Prosegue la serie di articoli dedicati al Project Management in cui affrontiamo il tema della gestione dei progetti e dei gruppi di lavoro da un punto di vista psicologico andando a sfruttare gli strumenti interpretativi che ci offre la Analisi Transazionale, una teoria psicologica ideata da Eric Berne a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Questo mese parliamo delle transazioni interpersonali.
Introduzione
Il mese scorso abbiamo introdotto i concetti fondamentali della analisi transazionale, quella disciplina psicologica che si pone come obiettivo la definizione di un modello strutturale e comportamentale che spieghi come noi agiamo e come reagiamo quando ci poniamo a confronto con altre persone.
Come già preannunciato nella puntata precedente, l’obiettivo è quello di fornire al lettore alcuni spunti, alcuni strumenti che possano essere di aiuto nella gestione di progetto, per comprendere le possibili dinamiche che si possono instaurare all’interno di un gruppo di lavoro. Il tema della analisi transazionale, che in questa sede per ovvi motivi ci limitiamo semplicemente a introdurre, fornisce infatti alcuni strumenti indispensabili nel bagaglio culturale del Project Manager, strumenti che ricadono nella categoria dei soft skills.
Il pregio della AT è infatti quello di fornire un modello interpretativo semplice, di rapida comprensione e attuazione, tanto che sempre più spesso la si può trovare usata e proposta in azienda. Questo, come già detto più volte, non deve però trasmettere l’impressione che si tratti di “trucchi da venditori”: abbiamo spiegato chiaramente come ci si trovi davanti a una seria scuola psicologica che, partendo da un approccio tipicamente psicodinamico, si arrichisca anche di elementi cognitivo-comportamentali.
Stati dell’io
Nella puntata precedente abbiamo avuto modo di introdurre il modello strutturale del GAB (Genitore, Adulto, Bambino) col quale si cerca di fornire una interpretazione di come le varie declinazioni del nostro “io” entrino in gioco quando ci troviamo ad agire o meglio a interagire con altre persone.
Proseguiamo con la presentazione del concetto di transazioni (comunicative) mostrando come la loro analisi e la loro interpretazione possano venirci in aiuto nel comprendere le dinamiche interpersonali e di gruppo; grazie all’analisi delle transazioni si potranno prevenire e gestire quelle situazioni dannose per il progetto, promuovendo invece le dinamiche costruttive che possono fornire allo sviluppo del progetto un importante aiuto verso il raggiungimento dell’obiettivo.
L’analisi delle transazioni
In Analisi Transazionale (AT) per transazione si intende uno scambio comunicativo che si instaura fra due persone, scambio che è strutturato da uno stimolo e da una risposta (per gli informatici “duri e puri”, ci ricorda il caro e vecchio protocollo HTTP con request e response); questo dialogo avviene sempre fra due specifici stati dell’Io delle persone coinvolte, come presentati nella puntata precedente.
In tal senso quindi una conversazione (comunicazione esplicita o diretta) è scomponibile in una serie di transazioni, così come lo può essere uno scambio di gesti, espressioni del corpo etc.. (che potremmo classificare come una comunicazione implicita o indiretta).
L’AT si pone quindi l’obiettivo di classificare il tipo e il contenuto di una transazione, così come la valutazioni sugli stati dell’io sono coinvolti; quindi si cerca in tal modo di esaminare e spiegare il comportamento delle persone nelle relazioni interpersonali. Il primo passo è quello di individuare all’interno di una conversazione (o scambio simbolico di messaggi) quali sono gli stati dell’io coinvolti nella transazione: tramite il GAB, infatti, si disegnano vettori per evidenziare da dove parte lo stimolo, dove è diretto e che percorso compie la risposta.
Fatto questo possiamo ricondurre le conversazioni a schemi prefissati (le tipologie di transazioni, si veda il paragrafo successivo) in modo da provare a fornire una interpretazione di quello che vediamo e del perche’ ciò accada: perche’ il programmatore si irrigidisce quando il PM chiede un ragguaglio sullo stato di avanzamento? Come mai il programmatore mi risponde in modo aggressivo quando il PM pone domane sulle possibili cause di un ritardo nella consegna?
In questo articolo presenteremo le tipiche casistiche di comunicazione che sono previste dalla AT e cercando al contempo di fornire degli esempi derivati da esperienze reali su progetto in cui sia possibile riconducibili ai casi presentati.
Tipologie di transazioni
Il caso più semplice di transazione è quello in cui la comunicazione avviene in modo diretto e chiaro come nelle cosiddette transazioni parallele: in questo caso entrambi gli interlocutori partecipano con medesimi stati dell’io. Si parla invece di transazione complessa quando sono coinvolti da un a parte o dall’altra stati dell’io diversi.
Transazioni semplici (complementari) e transazioni complesse (incrociate)
Le transazioni sono dette semplici, o anche complementari o parallele, quando i vettori della conversazione sono paralleli fra loro. Se invece i vettori di comunicazione si incrociano allora si ha una transazione complessa, o incrociata (figura 1). Le transazioni semplici a loro volta possono essere di due tipi: che coinvolgono stati analoghi dell’Io nei due interlocutori o possono riguardare stati diversi (figura 2).
Come si è avuto modo di accennare poco sopra, non è detto che la comunicazione che si instaura fra più persone sia esclusivamente di tipo esplicito (o “sociale”), ossia relativa al contenuto verbale; quasi sempre ogni comunicazione verbale è accompagnata da una comunicazione detta “psicologica” relativa al linguaggio non verbale, come le mimiche del volto, i gesti, le posture, le tonalità vocali e così via. Tale duplice presenza può essere raffigurata come in figura 3
Le transazioni parallele, dove sono interessati gli stessi stati dell’Io dei due interlocutori, sono quelle che si attivano e si possono mantenere più facilmente, poiche’ nella transazione viene usato lo stesso codice e viene messo in gioco il medesimo sistema di valori; la comunicazione potrebbe pertanto teoricamente continuare all’infinito.
Esempi di transazioni semplici (complementari) paritetiche
Di seguito sono riportati alcuni esempi di transazioni semplici (“paritetiche” perche’ fra stati dell’io equivalenti): cercheremo di riportare delle situazioni credibili, magari “stereotipando” un po’ le conversazioni, proprio per far passare al meglio l’idea
Transazione complementare: stato io G-G
Il primo caso è quello in cui la conversazione procede coinvolgendo da entrambi i lati stati dell’io Genitore.
È questo il caso in cui si commenta uno stato delle cose o un problema, chiacchierando senza giungere a nessuna effettiva soluzione e con un atteggiamento da genitore normativo (in accezione “negativa”). Si prenda il caso in cui due Project Manager (PM1 e PM2) di trovano a ragionare sulla cattiva gestione del progetto o sul come lo staff composto da programmatori non sia in grado di svolgere anche le più semplici mansioni.
PM1 (stato io G): “Ah… ho assegnato degli UC semplicissimi, ma qui non ci si muove di un passo; le performance complessive sono bassissime.”
PM2 (stato io G): “Già, per non parlare del fatto che nessuno fa i test.”
PM1 (stato io G): “I test? Ma cosa dici, ma se qui a malapena riusciamo a chiedere di inserire due righe di commento nel codice.”
PM2 (stato io G): “Ah… ai miei tempi, quando noi eravamo programmatori, si lavorava in modo diverso… ma te lo immagini andare dal PM e dire che non c’era il tempo di fare il test?”
PM1 (stato io G): “Secondo me si stava meglio quando si programmava in Cobol”.
E qui la conversazione potrebbe andare avanti all’infinito perche’ di fatto non si giungerà mai a nessuna soluzione; il dialogo procede snocciolando generalizzazioni poco utili e poco oggettive (“i giovani non sono più quelli di una volta”), per non guardare in faccia la realtà: probabilmente se i programmatori non fanno il loro dovere o non lavorano con sufficienti standard di qualità, la responsabilità non può essere che dei PM (o comunque di qualcuno in alto nella scala gerarchica) che non sono in grado di far funzionare le cose come dovrebbero.
Specularmente un altro esempio emblematico (lo posso sperimentare presso la quasi totalità delle aziende dove mi trovo a fare consulenza) è quello in cui chi sta sotto nella scala gerarchica non sa far altro che lamentarsi dei propri capi, dicendo che sono la causa di tutti problemi che si abbattono sulle loro spalle. Qui aggiungiamo un consulente esterno che ascolta le lamentele e cerca di spostare la conversazione su un piano più oggettivo (con uno stato dell’io Adulto). Ma per avere la tipica transazione semplice (complementare) G-G basta che si tolgano da questo dialogo le parti in cui interviene il consulente. Esse, anche se poi ci servono a spiegare un diverso concetto, di fatto non diventano funzionali alla discussione: anche in questo caso la conversazione potrebbe proseguire all’infinito senza che si giunga a nessuna soluzione, visto che anche in questo caso trovarne una e metterla in pratica sarebbe troppo impegnativo.
Ecco una conversazione reale, in riferimento a una osservazione del docente (il sottoscritto) durante un corso in aula presso l’azienda.
Capo1 (stato io G): “Già, tutto bello quello che ci racconti, ma qui è inapplicabile, perche’ qui siamo una realtà diversa… particolare.”
Consulente (stato io A): “In che senso?”
Capo2 (stato io G): “Nel senso che noi abbiamo un processo organizzato in modo differente (traduco: “non c’è processo, non c’è organizzazione”) per cui ci costerebbe troppo tempo passare a una forma più strutturata come suggerisci tu (traduco: “meglio nascondersi dietro la presunta disorganizzazione della azienda nel complesso, piuttosto che ammettere che il problema è sulla propria scrivania”).
Capo1 (stato io G): “Si e poi i nostri capi non capirebbero mai… Ma tu ce li vedi ad adottare questo nuovo modo di lavorare? I nostri PM al massimo usano il Gantt e la frusta per far rispettare i tempi.”
Capo2 (stato io G): “Sì non hanno la minima idea di cosa voglia dire fare una stima o di provare a immaginare prima come si fa un progetto…”
Consulente (stato io A): “Ecco… ma voi glielo avete mai detto? Per esempio, è mai stato predisposto un meccanismo di reportistica delle ore spese a fare le varie cose? Cioè, in pratica, avete mai stimato o misurato quanto tempo ci vuole a chiudere un bug se non si fanno i test?”
Capo2 (stato io G): “Ma qui tanto non ci ascoltano, è come parlare al vento…”
In entrambi i casi si cerca di parlare intorno al problema senza entrarci dentro in maniera oggettiva o portando motivazioni senza senso perche’ spostare la conversazione su un piano più obiettivo ed efficace vorrebbe dire dar vita a un vero cambiamento in noi stessi troppo impegnativo da mettere in pratica.
Questo è un modo di comportarci che tutti noi abbiamo più o meno marcato: come si trova in molti testi di psicoanalisi il nostro “io” è spesso portato a subire una condizione perche’ uscirne sarebbe troppo impegnativo o doloroso (a volte è persino faticoso ammettere il nostro problema). Lamentarsi sulla panchina guardandosi scorrere davanti agli occhi tutto il problema, per quanto questo sia fonte di sofferenza, è la sola cosa che sappiamo fare.
Transazione complementare: stato io A-A
Volendo provare a risolvere il problema, la via di uscita è quella di spostare il punto di vista dallo stato dell’io G all’io Adulto (transazione A-A), ossia spingere la conversazione verso una oggettività (tipica dello stato dell’io Adulto), ponendosi per primi (colui che vuole provare a cambiare le cose) in una posizione diversa (A appunto) e non cadere nel tranello messo in atto dall’altro che invece ha interesse di rimanere su una G-G.
Sul progetto d’esempio i due programmatori/capi progetto (P1 e P2) passano ora da una semplice lamentela a un livello più elevato finalizzato a trovare una soluzione:
P1 (stato io A): “C’è un problema da affrontare: dobbiamo fare delle stime attendibili e molto chiare, per mettere i nostri capi in grado di comprendere tutte le difficoltà del progetto.”
P2 (stato io A): “Dovremmo trovare il modo di raccontargliele in modo che loro le capiscano.”
P1 (stato io A): “Già ma dovremmo farlo in modo oggettivo.”
P2 (stato io A): “Forse dovremmo smettere di procedere noi per primi alla cieca, e magari provare a seguire un filo logico.”
P1 (stato io A): “Magari si potrebbe immaginare di cronometrare quello che facciamo, ogni volta che lo facciamo, magari per dimostrare che certe attività non sono a costo zero, anzi…”
P2 (stato io A): “Potremmo integrare il bugzilla con un sistema di report delle tempistiche del lavoro sulle singole attività.”
P1 (stato io A): “Potremmo anche solo iniziare a usare l’orologio e un foglio con l’elenco delle cose.”
P2 (stato io A): “Ma come possiamo convincerli che quello che facciamo è oggettivo? Che se io cronometro 1 giorno per fare una cosa, effettivamente ce ne vuole uno?”
P1 (stato io A): “Credo che non abbiamo altro modo: in fondo se lo facciamo tutti, è un modo anche per noi per avere delle informazioni che adesso non abbiamo e che invece ci obbligano a lamentarci senza prove.”
P2 (stato io A): “Certo dobbiamo anche valutare se questo non è semplicemente un elemento di controllo in più che ci mette con le spalle al muro…”
P1 (stato io A): “È possibile… ma potrebbe anche accadere che il management veda in questo un approccio al problema più maturo e responsabile… Cosa abbiamo da perdere? Tanto la frusta già la usano: almeno dopo potremo lamentarci ma a ragione veduta”
Chiaramente questa è una idealizzazione, ma rende l’idea del tipo di “transazione” (conversazione) che si può ingenerare. E chiaramente si potrebbe anche partire da una situazione in cui uno dei due si lamenta e critica (stato dell’io Genitore), ma in cui l’altro porta la discussione verso un’oggettività maggiore (stato dell’io Adulto). In tal caso, però, saremmo nel campo della transazione complessa o incrociata, vale a dire quella in cui la transazione prevede dei mutamenti degli stati dell’io coinvolti.
Transazione complementare: stato io B-B
Infine la transazione semplice B-B è quella che tipicamente si instaura quando due persone si scambiano sensazioni entusiastiche, fanciullesche su un qualcosa a cui assistono o che sperimentano di prima persona:
B1: “hai installato il nuovo aggiornamento di sistema.”
B2: “Si è fantastico!!! Hai visto come scheggia?”
B1: “Si ho ricompilato il kernel e adesso ho una velocità di rendering pazzesca.”
Il tipo di transazione in questo caso è innocua (non provoca danni o perdita di tempo) e anzi probabilmente ha una sua utilità perche’, oltre ad agire sulla motivazione e alla partecipazione al lavoro, qui le due persone si scambiano comunque informazioni che possono risultare utili per entrambi oltre a garantirsi delle “carezze” (vedremo nel prossimo numero che cosa si intende con questo concetto, che però in inglese è stroke).
In sintesi possiamo quindi dire che il caso G-G è la classica lamentela da bar, il B-B sposta il discorso su un piano emotivo. La A-A invece è quella più utile per risolvere un problema anche se spesso è la più difficile da mantenere (spesso infatti uno dei due attori si sposta di un livello, dando vita a transazioni che coinvolgono stati dell’io diversi).
Queste sono transasioni semplici (o complementari) del tipo parallelo. La caratteristica principale di questo tipo di transazioni parallele (G-G, A-A, B-B) è che in genere possono protrarsi indefinitamente senza difficoltà, visto che entrambi gli attori usano un linguaggio simile comune a entrambi e poiche’ gli stati dell’io dei due interlocutori sono chiari e ben definiti; ciò sta a significare che ogni interlocutore accoglie il proprio ruolo nello scambio, ossia accetta di buon grado il ruolo che l’altro gli definisce.
Esempi di transazioni semplici (complementari) non paritetiche
Le transazioni semplici e parallele non sempre sono paritetiche, ovvero possono coinvolgere stati dell’Io differenti nei due interlocutori, ma senza che cambi da un momento all’altro. In pratica, si assume “un ruolo” e lo si mantiene per tutta la transazione. Un primo classico caso è quello in cui la transazione parte dallo stato dell’io Bambino di chi inizia lo scambio, che si rivolge in cerca di sostegno e protezione a uno stato dell’io Genitore del suo interlocutore.
Transazione complementare non paritetica: stato io B-G
In un contesto lavorativo potrebbe essere il caso di un programmatore che si rivolge al suo capo progetto con un fare quasi remissivo, chiedendo aiuto per i problemi incontrati o per l’incapacità di risolvere un determinato problema o perche’ i vincoli imposti sono impossibili da essere rispettati. In questo caso il bambino (in modalità negativa, quindi B-) si manifesta con un comportamento di “vittimismo” nei confronti dell’altro attore della transazione che in questo caso assume un ruolo di persecutore, di cerbero o semplicemente di rigido vigile. Un esempio di una transazione potrebbe essere la seguente:
Programmatore (stato io B): “Non è possibile consegnare nei tempi stabiliti se continuate a inserire nuove funzionalità nel progetto.”
Capo progetto (stato io G): “È mai possibile che non sai far altro che lamentarti? A quest’ora i tuoi colleghi avevano già finito.”
Programmatore (stato io B): “Se proprio credi perche’ non lo fai te? Possibile che non riesci a ragionare che con l’orologio e la calcolatrice? Non ci mettete nella condizione di lavorare.”
Capo progetto (stato io G): “Ogni volta che cerchiamo di darvi un supporto per una soluzione, poi salta fuori un problema che mette tutto in discussione.”
In questo caso il tono della conversazione è volutamente esasperato, quasi al limite del litigio. Molto più spesso la vittima e il suo persecutore usano toni meno forti, ma il senso è lo stesso: è la vittima che conduce il gioco tirandosi addosso tutte le sfortune del mondo e accusando qualcun altro dei problemi che gli impediscono di lavorare. Fare la vittima è un atteggiamento quanto mai frequente perche’ come nel caso di G-G sposta l’attenzione dal vero problema (non so fare una cosa, non so chiedere aiuto, non so segnalare a chi di dovere che non mi sta aiutando) a una qualche “congiuntura astrale” che ci impedisce di lavorare. Di fatto la vittima attacca il suo interlocutore ponendosi in una falsa situazione di difficoltà (e qui si parla di un Bambino Ribelle).
In genere le transazioni complementari possono protrarsi per molto tempo, in teoria all’infinito, fino alla crisi massima in cui si abbandona il campo con una sensazione sgradevole. È uno scenario negativo (almeno in un progetto). Qualora si desideri interrompere questo tipo di conversazione, il trucco è uscire dal ruolo che ci è stato assegnato passando da una transazione complementare a una incrociata (si veda il paragrafo relativo alle transazioni incrociate).
Per esempio, riconsiderando il caso appena preso in esame, la cosa da non fare è assecondare il nostro interlocutore che agisce da B “succube” (cosa non sempre facile da mettere in pratica). Importante ricordare sempre che la vittima si crogiola nel fare la vittima per cui più si assume un tono da “persecutore” e più si fornisce il pretesto per non prendere in mano la situazione con spirito costruttivo (lo stesso se la transazione parte dal genitore autoritario che vuole rimproverare il suo interlocutore). Quindi se ci viene assegnato il ruolo del Genitore che incute la disciplina (a patto di non voler accettare il ruolo per altri motivi, esempio la necessità di rimproverare per ristabilire i ruoli e le gerarchie) la sola cosa che si può fare per dare un senso (utile e costruttivo) alla transazione è di innalzare la conversazione eliminando il più possibile ogni senso di rimprovero e di giudizio, passando dall’essere un Genitore rigido a un Adulto obiettivo.
Il dialogo di prima quindi potrebbe essere riscritto in questo modo:
Programmatore (stato io B): “Non è possibile consegnare nei tempi stabiliti se continuate a inserire nuove funzionalità nel progetto.”
Capo (stato io A): “Capisco il tuo disappunto… Come posso esserti utile? Potresti per favore darmi un po’ di indicazioni dettagliate sulle difficoltà che incontri?”
Programmatore (stato io B): “Come sarebbe a dire? Ti ho già detto mille volte che non ho voglia di fare questo compito, non ne sono capace, non me la sento, non ce la faccio…”
Spesso il B vistosi in difficoltà rincara la dose accampando scusa del tipo “non conosco questa tecnologia, non me la sento di parlare in pubblico, ho il terrore, non posso andare dal cliente a fare la presentazione o a riparare il software.
Capo (stato io A): “Aspetta, io ho la necessità di portare a compimento questo lavoro, come mi è stato commissionato di fare, e penso di avvalermi del tuo lavoro. Se non ti senti in grado, ti posso dare tutto il supporto di cui sono capace. Se non vuoi farlo, però, l’unica soluzione logica è passare il lavoro a qualcun altro. Obiettivamente, possiamo considerarla una opportunità per te e anche una necessità per l’azienda. Se però non vuoi farlo considera anche quale utilità ha il tuo ruolo per l’azienda stessa. Se ti va di provarci, io farò tutto quello che è in mio potere per fare in modo che le cose vadano per il verso giusto. Se non dovessimo farcela (importante: usare la prima persona plurale) non ti preoccupare, è un rischio che io sento di potermi prendere.”
Silenzio… La vittima non può più accampare scuse… Il suo persecutore ha spostato il piano della discussione, ha fatto capire che non intende più fare questo gioco, per cui non ha più senso proseguire a fare la vittima. Il B ha anche capito che qui la situazione è più complessa di un semplice “il mondo ce l’ha con me!” e che forse conviene uscire da uno stato B per passare a uno stato A in cui si affronta oggettivamente il problema. Appare evidente che lo sforzo più difficile deve compierlo il capo che passa da G ad A: la natura spesso ci spinge a prendere il ruolo autoritario che ci è stato imposto e di seguirlo in tutto e per tutto.
Transazione complementare non paritetica: stato io G-B
Ovviamente questa appena presentato è solo una delle possibili varianti che si possono verificare quando si B muove contro G nel ruolo della vittima assegnando quella del persecutore all’altro. Può accadere esattamente il contrario, ovvero la prima mossa viene fatta da G che attacca B cercando di metterlo nell’angolo.
Capo (stato io G): “Allora che succede? Come mai questa funzionalità non è ancora stata completata?”
Programmatore (stato io B): “Hai ragione non so che sta succedendo… Scusa.”
Capo (stato io G): “Non voglio le tue scuse, voglio che si chiuda alla svelta questa attività.”
Programmatore (stato io B): “Mi spiace me io non so che farci… come tocco qualcosa, qualcos’altro smette di funzionare.”
Capo (stato io G): “Ma i test? Li avete inseriti nel progetto?”
Programmatore (stato io B): “no…”
Capo (stato io G): “E perche’ diamine no?!?!?!”
Programmatore (stato io B): “Beh non ho ancora trovato il tempo… siamo già in ritardo se ci mettiamo anche a fare i test…”
Qui la conversazione potrebbe continuare in lungo un bel po’ fino ad un innalzamento dei toni.
In questo caso il programmatore (B) potrebbe uscire dall’angolo innalzando la conversazione (e diventando A non più B), ad esempio rispondendo prima o poi con una frase del tipo:
Programmatore (stato io A): “Hai ragione, stiamo andando lunghi, ma qui c’è un reale problema sul progetto. Non appena tocco qualcosa qualcos’altro smette di funzionare. Avrei bisogno che tu mi dessi un mano togliendomi un po’ di carico di lavoro in modo che (per esempio) possa accendere i test.”
Capo (stato io G): “Come, non li avete ancora inseriti?”
Programmatore (stato io A): “No in effetti ci siamo fatti prendere dalla frenesia di concludere. Ma abbiamo fatto una sciocchezza. Che dici, ce la facciamo a rallentare un momento per rivedere le cose e magari scrivere i test?”
A questo punto il programmatore ha ribaltato la conversazione, rimettendo il Project Manager nel suo ruolo, ovvero decidere quello che c’è da decidere per fare in modo che le cose accadano. Il PM non può più tirarsi indietro (se è un vero PM e non un semplice portatore di frusta). Anche lui adesso deve per forza passare ad A.
Ovviamente nella realtà non sempre è così semplice smontare lo schema B-G o G-B che vive bene e si evolve con successo nella sua complementarità. La cosa veramente importante capire è che in questo modo non si arriva da nessuna parte e sia che si agisca da vittima o da persecutore, è importante cercare di spostare il punto di vista perche’ in questa configurazione non si riesce ad ottenere nulla di buono.
Altre transazioni complementari
Può capitare a volte che si instaurino transazioni parallele complementari di altro tipo, meno “forti” di quelle appena vista: è il caso ad esempio del B-A o del A-G
Nel primo caso si potrebbe immaginare il caso in cui il PM sotto pressione per il troppo stress, la stanchezza o semplicemente le troppe cose da seguire, cerca qualcuno con cui sfogarsi dandogli il ruolo della oggettività:
Il PM (stato io B): “Non ce la faccio ad andare avanti… Questo progetto sta prendendo una serie di direzioni non gestibili”.
Il collega (stato io A): “Spesso il progetto in questa fase rischia di diventare ingestibile. In effetti le cose stanno aumentando senza controllo. Non ti preoccupare mi pare che tu stia reggendo bene il carico.”
Il PM-B però non cerca necessariamente un’ala protettrice. Cerca un conforto obiettivo, ponendosi per un momento come Bambino che ascolta il suo insegnante che lo valuta o lo consiglia (Bambino Adattato). Per questo il collega dovrebbe essere obiettivo il più possibile per esempio formulando se necessario critiche costruttive:
Il collega (stato io A): “Mi pare che tu stia concentrandoti troppo sugli aspetti di rispetto dei requisiti non funzionali. Temo che tu stia perdendo di vista altre cose altrettanto importanti.”
Variante sul tema (transazione A-G) potrebbe essere quella in cui il PM, nel ruolo di A, conscio della situazione, assegna a qualcuno il ruolo di genitore che lo aiuti un po’ a prendere fiato, di scaricare un po’ di ansia o semplicemente di condividere lo status quo. L’attore nel ruolo A sa che sta sbagliando qualcosa ma ha bisogno che qualcuno lo forzi a fare qualcosa che non riesce o semplicemente ha necessità di condividere la cosa per evidenziarla meglio.
Il PM (stato io A): “Suvvia prendi il mio telefonino, per oggi ho passato anche troppo tempo al telefono col cliente, è importante che mi concentri sul progetto con gli altri del gruppo.”
oppure
Il PM (stato io A): “Toglimi da sotto questo dannato Gantt, sto passando troppo tempo a fare calcoli senza senso sulla calendarizzazione delle attività. È necessario che esca da questo ufficio e vada a vedere cosa realmente fanno i ragazzi dello staff di progetto”.
Le transazioni incrociate
Le transazioni, come si è avuto modo di vedere nella figura 1, possono essere di tipo incrociato ovvero “quando stimolo e reazione si incrociano sul diagramma transazionale del GAB”. Contrariamente al caso delle transazioni complementari, la conversazione in questo caso normalmente si interrompe (negli esempi precedenti questo fenomeno è stato presentato come strumento per bloccare una conversazione o discussione che sterilmente non porta a nessuna conclusione).
Quando l’interlocutore destinatario non accetta il ruolo che l’emittente gli attribuisce e risponde da un diverso stato dell’io si verifica una transazione incrociata, quella comunicazione si interrompe ed un’altra ne prende probabilmente il posto.
Esempio di transazione incrociata: A-A diventa B-G
Un tipico esempio potrebbe essere quello qui riportato:
PM (stato io A) diretto verso A: “Mi potreste dire come vanno le cose sul progetto X?”
Questa potrebbe essere la richiesta di informazione allo staff di progetto, di fatto una transazione da Adulto ad Adulto. La risposta potrebbe essere che il capo progetto risponde come Bambino (Ribelle) verso quello che percepisce come un Genitore Normativo:
Il capo progetto (stato io B) risponde verso G: “Ecco che cominci a farci pressione se siamo in ritardo. Guarda che se le cose non vanno come vorresti non è colpa nostra.”
In questo caso la risposta dal programmatore al PM avviene su un piano diverso, da B verso G. Probabilmente sul posto di lavoro i toni saranno meno esacerbati e più diplomatici, ma il senso potrebbe essere quello: a questo punto la conversazione si è già degradata.
Se invece il capo progetto avesse accettato la domanda e anche il ruolo (in fondo il PM parlava da A per un A) avrebbe potuto rispondere:
Il capo progetto (stato io A): “Beh purtroppo le cose non vanno come vorremmo. Ecco un po’ di informazioni che ho raccolto in un diario giornaliero giorno per giorno. Forse potranno esserti utili.”
Un altro esempio è quello in cui il PM si rivolge al suo staff formulando una richiesta ma usa un tono sbagliato, ponendosi quindi nel ruolo del genitore autoritario (G-):
PM (stato io G) diretto verso B: “Ragazzi perche’ stiamo andando lenti sui rilasci e perche’ non siamo in grado di garantire la non regressione per ogni nuova modifica al codice? Vogliamo per una buona volta attivare il rilascio dei test di unità con JUnit?”
Lo staff qui innervosito per questa ennesima pressione durante un momento critico sul progetto:
Programmatore risponde come G verso B: “Guarda è perfettamente inutile che ci vieni a ridire per l’ennesima volta ‘sta cosa sei test. Se andiamo lenti è perche’ anche stavolta i requisiti che ci avete passato sono scritti veramente male.”
Aspetti delle transazioni incrociate
Le transazioni incrociate appena viste ci consentono di rilevare un ulteriore aspetto importante: non c’è una vera e propria comunicazione tra i due interlocutori, ma anzi, c’è un blocco, da parte di uno dei due, che impedisce la comunicazione. Si può avere una comunicazione vera solo quando entrambi gli interlocutori sono disposti a svilupparla in un clima propizio. Qui, invece, almeno uno dei due partecipanti ha un atteggiamento negativo, e invece di “allinearsi”, tende a scaricare il suo disagio, la sua rabbia, il suo rancore verso l’esterno, impedendo di fatto un normale sviluppo della conversazione. Però occorre fare attenzione al fatto che è molto importante anche come si imposta la comunicazione fin dal principio: in genere l’emittente che fa partire il messaggio deve essere molto attento a come lo esprime fin dal principio (stimolo) perche’ almeno in parte la risposta del ricevente si “sintonizza” proprio su questo (reazione transazionale). Quindi, per banalizzare al massimo, è vero che magari uno dei due partecipanti può vivere uno stato psichico negativo, ma è anche vero che occorre, per così dire, “disinnescare” tale condizione fin dall’inizio della transazione.
Nel caso sia l’emittente a partire con un atteggiamento “irritante”, da parte del ricevente si può sempre spingere per una adeguata comprensione del messaggio. Domande di ulteriore spiegazione (“Scusa, non ho capito bene; potresti spiegarmi meglio questo aspetto?”, “Credo di aver capito che tu pensi che…”, “Vuoi dire quindi che…” e così via) possono giovare certamente all’evoluzione della transazione. Ma va sempre ricordato che sia nel porgere il messaggio, sia nel rispondere ad esso, non contano solo le parole che si usano, ma conta molto anche l’aspetto non verbale, il tono della voce, l’atteggiamento del corpo, lo sguardo etc. (“paralinguaggio”) che spesso dicono molto di più delle semplici parole. Quest’ultimo aspetto non deve mai essere sottovalutato, e occorre fare un lavoro onesto e sereno sul paralinguaggio.
Affinche’ un messaggio risulti chiaro e convincente, non basta dire certe parole o usare certe formule: occorre anche effettivamente mettere il proprio linguaggio non verbale in connessione con quello che si sta dicendo.
Conclusione
In questo articolo abbiamo parlato di transazioni che rappresentano un aspetto fondamentale dell’analisi transazionale (il nome arriva da lì). Abbiamo visto come i diversi stati dell’io e la combinazione tra di essi possa dare origine a diverse tipologie di “conversazione” (le transazioni, appunto), in cui i partecipanti si scambiano qualcosa (in maniera, diremmo, “costruttiva” o meno). Comprendere il meccanismo delle transazioni e imparare a gestirlo può risultare estremamente importante per condurre al meglio le numerose transazioni, appunto, che vengono a instaurarsi nei rapporti interpersonali professionali che ci troviamo ad affrontare nell’ambito della gestione del progetto. In questo senso, Project Management è anche gestione positiva di queste transazioni.
Nel prossimo articolo affronteremo altri due temi fondamentali sempre relativi alle relazioni: le cosiddette “carezze” (in inglese “stroke”) ossia gli stimoli e i riconoscimenti che ci si scambiano nelle transazioni, e i cosiddetti “giochi”, ossia certi meccanismi tipici e abbastanza riconoscibili che si instaurano nei rapporti fra le persone (parlando in termini “informatici”, sono una sorta di “pattern” psicologici che è abbastanza agevole riconoscere). Tra i “giochi”, vedremo in particolare il cosiddetto “triangolo drammatico”, che è un meccanismo in cui probabilmente molti di noi si sono trovati nell’ambito dei rapporti instaurati anche nell’ambito lavorativo.