In questa nuovo articolo della serie sulle retrospettive, affrontiamo il cambiamento in senso ‘collettivo’, cioè analizzando le dinamiche che riguardano il gruppo come entità. Esistono degli strumenti che consentono di mettere a fuoco quello che succede in un processo di cambiamento di gruppo, e qui ne presentiamo uno piuttosto efficace.
Migliorarsi continuamente… sì, ma…
Negli articoli precedenti abbiamo parlato varie volte di miglioramento continuo e abbiamo visto come non sia una cosa regolare e costante ma piuttosto un percorso fatto di alti e bassi, dove la tendenza generale è (o dovrebbe essere…) verso “l’alto”, verso una situazione globalmente migliore.
Una delle possibili ragioni per un tale comportamento “oscillante” è senza dubbio la dinamica del gruppo, come abbiamo visto nella puntata precedente: un gruppo che non è in performing non sarà probabilmente in grado di decidere modi per migliorarsi, o quantomeno non riuscirà a farlo con la dovuta efficienza.
Ma anche un gruppo in performing potrebbe avere difficoltà a cambiare. E questo per altri motivi che non hanno nulla a che vedere con la dinamica e sono relativi al contesto in cui il team opera e a qual è il suo compito al momento. In questa puntata analizzeremo proprio questi problemi…
Dinamiche del cambiamento
Miglioramento vuol dire cambiamento. Cambiamento vuol dire una decisione, conscia o inconscia che sia, di abbandonare il “vecchio” per raggiungere un “nuovo”. Ma c’è decisione e decisione. Pensate alla vostra esperienza in questo campo: talvolta una decisione è per voi scontata: “just do it!”; talvolta però è una cosa sofferta, dove ponderate per ore, settimane o addirittura mesi se cambiare o no. Talvolta non vi sembrava neppure di dover prendere una decisione, finchè vi è apparso chiaro che era necessario prenderne una.
Tali dinamiche, che tutti abbiamo sperimentato prima o poi nella nostra vita, sono presenti anche nella vita di un team, anche nelle retrospettive. Se, in qualità di facilitatori di una retrospettiva, vogliamo supportare questo processo di cambiamento, dobbiamo essere in grado di capire come avviene una decisione ed essere in grado di utilizzarne i momenti salienti.
Il tetralemma
Il modello che vi presenterò in questo articolo è il tetralemma applicato a una decisione di cambiare; si tratta di un modello poco noto e, da quanto mi risulta, pressochè sconosciuto nella letteratura agile, ma a mio parere è cruciale per capire la logica con cui un team decide di migliorarsi.
Il modello originale del tetralemma proviene dalla logica tradizionale indiana, dove viene introdotto il concetto che, in una scelta fra due opzioni A e B, A e B non sono le uniche due opzioni possibili. Potrebbe essere possibile scegliere anche una qualche forma di combinazione di A e B oppure qualcos’altro che non sia nè A nè B. Ovviamente non parliamo di logica binaria in questo caso, ma del modo in cui noi esseri umani solitamente prendiamo decisioni e in cui una tale modalità operativa è comune.
Due studiosi tedeschi, Insa Sparrer e Matthias Varga von Kibed, hanno ripreso questo modello e lo hanno integrato e applicato alla terapia e al coaching. Per la versione che vi riporto in questo articolo, ho provveduto a dare al modello una rappresentazione grafica semplice da ricordare.
Figura 1 – La rappresentazione grafica del nostro modello per individuare le situazioni del cambiamento.
Ogni elemento grafico rappresenta una delle situazioni in cui un team si trova nel decidere un cambiamento. Nei prossimi paragrafi andremo a discutere le varie situazioni.
Situazione 1: Ma l’iceberg non c’è…
Supponiamo di essere in una situazione A e di essere perfettamente soddisfatti di A: non sentiamo alcun bisogno di cambiare. La situazione potrebbe anche essere esplosiva, ma finchè non ce ne rendiamo conto non avremo alcun interesse e alcun stimolo a cambiare:
Figura 2 – La situazione potrebbe essere esplosiva, anche se non ce ne rendiamo conto.
Il fatto che venga vista da qualcuno come una situazione “esplosiva” e da cambiare, non vuol dire che il team la veda come tale. Anche sul Titanic non erano preoccupati fino a che non hanno visto l’iceberg…
Questa situazione si può riconoscere facilmente perchè i membri del team sono convinti di essere sulla strada giusta. Quando il team è in questa situazione, i suoi componenti non saranno certamente in grado di prendere decisioni di cambiamento. Il modo migliore con cui potete accompagnarli è quello di stare a fianco a loro, introducendo dissonanza, cioè evidenziando che quello che stanno facendo a lungo andare non funziona più o che potrebbero esserci modi migliori di procedere. Ma non fatevi illusioni: non sono pronti a decidere di cambiare e non cambieranno. Almeno per ora!
Situazione 2: Vogliamo andare via da…
Quando finalmente sarete riusciti a far capire al team che la situazione attuale non è adeguata, sarete in grado di far raccogliere al team le energie per “muoversi“ via dalla situazione attuale. Il team si rende conto che deve andare via dalla situazione attuale, senza però necessariamente sapere che direzione prendere. Nella gergo della psicologia della motivazione siamo nella situazione in cui abbiamo una chiara motivazione “via da” che per certe persone è un motivatore fondamentale!
Figura 3 – La motivazione “via da” spinge a muoversi, ma non indica la direzione.
Quando il team è in questa situazione, il vostro miglior contributo come facilitatori è quello di supportare il gruppo ad usare questa motivazione “via da”: create consenso sul fatto che bisogna cambiare, discutete cosa succede se il team non cambia, generate la consapevolezza che il team ha le risorse necessarie per cambiare!
Certo, la motivazione “via da” è importantissima, ma non sempre quando vogliamo andare via da una certa situazione sappiamo dove andare…
Situazione 3: Siamo nella nebbia!
Ok, vogliamo cambiare, andiamo via da una situazione che non ci va più bene. Ma verso dove? Quali sono le nostre opzioni? Pensate a quante volte avete visto un team, o magari anche una o più persone che conoscete al di fuori della vostra vita lavorativa, che non sanno in che direzione andare e cosa vogliono veramente.
Questa è una situazione molto comune nel mondo aziendale: c’è un problema, vogliamo risolvere il problema (= andare via dal problema) ma non sappiamo qual è l‘alternativa. Peggio ancora: diverse persone hanno idee diverse su quale sia il percorso “via dal problema”. Siamo nella nebbia…
Figura 4 – Siamo nella nebbia. Qual è la direzione da seguire?
Come facilitatori, il nostro miglior contributo in questa situazione è quello di aiutare il team a tematizzare e discutere le varie opzioni, valutando pro e contro, impostando insieme a loro degli esperimenti che ci permettano di capire quale delle strade possibili è la più utile. Inoltre ogni decisione e cambiamento coinvolge sia aspetti logici che emotivi: diamo spazio ad entrambi, facciamo parlare il team non solo della decisione come cosa razionale, ma anche come processo che impatta le emozioni dei singoli!
Situazione 4: Voglio… ma non voglio
Molto spesso quando la nebbia comincia a diradarsi, il team comincia a oscillare tra due o più posizioni: voglio cambiare… ma non voglio cambiare; belle le nuove possibilità… ma anche dov’eravamo prima non si stava poi così male, e così via.
In questa situazione il lavoro migliore che un facilitatore possa fare è quello di evidenziare questo effetto ricordando al team quanto avevano deciso, metterli a confronto con la loro oscillazione e le loro ambiguità in modo da farli decidere per una qualche opzione.
Figura 5 – La fase di oscillazione, in cui si è fatta la scelta per il nuovo, ma si torna anche a guardare indietro.
Ovviamente potrebbero anche prendere una decisione diversa da quelle discusse precedentemente: potrebbe essere un compromesso o magari un’alternativa totalmente nuova. Il pericolo di questa situazione è che il team continui ad oscillare tra il vecchio e il nuovo, in una perenne indecisione che, alla lunga, può portare a conflitti e divisioni.
Situazione 5: Ma è dura: ci sono ostacoli!
Una volta “scoperto” in che direzione andare, il cammino è più chiaro, ma spesso e volentieri ci sono ostacoli e la strada è difficile. Questo è il caso tipico in cui il team ha capito in che direzione andare ma, per vari motivi, non hanno le energie per procedere.
Figura 6 – Gli ostacoli si frappongono sulla nostra rotta verso il cambiamento.
Tipico esempio è, nella mia esperienza, la creazione di un sistema di continuous integration su una base di codice legacy: è chiaro che serve, è chiaro quali siano i vantaggi, ma per essere utile è necessario avere una certa copertura di test che al momento manca e serviranno energie rilevati per arrivare ad un qualcosa di utile.
In questo caso il vostro ruolo di facilitatore è più vicino a quello di motivatore: ribadite quali sono gli obbiettivi che il team si era dato, ribadite l’importanza di tali obbiettivi, ricordate l’energia positiva che il team aveva quando hanno deciso un tale cambiamento, ribadite cosa cambierà quando avranno raggiunto il risultato!
Situazione 6: Ci siamo quasi!
In questa situazione il team ha in vista l‘obbiettivo e sa come raggiungerlo. Ci siamo quasi. Potrebbe essere necessario ancora un po’ di tempo, ma il team ha tutte le risorse per portare a casa il risultato, non ci sono ostacoli rilevanti da superare.
Figura 7 – L’obbiettivo è in vista: non è ancora raggiunto, ma è chiaro dove è e quale sforzo occorre compiere per coprire l’ultimo tratto che ci separa da esso.
In questa situazione il team è di solito auto-motivato: la vicinanza all’obbiettivo e la relativa linearità nel raggiungerlo fa sì che l’altro tipo di motivazione in psicologia, la “verso a” diventi rilevante. Il team non ha più bisogno di voi: lasciateli semplicemente lavorare!
L’arte del facilitatore
Per me l’arte del facilitatore è quella di capire in quale delle situazioni precedenti si trova il team e agire di conseguenza. Purtroppo vedo di frequente situazioni in cui il coach o lo ScrumMaster agiscono diversamente. Vi faccio un po’ di esempi di fallimenti.
Nella “mitologia” del coaching agile viene posta molta enfasi sull’aspetto motivazionale del cambiamento: per cambiare serve “solo” la volontà. Ecco che anche autori conosciuti puntano molto sul motivare il team. Ma se il team è nella situazione di nebbia, dove il problema è trovare una strada adeguata, l’intervento motivazionale ottiene l’unico risultato di frustrare persone già frustrate per conto loro per la situazione in cui si trovano.
Ho visto spesso coach far pressione su un team, ma anche su un’intera organizzazione, per cambiare qualcosa che per loro era importante, ma l’organizzazione era nella “situazione 1”, dove non vedono/capiscono il problema. Inutile dire che è fiato sprecato. Anzi, se il coach si intestardisce sul tema, rischia anche di farsi dei nemici, creando così resistenza al cambiamento, e ritardandolo.
Ho visto dei casi di team che sapevano dove voler arrivare e come: la strada era in discesa, quindi una “situazione 6”, e lo ScrumMaster che li frenava chiedendo al team se sono sicuri, quali sono vantaggi e svantaggi della scelta fatta. In una tale situazione il team ha deciso e stanno lavorando per l’obbiettivo. Se dove vogliono arrivare è sub-ottimale, ci lavoreremo in futuro, ma per adesso non blocchiamo la motivazione a raggiungere il risultato comunque buono!
Riconoscere la situazione
Curiosamente, riconoscere la situazione in cui il team si trova è una cosa relativamente semplice. Nonostante un minimo di sbilanciamento cognitivo, buona parte degli ScrumMaster e dei coach che usano questo modello sono in grado, dopo un breve periodo di esercizio, di riconoscere dove si trova il team. A quel punto ci sono ben poche classi di interventi applicabili ad ogni situazione ed è facile trovare un modo per supportare il team.
Tabella 1 – Uno schema riassuntivo delle situazioni di dinamiche del cambiamento, con le caratteristiche che permettono di individuarle e gli interventi suggeriti.
Conclusioni
La dinamica del team è importante, ma l’essere in grado di contestualizzare dove si trova il team nel processo decisionale del cambiamento è un’elemento importante del continuous improvement. A mio parere, questa capacità è fondamentale per ogni facilitatore di retrospettiva e, visto in maniera più ampia, per ogni ScrumMaster e per ogni manager che voglia supportare l’auto organizzazione del team.
A partire dalle prossime puntate della serie, vedremo invece tutta una serie di metodi pratici per retrospettive. Nel prossimo articolo parleremo di come applicare alle retrospettive il Solution Focus, tecnica sviluppata nell’ambito della terapia della famiglia e utilizzata tutt’oggi in psicologia e nel business coaching.
Riferimenti
E. Ferrari, “Wege aus dem Dilemma”, Ferrari Media 2011 (in tedesco)