Quali sono i valori e le caratteristiche che definiscono una buona squadra di lavoro? Quali sono gli aspetti cui prestare attenzione per creare e mantenere un gruppo motivato ed efficiente, in grado di lavorare in maniera positiva e sostenibile? In questo articolo affrontiamo l‘argomento del team building.
Introduzione
Team building letteralmente significa “costruzione di un gruppo”, ed è una pratica oggi molto in voga all’interno delle aziende. Il motivo di tanto interesse è forse legato al fatto che le aziende sono formate da persone e per questo si inizia a prendere consapevolezza che i gruppi non sono semplici aggregati di individui anonimi, ma sono organismi vivi da cui possono partire pratiche che contribuiscono al progresso e anche al regresso di intere organizzazioni. Per questo è importante stimolare la nascita di idee innovatrici che contribuiscano alla crescita e competitività dell’azienda a cui appartengono. Perche’ ciò avvenga è indispensabile prendersi cura del benessere del lavoratore: il tipo di impiego è adatto alla propria formazione? Il carico di lavoro è adeguato? La gratificazione è presente?
Nella pratica, il “team building” si traduce in esercizi di gruppo, esperienze ludiche o di benessere psico-fisico unite a un’analisi precisa dei bisogni del gruppo. Le aziende lo ritengono particolarmente utile quando il gruppo di lavoro si è costituito da poco tempo o si è di fronte ad una vera e propria crisi sia da parte dell’azienda che dei singoli.
Il team building invece andrebbe usato “a prescindere”, come risorsa prima e non come ultima spiaggia per rendere un‘azienda vincente.
Il gruppo di lavoro inteso come squadra
Se consideriamo il gruppo di lavoro all’interno del quale lavoriamo come una squadra, la struttura organizzativa alla quale apparteniamo non verrà più vista come la somma dei singoli, ma come una “unità”. All’interno di una “unità” è necessario che non si considerino più gli obiettivi dei singoli, ma gli obiettivi dovrebbero essere condivisi: solo così il gruppo potrà ottenere i risultati prefissati.
Le aziende che investono sullo sviluppo del lavoro di squadra, sono in continua crescita poiche’ tale organizzazione del lavoro sembra essere in grado di portare risultati quantitativi positivi, in termini di riduzione dei costi e aumento della produzione. Il segreto del successo di un buon lavoro di squadra consiste nel riuscire ad amalgamare le competenze dei componenti della squadra dando vita a sinergie produttive d’eccellenza, anche sotto uno sguardo qualitativo.
Questo ci porta immediatamente a vedere quali sono le iniziative necessarie per creare una squadra vincente:
- ascolto
- comunicazione
- conoscenza dell’altro
- fiducia nell’altro
- senso di appartenenza
- obiettivi condivisi
- focus comune
Ascolto efficace
Nelle aziende, le persone dovrebbero essere in grado di mantenere un pensiero coerente e di spiegare le proprie posizioni e le proprie asserzioni in modo chiaro. C’è un divario tra le competenze comunicative richieste dall’organizzazione e quelle possedute dai dipendenti; chi ne risente è sicuramente l’organizzazione stessa. Saper comunicare in primo luogo significa saper ascoltare. L’ascolto non passa solo dal “sentire” ciò che l’altro dice ma da “come” lo dice, cosa intende veramente l’altro, che impatto ha questo su di me. Quindi è facile capire come l’ascolto sia qualcosa di complesso che comprende un buon ascolto di se’ (“Come mi sento?”, “Perche’ quello che mi sta dicendo mi fa arrabbiare?”), dell’altro (“Perche’ usa questo tono?”, “Il problema è suo o mio?”), del contesto (“Perche’ durante le riunioni tutti stanno zitti e poi commentano durante la pausa caffe’?”).
Thomas Gordon [1] dice che per un buon ascolto è necessario seguire 4 passi:
- L’ascolto passivo: è il momento di silenzio interiore (e possibilmente anche esteriore) di chi è in ascolto. Ascoltare in silenzio permette all’altro di esporre senza essere interrotto. È così che percepisce l’attenzione che gli viene rivolta. Aggiungerei che questa fase permette a chi ascolta di entrare in contatto anche con le proprie emozioni e di distinguere ciò che gli appartiene da ciò che appartiene al suo interlocutore. È infatti indispensabile capire quando un’emozione appartiene a me stesso oppure all’altro, perche’ mi permette di ricordare che non sempre le stesse esperienze o le stesse situazioni possono suscitare uguali emozioni.
- Messaggi di accoglimento: sono sia messaggi verbali (“ti ascolto”, “sto cercando di capire”), che messaggi non verbali (cenni del capo, sguardo, sorriso…). Tutti quei messaggi, cioè, che sottolineano l’atteggiamento di ascolto.
- Inviti calorosi: messaggi verbali che incoraggiano chi parla ad approfondire quanto sta dicendo (“dimmi”, “spiegami meglio”) senza valutare o giudicare ciò che viene detto. L’assenza di giudizio è fondamentale al raggiungimento di una corretta comunicazione fra le parti, anche perche’, come ci insegna Rogers, gli aggettivi definiscono l’altro per come noi lo percepiamo, ma non è detto che l’altro sia o si senta così realmente.
- Ascolto attivo: Chi ascolta “riflette” il contenuto del messaggio dell’altro restituendoglielo con parole diverse. Questo permette di verificare se il messaggio così come lo si è compreso è corretto. L’ascolto attivo non rimanda solo il contenuto verbale del messaggio, ma riflette i sentimenti espressi dal comunicante e percepiti dall’ascoltatore, ossia il contenuto emotivo.
Per diventare ”attivo”, l’ascolto deve essere aperto e disponibile non solo verso l’altro e quello che dice, ma anche verso se stessi, per ascoltare le proprie reazioni, per essere consapevoli dei limiti del proprio punto di vista e per accettare il non sapere e la difficoltà di non capire.
Un esempio di ascolto
Facciamo un esempio: siamo in azienda alla pausa caffe’ di fronte la macchinetta, B incontra A
A: (muove il piede in modo nervoso e si rosicchia un’unghia). “Uff…” (sbuffa).
B: Mi sembri nervoso, è così?
A: Sì! Sono di nuovo in ritardo con la consegna del progetto, mi stanno tutti col fiato sul collo!
B: Immagino… capita anche a me quando le richieste sono pressanti
A: Non so che fare! Spaccherei qualcosa!
B: Sei molto arrabbiato, vedo! Cosa può esserti realmente utile vista la situazione?
Esempi di frasi introduttive dell’ascolto attivo sono:”Ti senti…”; “Mi stai dicendo che…”; “Mi pare di capire…” Così chi parla si sente compreso, ascoltato, ma non giudicato.
Inoltre l’esempio ci mostra come B non dia soluzioni ad A. Solitamente, quando ascoltiamo una persona che ci confida un problema, siamo tesi a trovare soluzioni: “perche’ non fai così?”; “io farei cosà” etc. Niente di più sbagliato per il nostro interlocutore! Chi ha un problema ha bisogno sì di esporlo, perche’ così facendo già riesce a prenderne una consapevolezza diversa, ma ha anche necessità di trovare da solo una soluzione, benche’ spesso dica il contrario. Ogni volta che diamo una soluzione, svalutiamo colui che abbiamo di fronte e non solo, incorriamo anche nel rischio che l’altro torni arrabbiato, perche’ la nostra soluzione è stata fallimentare.
Ciò succede perche’ le nostre soluzioni partono dalle nostre esperienze, dai nostri vissuti che non possono mai essere le stesse dell’altra persona. Quindi è sufficiente ricordarci che, al posto del dare un consiglio, possiamo formulare una semplice domanda: “come pensi di poter risolvere questa situazione?” (A-A). In questo modo permettiamo all’altro di sperimentare e di conseguenza incrementare la sua capacità di pensiero laterale. La soluzione non deve piacere a noi, ma a chi la cerca e, se dovesse essere quella sbagliata, intanto avrà avuto la possibilità di apprendere un meccanismo che lo aiuta ogni volta che ha necessità di trovare soluzioni: il pensiero attivo.
I principali elementi che caratterizzano una buona attività di ascolto quindi sono:
- sospendere i giudizi di valore e l’urgenza classificatoria, cercando di non definire a priori il proprio interlocutore o quanto egli dice in ”categorie” di senso note e codificate (“quello che dice è una giustificazione, è un altro che non ha voglia di lavorare”).
- osservare ed ascoltare, raccogliendo tutte le informazioni necessarie sulla situazione contingente, ricordando che il silenzio aiuta a capire e che il vero ascolto è sempre nuovo, non è mai definito in anticipo in quanto rinuncia a un sapere già acquisito (“quando si siede così deve dirmi qualcosa di brutto”).
- mettersi nei panni dell’altro / dimostrare empatia, cercando di assumere il punto di vista del proprio interlocutore e condividendo, per quello che è umanamente possibile, le sensazioni che manifesta.
- verificare la comprensione, sia a livello dei contenuti che della relazione, riservandosi, dunque, la possibilità di fare domande aperte per agevolare l’esposizione altrui e migliorare la propria comprensione (“mi sembra di capire che le scadenze ti mettono agitazione, è così?”).
- curare la logistica, facendo attenzione al contesto fisico-spaziale dell’ambiente in cui si svolge la comunicazione per agevolare l’interlocutore e farlo sentire il più possibile a proprio agio (parlare in mezzo a un corridoio guardando continuamente l’orologio non facilita ne’ l’ascolto ne’ la comunicazione).
Ciò che è importante sottolineare, è che da questa modalità di ascolto è escluso non solo il giudizio, ma anche dare consigli se non espressamente richiesti, quindi la tensione del dover darsi da fare per risolvere eventuali problemi espressi dal proprio interlocutore. In conclusione possiamo comprendere meglio evitando fraintendimenti e facendo decisamente meno fatica!
Comunicazione efficace
Il comportamento assertivo è quel comportamento attraverso il quale si affermano i propri punti di vista, senza prevaricare ne’ essere prevaricati. Si esprime attraverso la capacità di utilizzare in ogni contesto relazionale la modalità di comunicazione più adeguata. Potremmo anche definire l’assertività come quel punto d’equilibrio fra uno stile comunicativo passivo e uno aggressivo. Con essa viene adottato uno stile comunicativo che permette all’individuo di esprimere le proprie opinioni, le proprie emozioni e di impegnarsi a risolvere positivamente le situazioni e i problemi.
Caratteristiche del tipo aggressivo
Il soggetto con questo stile è una persona che non rispetta i limiti degli altri, è concentrato sui propri desideri senza badare a coloro che gli sono intorno. Per fare questo utilizza qualsiasi mezzo a propria disposizione, anche distruttivo e violento. La tendenza è quella di dominare gli altri e l’unico obiettivo che si pone è il potere personale e sociale. Esempi comunicativi che utilizza sono dare ordini, criticare, giudicare, deridere, ridicolizzare, mettere in guardia, cambiare argomento.
Caratteristiche del tipo passivo
Il soggetto con uno stile di comunicazione passivo pensa più ad accontentare gli altri che non se stesso, è facilmente influenzabile e subisce le situazioni senza opporsi. È un soggetto che non riesce ad esprimere adeguatamente i propri bisogni e le proprie esigenze. Il suo obiettivo è ottenere il consenso di tutti ed evitare qualsiasi forma di contrasto con gli altri. Esempi comunicativi: accetta tutto e il contrario di tutto di quello che gli viene detto e/o proposto.
I livelli dell’assertività
La struttura concettuale dell’assertività è basata sulla funzionalità di cinque livelli:
- capacità di riconoscere le proprie emozioni, il cui obiettivo riguarda l’autonomia emotiva e la percezione delle emozioni senza il coinvolgimento negativo legato alla presenza di altre persone (arrossire, balbettare, vergognarsi, etc.). Questo ci rende capaci di percepire immediatamente se ciò che ascoltiamo ci piace o meno, ci trova concordi o meno.
- capacità di comunicare emozioni e sentimenti senza vergognarsi (” quando mi dici così mi sento…”).
- la consapevolezza dei propri diritti nel senso di avere rispetto per se’ e per gli altri (reciprocità).
- disponibilità ad apprezzare se stessi e gli altri (“anche se abbiamo idee diverse andiamo bene entrambi”).
- capacità di auto-realizzarsi e di poter decidere sui fini della propria vita. Per raggiungere tale obiettivo è necessario possedere un’immagine positiva di se stessi, fiducia e sicurezza personale. Il possedere tali caratteristiche comporta una maggiore capacità di autocontrollo, di intervento sulle situazioni e di soluzione dei problemi, un “ambiente interno” rilassante che permette di percepire le difficoltà non come occasioni negative di frustrazione, ma come ostacoli da superare abilmente.
Essere assertivi ci permette quindi di arrivare anche ad una buona risoluzione dei conflitti. Anche in questo caso Gordon [1] ci viene in aiuto con una tecnica assertiva semplice e molto efficace, il “messaggio io”.
La tecnica del messaggio io (o “del confronto”) si compone di tre momenti:
- descrizione del comportamento che crea il problema, senza esprimere un giudizio;
- descrizione dell’effetto tangibile e concreto che il problema ha su chi parla;
- descrizione degli effetti soggettivi del problema.
Un esempio di comportamento comunicativo
Facciamo un esempio: durante una riunione di team, il project manager sta spiegando a un collaboratore una fase del progetto mentre un altro parla al telefono:
Reazione aggressiva: “Basta sei un maleducato, falla finita subito!”
Reazione assertiva tramite il confronto: “Se continui a chiacchierare al telefono (descrizione del comportamento che crea problema senza giudicarlo) io mi innervosisco perche’ faccio molta più fatica a spiegare queste cose al nostro collega (effetto del comportamento) e poi ci mettiamo molto più tempo a finire (effetto soggettivo).
Come si può notare, in tale tecnica non viene espressa nessuna valutazione sulla persona che compie l’azione, ma la si pone di fronte agli effetti del suo atto e ai sentimenti/reazioni che esso provoca negli altri. Non più quindi “Tu sei…”, ma “io sento” (per questo, nella frase di esempio, “io” è in grassetto). Tale tecnica è di una forza insospettabile, soprattutto perche’ mette a nudo gli stati d’animo di chi la usa. Ci è stato insegnato che chi si espone è sempre il più debole, ma chi usa la tecnica del confronto scopre che in verità mettersi a nudo di fronte a l’altro lo rende più forte, perche’ si pone sullo stesso livello comunicativo; inoltre la potenza dell’Io sta nel prendersi la responsabilità di ciò che sentiamo senza scaricarla all’altro, che non sentendosi attaccato, non troverà altro modo che interrompere il comportamento disturbante.
Quindi risulta chiaro come migliorare le capacità di espressione, ascolto e comprensione, che sono considerate quelle più importanti tra le competenze basilari di un dipendente, permette una corretta e ampia comprensione tra colleghi che facilita la condivisione delle proprie idee, la risoluzione dei conflitti e la condivisione della conoscenza.
Conoscenza e fiducia dell’altro
Il valore aggiunto del raggiungimento di un ottimo ascolto e di una buona comunicazione è il sentirsi parte di qualcosa di grande non solo come “ruolo” o “numero” ma come persona. Sfruttando le potenzialità di tali tecniche, infatti, si possono creare gruppi di lavoro in cui i membri percepiscono un forte senso di appartenenza poiche’ si sentono integrati, si vedono come elementi importanti per garantire il buon funzionamento della macchina, quindi riconosciuti.
Avere una buona comunicazione permette altresì di evitare messaggi coperti: essere assertivi ci rende autentici, quindi, seppur differenti gli uni dagli altri, la chiarezza permette una buona convivenza e un senso di fiducia nell’altro (“so esattamente cosa pensa”).
Questo clima di fiducia e di conoscenza dell’altro permette alle organizzazioni di raggiungere i loro obiettivi nei tempi prefissati in quanto la motivazione dei dipendenti aumenta (“mi piace lavorare in quest’azienda”) e di conseguenza, con essa, cresce la produttività.
Infatti, in alcuni casi, un comportamento poco accettabile o non consono all’azienda, da parte di un dipendente, proviene da una mancanza o da una perdita di motivazione. Se la motivazione non esiste, o se è stata logorata a causa di eventi avvenuti in un certo periodo di tempo, una persona potrebbe provare una sensazione di esaurimento per cui, anche il benche’ minimo desiderio di sforzarsi a fare team building con colleghi o collaboratori sarebbe uno sforzo vano. Potrebbe sentire che non ha più niente da dare o non credere abbastanza in quello che gli è stato chiesto di fare per lavorare sodo e fare uno sforzo extra.
La mancanza di motivazione può provenire da una mancanza di ricompensa nei lavori poco pagati, anche se spesso i soldi, per quanto importanti, non costituiscono la vera motivazione. Tutti noi quando lavoriamo abbiamo bisogno di credere che il lavoro che stiamo facendo abbia uno scopo, ed è importante che questo scopo sia percepito: questo rende la motivazione generale più alta.
Inoltre, la specializzazione di competenze che ogni individuo apporta al gruppo alimenta il know how del team stesso, aumentando la qualità del lavoro, suo e degli altri, in uno scambio continuo di pratiche, metodi e conoscenze finalizzato a garantire al gruppo una produzione di qualità sotto molteplici punti di vista. Nel lavoro di squadra l’interesse personale è subordinato agli interessi aziendali, questo permette a tutti i membri del team di finalizzare l’impegno del gruppo verso un concreto raggiungimento degli obiettivi. Il lavoro di squadra agevola il processo di identificazione dell’individuo in un gruppo, fornendo motivazioni e spinte adeguate all’integrazione delle persone, alla chiarezza dei ruoli e alla distribuzione dei compiti in base alle competenze di ciascuno.
Obiettivi e focus condivisi
Il lavoro di gruppo può essere definito come “uno stato di unità realizzato all’interno di un team di individui che lavorano per un vantaggio economico specifico“. Il team building viene utilizzato per definire e sviluppare il coordinamento e la cooperazione tra i membri di una funzione organizzativa che, lavorando insieme, hanno bisogno di comprendere quali dinamiche regolano la vita interna di un gruppo di lavoro.
Ci sono vantaggi concreti nella costruzione di un valido team working, come la pianificazione di una procedura metodologica che accomuni i punti di vista delle persone sulla gestione dell’operatività quotidiana o l’apprendere un regolamento interno al gruppo che ne sancisca i tempi di incontro durante le riunioni o per eventuali aggiornamenti relativi a progetti di lunga durata.
La finalità dovrebbe essere responsabilizzare ogni membro del gruppo verso gli obiettivi che il team stesso si propone di raggiungere; trattasi di dare valore al contributo del singolo in termini di potenziale e di qualità da condividere con gli altri individui per raggiungere i risultati in maniera precisa e integrata. Il lavoro di gruppo assicura che il compito, distribuito a tutti i membri del gruppo, venga eseguito con uno sforzo congiunto; la divisione del lavoro e il riconoscimento delle specifiche di ruolo di ogni membro facilita la circolazione delle informazioni rendendo il “sistema gruppo” una solida base di confronto per lo sviluppo di progetti e lo scambio di idee.
Essere una buona squadra facilita una distribuzione equa del lavoro sia all’interno dell’organizzazione sia tra i membri del team, garantendo che ogni persona o unità funzionale esegua i propri compiti con la migliore efficienza possibile. La divisione del lavoro, inoltre, permette di svolgere il lavoro nei tempi preventivati, rispettandone limiti e scadenze; la capacità di saper trasferire velocemente le informazioni all’interno del team da parte di ogni suo membro aumenta l’efficacia organizzativa, riducendo i rischi di perdita dei dati e, di fronte all’imprevisto, il vantaggio migliore di essere una squadra è che l’onere del fallimento è a carico di tutti i membri della squadra e non cade soltanto sulle spalle di una sola persona.
Concludendo: i quattro step per la costruzione di una “squadra”
Nella pratica, quattro sono i punti cardini da toccare quando si tratta di team building: mission aziendale, leadership, valorizzazione delle risorse, comunicazione efficace.
Mission aziendale
Tutti i dipendenti di un’azienda devono essere allineati con gli obiettivi di quest’ultima, quindi il primo passo è condividere la filosofia aziendale, i valori, la visione commerciale. Questo rende espliciti obiettivi nascosti dei dipendenti e risveglia la motivazione nei “vecchi”.
Leadership
Individuare una o più figure di riferimento che dovranno avere la capacità di far sì che tutti, in un gruppo, siano entusiasti di ciò che stanno realizzando insieme. Oltre a tenere alto il morale di una squadra, il leader fornisce coordinazione, cooperazione e coinvolgimento. L’attività “formativa” dei leader si esplica nel fornire delle valutazioni sull’operato del gruppo utili a correggersi, nel riconoscere e premiare i punti di forza e i risultati, nell’assegnare compiti che stimolino e accrescano le abilità dei singoli.
Valorizzazione delle risorse
Lo stress che viene accumulato dal personale aziendale nella maggior parte dei casi è dovuto alla mancata valorizzazione delle risorse di ogni singolo. L’errore è quello di allineare le figure invece che valorizzarne le differenze in modo che diventino fonte di stimolo. La maggior parte delle persone è entusiasta di espandere le proprie abilità, assumersi nuove responsabilità e fronteggiare nuove sfide ma è importante che questo processo avvenga senza che abbiano l’impressione che gli si stiano “scaricando addosso le cose”.
Comunicazione efficace
Quando si parla di comunicazione efficace, essa cresce sia migliorando quella del singolo individuo che interna all’azienda. Ognuno secondo i propri ruoli e compiti deve conoscere le attività e i risultati raggiunti dagli altri componenti. Per questa ragione è bene stabilire dei flussi di comunicazione efficienti che consentano la circolazione delle conoscenze e la valorizzazione di tutte le competenze presenti nel gruppo (giornale aziendale; sito internet; avvisi in bacheca). Comunicazione che tenga di conto anche l’aspetto “emotivo”del gruppo perchè una mail non riesce a trasmettere fino in fondo il sentire ed è importante non sottovalutare quanto le dinamiche personali possano impattare negativamente sul successo di un lavoro. Aumentare la capacità di comunicare efficacemente con l’obiettivo di affrontare subito i conflitti riducendo lo stress, gli errori e le incomprensioni, e di conseguenza, ottenere una maggiore produttività.
È di facile comprensione come il valore di una formazione orientata al team building consenta alle persone di acquisire consapevolezza delle proprie capacità, riconoscere quelle altrui e imparare a prendere decisioni di gruppo, responsabilizzandosi.
Riferimenti
[1] T. Gordon, “Genitori efficaci”, 1994
[2] T. Gordon, “Leader efficaci”, 1999
[3] B. Bertani e M. Manetti, “Psicologia dei gruppi. Teoria, contesti e metodologie d’intervento”, 2007