In questa puntata della nostra serie sugli aspetti psicologici del Project Management, analizziamo alcuni meccanismi di interazione ‘tipici’ che si instaurano tra le persone. L’Analisi Transazionale classifica tali meccanismi con il nome di ‘giochi’, nel senso di attività svolte secondo un preciso piano, ma la parola ‘gioco’ va intesa in senso diverso rispetto a quanto si fa nel linguaggio comune.
Introduzione
Prosegue la serie di articoli dedicati all’analisi degli aspetti psicologici nella gestione dei progetti alla luce di quanto ci suggerisce l’Analisi Transazionale. Nelle puntate precedenti abbiamo introdotto i concetti fondamentali dell’Analisi Transazionale: partendo dai vari Stati dell’Io abbiamo visto come l’interazione fra questi desse vita alle cosiddette Transazioni. Tramite le descrizioni dei vari tipi di transazioni catalogate da Eric Berne (ideatore della Analisi Transazionale) si è visto come sia possibile analizzare le relazioni che si instaurano tra le persone, anche in ambito aziendale. Abbiamo poi affrontato il tema del bisogno di riconoscimento.
Questo mese introdurremo la teoria dell’analisi dei “giochi” cercando di apprendere come questa possa permetterci di capire determinate dinamiche relazionali; il tutto può contribuire a migliorare la comunicazione, il clima in azienda e la produttività.
La teoria dei “giochi”
Nella teoria e nella pratica dell’AT, i “giochi” psicologici rivestono un ruolo fondamentale in quanto possiedono due particolari caratteristiche: una che riguarda specificamente la clinica (cioè l’intervento in psicoterapia, argomento che esula dagli obiettivi di questa serie di articoli), l’altra come teoria della comunicazione. Secondo l’accezione dell’Analisi Transazionale i “giochi”, infatti, sono fenomeni comunicativi estremamente diffusi e sono disfunzionali, vale a dire che non risultano utili per la creazione di una comunicazione chiara; creano quindi problemi relazionali. Si verificano nel contesto delle relazioni significative, ossia quelle parentali, amicali, o lavorative strette. Nel suo importante lavoro, Eric Berne ha individuato, descritto e analizzato meccanismi di interazione fra persone dando vita al concetto di gioco psicologico. I “giochi” hanno una struttura tipica, costituita da una serie di mosse in sequenza, stabilite e ricorrenti: è da questo andamento che nasce la denominazione “gioco”, in quanto siamo in presenza di una “manovra strategica”.
La definizione di “gioco”
Berne definisce il gioco come “una serie di transazioni ulteriori ripetitive a cui fa seguito un colpo di scena con uno scambio di ruoli, un senso di confusione accompagnato da uno stato d’animo spiacevole come risultato finale, in termini di rinforzo di convinzioni negative su di se’, sugli altri, sul mondo.” Le parole usate in questa definizione saranno analizzate nello specifico più avanti.
I giochi descritti da Berne sono strettamente correlabili con il concetto di conflitto: essi, da un lato, in gran parte, rappresentano degli esempi tipici di conflitto comunicativo, aperto o coperto (poi spiegheremo cosa si intende), dall’altro vengono espressamente riconosciuti quali fonte e alimento dei conflitti relazionali.
Poco sopra abbiamo usato il concetto di transazioni ulteriori, a significare che sono scambi transazionali che si ripetono nel tempo e hanno un doppio livello di comunicazione: uno sociale manifesto (o aperto) e uno psicologico nascosto e inconsapevole (o coperto). Quando queste transazioni mostrano il messaggio psicologico nascosto, (si parla in questo caso di un vero e proprio colpo di scena) si verifica uno scambio di ruoli con il mutare delle posizioni psicologiche e comportamentali dei “giocatori”. Ad esempio chi negli scambi relazionali era accogliente e comprensivo può diventare rifiutante, intollerante o anche depresso, chi si mostrava richiedente attenzioni può diventare aggressivo o colpevolizzante.
Questo mutare dei ruoli determina un forte senso di confusione, di smarrimento (“Ma cosa succede?”) e stati d’animo negativi (tristezza, rabbia, paura, senso di inadeguatezza e di depressione, etc.) che rinforzano precise convinzioni, altrettanto negative, su se stessi, sugli altri, sul mondo (per esempio: “è proprio vero, non ci si può fidare di nessuno”). Ciò costituisce quello che Berne definisce il tornaconto del gioco, cioè la conseguenza che pone fine al gioco.
Struttura dei meccanismi dei giochi
Nel suo libro del 1964 “Games People Play” [1], Berne descrive le caratteristiche generali dei “giochi” attraverso l’analisi di alcuni dei più frequenti, fornendone un’ampia antologia. Ai giochi che identifica e analizza Berne, egli assegna un nome, un titolo; per fare qualche esempio possiamo partire da quello che è stato il primo a essere isolato e analizzato, tanto da dare spunto al concetto stesso di gioco, ossia il cosiddetto “Perche’ non…? Sì, ma”, meccanismo di interazione che è considerato essere il più approfondito e forse uno dei più socialmente diffusi. Altri “giochi” altrettanto importanti sono:
- “Tutta colpa tua”
- “Ti ho beccato, figlio di puttana”
- “Sto solo cercando di aiutarti”
- “Il goffo pasticcione”
- “Gamba di legno”
- “Burrasca”
- “Violenza carnale”
- “Tribunale”
Un esempio di gioco in Analisi Transazionale
In questo caso analizziamo proprio il “Perche’ non… Sì, ma”: l’esempio di dialogo è quello tra un PM o responsabile che parla con il capo progetto (o comunque con una persona dello staff operativo) relativamente al mancato rispetto di determinate metriche di quality assurance:
A: “Non riesco a rispettare la qualità prefissata.”
B: “Perche’ non fate dei test di qualità?”
A: “Sì, ma costa troppo, e poi chissà se si farebbero mai test giusti.”
B: “Perche’ non definisci tu i test?”
A: “Sì, ma non ho tempo e non è il mio compito.”
B: “Perche’ non lo fai fare agli analisti funzionali?”
A: “Sì, ma non c’è commitment…”
Come è facile notare, la conversazione potrebbe andare avanti all’infinito se solo uno dei due alla fine non si arrabbiasse o irrigidisse nei confronti dell’altro. Il vero intento di chi risponde non è valutare i suggerimenti dell’altro da una posizione Adulto – Adulto, ma dimostrare l’immutabilità della situazione, ottenendo quelli che si pensano essere tre vantaggi:
- dimostrare di saperne di più: “se nessuno può aiutarmi è perche’ nessuno ha le mie conoscenze!”;
- mostrare di essere vittima delle circostanze: è un modo di non prendersi la responsabilità di ciò che accade ma di riversarla sull’altro;
- mantenere lo status quo: resta inattaccato il proprio equilibrio circa le convinzioni che abbiamo ormai da tempo circa noi, gli altri, il mondo.
Tutto questo è fuori dalla consapevolezza dell’Adulto e soprattutto sono tre vantaggi personali non relazionali, cioè ognuno dei giocatori arriva alle proprie conclusioni senza rendere partecipe l’altro.
Modelli di analisi e descrizione dei giochi
Berne utilizza tre modelli per analizzare e descrivere i giochi: Formula G, il Diagramma Transazionale, il Triangolo Drammatico. Sono tre modelli descrittivi che servono a dare lo stesso significato partendo da analisi differenti. Il lettore è libero di scegliere il modello che gli è più congeniale per poi applicarlo alla propria realtà con lo scopo di riconoscere i giochi e possibilmente bloccarli o non partecipare del tutto.
La Formula G
La Formula G analizza lo sviluppo dei giochi, individuando una sequenza ordinata di mosse fisse, che permette di stabilire se realmente si è in presenza di un gioco. Le mosse previste sono le seguenti, identificate da nomi ben definiti:
- Gancio: stimolo con cui, a partire da una svalutazione, si tenta di agganciare l’altro.
- Anello: punto debole che fornisce la disponibilità a giocare.
- Risposta: serie di transazioni sociali che indicano che il gancio è stato accolto. Momento in cui un giocatore cambia la comunicazione (modifica la transazione) e quindi la relazione con l’altro (ruolo psicologico).
- Scambio: momento in cui entrambi gli interlocutori modificano i propri stati dell’Io e ruoli nel dialogo.
- Confusione: momento di sorpresa e di confusione dove gli interlocutori presi alla sprovvista da tale scambio e dalla piega presa dalla conversazione si chiedono cosa stia succedendo.
- Tornaconto: o risultato finale, consistente in uno stato d’animo spiacevole finale del gioco che conferma in entrambi i giocatori le convinzioni di copione.
Se analizziamo il gioco precedentemente descritto del “Perche’ non… Sì, ma” (l’interazione tra il PM e il capo progetto) tramite la Formula G, questo è quello che possiamo leggere:
- il gancio parte da A da una chiara svalutazione delle proprie capacità: “Ah, non riesco a rispettare la qualità prefissata”;
- B offre un anello al gancio rispondendo al proprio bisogno di fornire aiuto e sentirsi “capace” dando una serie di suggerimenti pratici: “Hai provato a… e…?”;
- il gioco prosegue con una serie di transazioni complementari in cui B fornisce più suggerimenti sentendosi confuso dai continui rifiuti;
- l’esito è negativo per entrambi (tornaconto del gioco), perche’ alla fine nessuno dei due ha risposta ai propri bisogni: A non ha una soluzione, B si sente frustrato per non essere stato capace di fornire una soluzione.
Il Diagramma Transazionale
Un altro modo che Berne utilizza per analizzare i giochi è tramite la descrizione delle transazioni ulteriori. In figura 1, vediamo una rappresentazione grafica dello stesso gioco che abbiamo visto poco prima:
Il triangolo drammatico
Un altro modo di analizzare i giochi è attraverso la descrizione delle differenti “posizioni esistenziali” o ruoli che ricopriamo all’interno del gioco. I ruoli del gioco vengono così così descritti da Berne:
- Persecutore: vede gli altri in una posizione d’inferiorità, come persone che non vanno bene e li perseguita da una posizione di superiorità.
- Salvatore: vede gli altri in una posizione di inferiorità, come persone che non vanno bene e offre aiuto da una posizione di superiorità; la sua convinzione è “devo aiutare gli altri perche’ non sono capaci di aiutarsi da soli”.
- Vittima: vede se stesso in una posizione di inferiorità, come persona che non va bene.
Le frecce della figura 2 indicano esattamente il cambio di ruoli che i vari attori impersonano durante lo svolgimento del gioco. In questo cambio di ruoli; secondo il modello ipotizzato da Berne, il repentino passaggio da una posizione all’altra porta i vari attori prima in confusione e poi verso un sentimento spiacevole.
Nel caso dell’esempio visto, questo è quanto possiamo leggere applicando il modello del “triangolo drammatico”:
- l’individuo A prima si pone come vittima incapace di assolvere ai propri compiti: “non sono capace di…”;
- B risponde come salvatore: “tu non sei capace, ma ti suggerisco io la soluzione”;
- dopo pochi scambi A diventa il persecutore facendo capire all’altro che tanto B non è in grado di aiutarlo (rifiuta ogni soluzione fornitagli);
- a questo punto B passa in una posizione di vittima: “non sono capace di aiutarti!”.
In un gioco c’è sempre l’alternanza di ruoli; se non c’è non siamo in presenza di un gioco psicologico come lo intende Berne.
Perche’ si instaurano i giochi psicologici?
Nonostante la conclusione sia sempre spiacevole, l’individuo manifesta comunque il bisogno di intraprendere i “giochi” come intesi nella Analisi Transazionale. Vediamo di seguito alcune delle ragioni fondamentali.
Carezze
Come abbiamo visto nell’articolo precedente della serie, in AT le “carezze” sono rinforzi positivi o negativi che comunque rispondono al nostro bisogno di riconoscimento da parte degli altri, proprio come per un bambino che cerca conforto e rassicurazione nella figura genitoriale di riferimento. Una delle ragioni per cui le persone “giocano” ai vari giochi identificati da Berne consisten proprio nell’ottenere carezze. La crescita del bambino si può descrivere come la sperimentazione e l’apprendimento di strategie atte all’ottenere carezze. Ma le carezze positive, cioè gradevoli, non sempre si ottengono facilmente; spesso una carezza ruvida è più a portata di mano, o addirittura è l’unica disponibile. Per questo il gioco finisce per essere il modo preferito, più complicato ma più immediato da realizzare, per ricevere carezze: gli stessi genitori, attraverso ciò che dicono o i comportamenti che mettono in atto, insegnano ai propri figli i giochi a cui sono abituati.
Percezione esistenziale
I giochi servono anche a mantenere, o almeno cercare, la propria percezione esistenziale, cioè l’idea che si ha di se stessi rispetto agli altri: superiore, inferiore, paritaria. Non mantenerla significa rischiare di perdere il proprio equilibrio psicologico.
Strutturazione del tempo
Un’altra esigenza cui vengono incontro i giochi, è quella di soddisfare il bisogno di strutturare il tempo: la strutturazione del tempo si può definire programmazione di tipo materiale, sociale e individuale. Esclusa la prima, che ha la funzione essenzialmente di permettere una valutazione di dati, le altre due hanno a che fare con conversazioni che si risolvono in scambi regolati dal criterio della accettabilità sociale e con scambi che tendono a seguire schemi ben definiti come lo sono appunto i “giochi”. Come abbiamo visto nell’articolo precedente della serie, i vari modi che si possono realizzare per strutturare il tempo servono alle persone per “alimentarsi” di carezze; sono cioè sistemi per dare e avere carezze o riconoscimenti.
Il “giocare” quindi è anch’esso un modo per soddisfare le fami primarie di stimoli e di riconoscimenti. Se riconsideriamo quanto visto circa il bisogno che abbiamo di strutturare il tempo, (l’isolamento, i rituali, i passatempi e le attività), i giochi consentono alle persone un forte coinvolgimento emotivo e relazionale, pur se negativo.
Come gestire i giochi: il ruolo del Project Manager
Ognuno di noi tende a mettere in atto giochi di vario tipo: fin qui, con le informazioni fornite, abbiamo visto come riconoscerli. Vediamo ora cosa possiamo fare per non esserne coinvolti o per bloccarli sul nascere. In questo senso, è importante saper riconoscere i bisogni e i sentimenti coinvolti nella relazione con l’altro, in modo da essere capaci di scegliere modi adeguati ed efficaci per gestirli.
Quando ci troviamo di fronte ad un gioco messo in atto da un altro abbiamo tre possibilità:
- ignorare il gioco rispondendo all’altro da una posizione diversa (stato dell’Io Adulto);
- bloccare il gioco subito incrociando la transazione (quindi ancora una volta spostare la conversazione su un piano di Io Adulto);
- confrontare la svalutazione che è il punto di partenza del gioco, incoraggiando l’altro (sempre da una posizione di Io Adulto) a sperimentare le emozioni collegate a ciò che sta svalutando stimolandolo a individuare in modo diretto i propri bisogni e desideri.
Riprendiamo l’esempio
Ritorniamo al nostro esempio del gioco “Perche’ non… Sì, ma”.
A: “Non riesco a rispettare la qualità prefissata.”
B: “Perche’ non fate dei test di qualità?”
A: “Sì, ma costa troppo, e poi chissà se si farebbero mai test giusti.”
Partendo dalla svalutazione effettuata da A, vediamo di seguito il modo in cui B avrebbe potuto non cadere nel meccanismo del gioco, passando a una transazione corretta.
A: “Non riesco a rispettare la qualità prefissata.”
B: “Sai dirmi per quale motivo?”
Qui B sta raccogliendo informazioni, non ha un atteggiamento accusatorio, non dà soluzioni, non fa prosopopee; stimola invece l’altro a pensare, quindi è impossibile che A non sappia rispondere!
A: “…”
B: “Capisco quello che dici. Hai una soluzione da proporre?”
…e così via
Mantenere una posizione di obiettività, tenendo la transazione su stati dell’Io Adulto, permette di non svalutare l’altro, in quanto lo stimoliamo a pensare, a riconoscere i propri bisogni, a trovarsi le soluzioni più consone. Questo atteggiamento è il primo passo per trovare soluzioni insieme, buone per entrambi.
Conclusione
In questa parte della nostra serie sugli aspetti psicologici del Project Management, abbiamo parlato dei “giochi” in Analisi Transazionale, concludendo l’illustrazione dei meccanismi alla base delle “transazioni” fra persone. Il nostro percorso, però, non si conclude qui, ma continua con altri articoli legati alle tematiche psicologiche e alle dinamiche dei gruppi. Il mese prossimo, infatti, proseguiremo parlando del team building, analizzando i diversi aspetti coinvolti nella creazione e nell’amalgama delle squadre di persone che devono lavorare (a tutti i livelli) insieme.
Riferimenti
[1] Eric Berne, “Games People Play: The Psychology of Human Relationships”, 1964 (trad. it. “A che gioco giochiamo”, Bompiani, 1987)