.
I pesci piccoli
Foursquare [8]. Tanto piccolo non è, visto che ultimamente se ne fa un gran parlare e che ha più di mezzo milione di utenti e ha raggiunto una copertura planetaria. In pratica si tratta di un “gioco” sociale per cui, visitando fisicamente certi luoghi (ristoranti, locali, negozi etc.) si accumulano punti. Quel che però interessa di più è che questa applicazione per i più diffusi dispositivi mobili da un lato comunica agli amici la propria posizione fisica, con un messaggio di aggiornamento. Dall’altro va a creare un immenso database di giudizi, commenti, indicazioni geolocalizzate sui diversi locali, ristoranti, negozi etc. interessati (gli spot). Quello che un tempo accadeva con certe guide di viaggio basate sulle indicazioni dei turisti che venivano riportate nelle successive edizioni del libro, accade adesso in tempo reale. È chiaro come, al di là dell’amichevole competizione e dell’aspetto di gioco, foursquare possa assumere un potente valore nel promuovere o sconsigliare certe attività commerciali. Il valore di pubblicità user generated è già chiaro a molti operatori che hanno migliorato il loro servizio o lo hanno ampliato in base alle “recensioni” ricevute.
Gowalla [9]. Simile per concetto e meccanismo a foursquare, Gowalla ha una base di utenti inferiore e soffre di una minore copertura geografica. Alcune funzionalità interessanti sono rappresentate dal fatto che in certe situazioni gli utenti possono ricevere dei doni promozionali una volta che si registrino in un dato locale, nonche’ la possibilità di legare fino a 20 diversi luoghi registrati in veri e propri “viaggi”, anche fuori dall’ambiente cittadino, con le “nature hikes”, le passeggiate nel verde.
Yelp [10]. Si tratta sostanzialmente di un sito di recensioni (con un meccanismo che premia la recensione di posti “inediti” rispetto a quella di luoghi già ampiamente recensiti): i voti della community contribuiscono a definire valore e qualità dei diversi ristoranti, locali, etc. Va detto che spesso le recensioni sono fin troppo “critiche” e questo ha creato qualche controversia nei confronti del sito. Esiste una integrazione con Google Maps che consente di visualizzare la posizione del locale sulla mappa. Nonostante i numerosi utenti, Yelp resta uno strumento molto legato all’area geografica nordamericana.
Loopt [11]. Loopt è un’applicazione un po’ diversa dalle altre (con le quali condivide comunque funzionalità simili di check-in e recensione degli spot): molto semplicemente è un social network che colloca la propria rete di amici su una mappa e ne aggiorna la posizione in tempo reale. A di là delle ovvie preoccupazioni relative alla privacy, l’applicazione brilla per semplicità, interfaccia e, cosa da non sottovalutare, integrazione con Twitter e Facebook. E con Google Earth tramite l’ormai onnipresente KML (Keyhole Markup Language) un linguaggio di descrizione di dati geografici basato su XML e sviluppato appunto da Keyhole Inc. la società che ha inventato Google Earth e che è stata poi acquisita da Google… si torna sempre lì.
Infine, ci auguriamo di poter parlare presto su queste pagina di una interessante applicazione geolocal che sta partendo in ambito Google Apps, realizzata dai responsabili del GTUG Firenze: si chiama JooinK, e avremo modo di tornare a parlarne.
I pesci grossi (si mangeranno i piccoli?)
A fronte delle realtà appena descritte, non dobbiamo dimenticare che i big player del mondo ICT non stanno certo a guardare. Google Latitude [12] esiste da tempo ed è per molti versi simile a Loopt (ma molto più spartano, in perfetto stile Google), consentendo la localizzazione di un utente tramite IP ma anche per via manuale (inserisco la città o il luogo in cui mi trovo) oppure con sistemi di individuazione automatizzati come la triangolazione delle celle telefoniche o, per i dispositivi che ne sono forniti, tramite GPS.
E in un quadro in rapido e (probabilmente) favorevole sviluppo come quello attuale, non potevano rimanere fuori dalla tendenza geolocal dei giganti come Twitter e Facebook. La piattaforma di microblogging ha da poco lanciato la sua funzionalità di geolocalizzazione per comunicare da dove viene effettuato il tweet [13], salvo poi disattivare la funzione. D’altro canto, Facebook, forte della sua massa critica di utenti, sembra essere interessato al tema geolocal [14] anche se il suo fondatore rimane per ora sul vago: vedremo gli sviluppi futuri.
Ne vale la pena? ROI vs ROE: le promesse saranno mantenute?
Da un punto di vista della comunicazione e del rapporto fra fornitore di un servizio e fruitore dello stesso, non c’è cosa peggiore che non mantenere le promesse. Ma in questo caso sembra che certe promesse saranno mantenute.
Se guardiamo gli elementi in gioco dalla prospettiva dell’investitore, dell’azienda che commissiona un dato servizio, un dato software, una data applicazione, si parla spesso di ROI (Return On Investment), ossia, detto in maniera semplificata ma efficace, quanto sarà il rientro dell’investimento iniziale. Ne abbiamo parlato anche nella seconda parte di questa serie, valutando se fosse possibile valutare un ROI per le aziende che investono nella comunicazione tramite social media.
Sempre più spesso però, si sente parlare di ROE (Return On Expectations) che è una sorta di “estensione” del concetto di ROI: non ci si ferma solamente al calcolo monetario costi/guadagni, ma si fa una analisi più ampia, mettendo bene in chiaro quali sono le aspettative (realistiche e possibili) alla base di un determinato investimento (di tempo, denaro, energie etc.) e cercando di capire se esiste una corrispondenza tra ciò che ci si attende e ciò che effettivamente verrà conseguito.
Be’, vogliamo ribaltare questo concetto di ROE dal punto di vista dell’utente: un utente medio ha bisogno di un grado di soddisfazione sufficientemente elevato a fronte della “fatica” che deve fare per gestire certe applicazioni. Il tempo impiegato, l’attenzione necessaria, i costi di connessione (e i limiti strutturali del nostro sistema di telecomunicazioni non aiutano), i costi dei dispositivi mobili devono essere “ripagati” dall’esperienza e dal servizio che ricevo: le aspettative non devono essere disattese. E in questo senso, le applicazioni geolocal sembrano possedere un potenziale elevato. Non è questione di novità, ma del fatto che avere informazione (possibilmente di qualità) disponibile quando e dove serve, legata alla propria collocazione geospaziale, e magari fruibile attraverso un’interfaccia usabile e stimolante, è veramente molto più gratificante e utile del sapere semplicemente che il proprio amico sul social network ha mangiato un bel piatto di bucatini…
C’è un cambiamento di paradigma, a nostro giudizio positivo, che sta nell’evoluzione da un Internet privo di geospazialità, anzi quasi astratto dal mondo reale, a un’Internet calato nella realtà geografica in cui viviamo, con ovvie ricadute sul piano dei comportamenti individuali: potersi incontrare a pranzo con amici con cui ci si vede poco e che sono magari in zona, solo per dirne una, oppure venire a conoscenza di campagne sociali o di eventi legati al territorio in cui si vive, e potervi partecipare fisicamente.
Ma il cambiamento è positivo anche dal punto di vista dell’operatore commerciale, dell’esercente, dell’amministrazione pubblica: con una base “cartografica” standard, una immensa base di dati derivante dai social media e un “sistema di riferimento” affidabile e condiviso (il KML è supportato ormai anche da applicazioni open e non-Google come ad esempio Marble, sugli standard di geotagging si sta lavorando), progettare servizi geolocal, magari dentro piattaforme più ampie, richiederà investimenti assolutamente sostenibili (a patto di seguire buone pratiche di progettazione e una oculata e trasparente strategia di comunicazione).
E magari, in ambito di comunicazione e marketing, sarà possibile lo sviluppo definitivo di un meccanismo di promozione, possibilmente non troppo invasivo, che però presenti le possibilità che vengono a crearsi quando si è in una determinata zona: dai saldi del negozio all’angolo, all’informazione, presentata a chi abbia dichiarato di essere un appassionato lettore, che a un centinaio di metri c’è una libreria aperta.
Certo, restano aperti gli aspetti legati alla privacy e, in definitiva, alla libertà di essere non rintracciabile. Ma magari anche questo sarà un ambito in cui certe resistenze cadranno in tempi brevi (come del resto è avvenuto, pure troppo, per esempio con le foto su Facebook). E poi si può sempre spegnere lo smart-phone…
Conclusioni
Abbiamo visto come i temi legati al web geolocal siano attuali e quantomai suscettibili di numerosi sviluppi. Dopo aver analizzato alcuni elementi fondamentali alla base delle applicazioni “geografiche”, abbiamo mostrato come le recenti evoluzioni del web (social media e dispositivi mobili) fungano da amplificatori di queste tendenze e da vere e proprie tecnologie abilitanti.
Dopo una rapida carrellata su alcune applicazioni geolocal, abbiamo conlcuso l’articolo mettendo in luce come l’esperienza e le informazioni fornite da questo tipo di applicazione possano giustificare i “costi” necessari per la loro fruizione. Solo i prossimi mesi ci faranno capire, anche sulla base delle scelte di giganti come Facebook, se il web geolocal sia come sembra destinato a rappresentare una delle tendenze fondamentali dei prossimi anni.