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Nel numero:

220 settembre
, anno 2016

Storytelling: storie, narrazione, comunicazione

III parte: Trasmettere il messaggio

Martina Rigoni
Martina Rigoni

Martina Rigoni è laureata in Performing Arts. Si occupa di "storie" nell'accezione più ampia possibile esplorando nuovi metodi di narrazione orale, anche attraverso il gioco ed il videogioco.

Dal 2011 al 2015 ha lavorato presso la Compagnia di Storytelling "Raccontamiunastoria". Ha rappresentato la Federazione Italiana Storytelling alla Conferenza FEST (Federazione Europea Storytelling) che si è svolta a Kea in Grecia nel 2015. Ha contribuito all'organizzazione di numerose edizioni del Festival Internazionale di Storytelling svoltesi a Roma e Bolzano, e ha partecipato a svariati altri eventi tra cui "Beyond The Border, Festival di Storytelling in Galles".

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Storytelling: storie, narrazione, comunicazione

III parte: Trasmettere il messaggio

Picture of Martina Rigoni

Martina Rigoni

  • Questo articolo parla di: Project Management, Soft skills

La consapevolezza di ciò che si vuole comunicare

Trasmettere il messaggio, avendone consapevolezza. Si tratta di uno degli argomenti più complessi da affrontare: quando instauriamo un dialogo, quale tipo di messaggio vogliamo comunicare a chi ci ascolta?

Le risposte possono sembrare semplici: dimostrare il valore delle proprie capacità, o che il prodotto presentato è di alta qualità, o che la nostra idea è migliore rispetto alle altre presentate.

Ma come dimostrare tutto questo? Con un discorso fatto bene ovviamente: attraverso gli esercizi visti nell’articolo precedente [1] abbiamo un’immagine chiara di quello che vogliamo dire, e possiamo quindi esporre al meglio il nostro messaggio.

E se vi dicessi che non basta? O meglio, che il messaggio trasmesso con le parole è soltanto l’ultima parte che viene effettivamente ascoltata? Allora tutto quello detto precedentemente è solo una perdita di tempo? No, niente affatto: ma si tratta semplicemente solo di una delle fasi dello storytelling.

Tre elementi per lo storytelling

Il lavoro di creazione con lo storyteling potrebbe essere sintetizzato con un’immagine: un triangolo ai cui vertici ci sono “Immagine”, “Energia” e “Corpo”.

Figura 1 – Tre elementi dello storytelling: immagine, energia, corpo.
Figura 1 – Tre elementi dello storytelling: immagine, energia, corpo.

 

Dell’immagine abbiamo parlato precedentemente vedendo come arriviamo alla parola attraverso l’utilizzo di immagini. Ma, per raggiungere poi un equilibrio, dobbiamo invece affrontare gli altri due elementi presenti nei vertici del triangolo. E partiamo dalla cosa più astratta: l’energia.

 

Storytelling ed energia

La Fisica descrive l’energia come “la grandezza fisica che misura la capacità di un corpo o di un sistema fisico di compiere lavoro, a prescindere dal fatto che tale lavoro sia o possa essere effettivamente svolto”.

Nel nostro caso il sistema fisico che prendiamo in considerazione siamo noi stessi e la nostra capacità di trasmettere il messaggio come “lavoro”: l’energia che trasmettiamo nel comunicare influenza profondamente le parole che utilizziamo.

Possiamo essere degli straordinari poeti ma se, nel recitare una nostra poesia, abbiamo la voce bassa per timidezza o, peggio, sbadigliamo perché siamo stanchi, quello che noi abbiamo creato arriverà all’ascoltatore come qualcosa di non interessante. Al tempo stesso l’eccessiva energia impedirà, a chi ci ascolta, di seguire pienamente il discorso e cogliere il messaggio, perché verrà travolto dalla nostra presenza o peggio, ne risulterà intimorito o infastidito.

Esercizi pratici con il respiro

Come fare dunque? In un laboratorio di storytelling la prima cosa che invito i partecipanti a fare è camminare nella stanza e, in silenzio, ascoltare il proprio respiro. Questo funziona sia come metodo per preparare al lavoro che per sciogliere eventuali nervosismi.

La respirazione influenza l’energia che abbiamo dentro: un respiro ansioso e rapido porterà un’energia alta e nervosa, mentre il respiro di chi dorme è lento, così come la sua energia è bassa. Questi sono solo due esempi, ma ogni giorno respiriamo in almeno una decina di modi diversi, a seconda della situazione che abbiamo di fronte.

Tra l’altro il respiro è una funzione vitale, e pertanto una costante della nostra vita; per questo motivo, spesso non ci rendiamo conto di come respiriamo se non in momenti di sforzo fisico o, peggio, quando ci manca il respiro in situazioni particolari.

Figura 2 – Lo stretto rapporto tra respirazione ed “energie” è ben conosciuto da molte discipline psicofisiche tradizionali, come lo Yoga o il Qi Gong.
Figura 2 – Lo stretto rapporto tra respirazione ed “energie” è ben conosciuto da molte discipline psicofisiche tradizionali, come lo Yoga o il Qi Gong.

 

L’esercizio che consiglio può essere svolto sia in piedi camminando, che da seduti durante i momenti di pausa: provate ad ascoltare il vostro respiro in quel momento. È un respiro di petto o di pancia? Come mai state respirando in questo modo? Siete tranquilli, rilassati o nervosi? Come è possibile cambiare questa energia con il respiro? Provo ad accelerarlo un pochino o a rallentarlo?

Così come l’osservazione dell’immagine ci permette di raggiungere la parola conseguente, l’osservazione del nostro respiro ci permette di capire il tipo di energia che stiamo utilizzando in quel momento e se è quella giusta o meno.

Equilibrio di energie

Dunque si tratta di un equilibrio tra energie alte e basse, da momenti di calma a quelli di entusiasmo, dove trasmettere al meglio ciò che vogliamo dire: un Team Leader può urlare entusiasta alla propria squadra, ma deve anche riuscire a focalizzare l’attenzione sull’obiettivo usando un’energia diversa.

Mi torna in mente l’esempio di Stefano Giacché [2], partecipante al #Play14 di Milano [3]: mi raccontò che, quando era capo scout, per parlare ai suoi lupetti invece che alzare la voce, gridare per cercare di attirare l’attenzione e dunque usare un’energia alta, preferiva un’energia bassa e sicura, con un tono di voce altrettanto basso e tranquillo. I lupetti, non aspettandosi questo tipo di atteggiamento, si ammutolivano per concentrarsi e riuscire ad ascoltarlo.

La consapevolezza di quale energia usare la si acquista con la pratica ma è anche possibile addestrarla: un un buon esercizio è quello del “Termometro”. Si tratta di un esercizio da fare preferibilmente in due: così come il mercurio si abbassa con la temperatura fredda e si alza con la temperatura calda, allo stesso modo chi parla dovrà cambiare energia mentre parla, andando da una più bassa e calma ad una più alta e forte; a scegliere l’energia sarà chi ascolta, tenendo una mano in posizione orizzontale e alzandola o abbassandola ogni volta che vorrà fare il cambio di energia. Dopo cinque, massimo dieci minuti, ci si cambia di ruolo.

In questo modo l’esercizio acquista una doppia valenza: non solo si fa pratica con la propria energia, ma si ascolta quella dell’altra persona e la si aiuta ad ascoltarsi e a migliorarsi. È un esercizio che coinvolge anche la fiducia, non solo in sé stessi ma anche nei confronti di chi ascolta.

 

Storytelling e corpo

Il terzo e ultimo vertice del triangolo riguarda il corpo. È mai capitato, a qualcuno di voi, di essere interrogato a scuola ma di non aver studiato? In classe mia succedeva con una certa regolarità, e ricordo chiaramente l’atteggiamento fisico mio e dei miei compagni o compagne di classe.

Spesso eravamo a testa bassa, con gli occhi rivolti verso il banco, cercando così di evitare lo sguardo della professoressa, la quale però aveva una predilezione per questo tipo di atteggiamenti; una volta in piedi la schiena s’ingobbiva leggermente e il passo verso la lavagna era lento, quasi funereo in certi casi… Con questa fisicità dimessa la voce che usciva era quasi sempre bassa, insicura, e l’energia era al pari di una bava di vento: inconsistente, tanto che mandava la professoressa fuori di testa.

Figura 3 — Le professoresse sembrano accorgersi dall’atteggiamento fisico se uno studente si è preparato o meno…
Figura 3 — Le professoresse sembrano accorgersi dall’atteggiamento fisico se uno studente si è preparato o meno…

 

Chi invece sapeva le cose aveva testa dritta così come la schiena, lo sguardo sicuro verso il docente o i compagni di classe, e la voce usciva chiara e e forte, così come la sua energia era solida come una roccia.

I tre lati del triangolo

Con questo esempio è subito chiaro perché lo storytelling è facilmente rappresentabile con un triangolo equilatero (figura 1): ogni lato influenza gli altri due, e l’assenza di uno spezza l’equilibrio degli altri. Così possiamo avere un’ottima parlata e una buona energia ma, se avremo una fisicità che non coincide con il messaggio che vogliamo inviare, rischiamo di perdere chi ci ascolta.

Qualche esercizio

L’esercizio dell’ascolto del respiro comprende non solo riconoscere e in caso modificare la propria energia, ma riguarda anche il nostro stato fisico: come sta il mio corpo con questo respiro? Dove sono le mie spalle, la schiena, la testa? Se sto camminando, qual è il mio passo? Se sono seduto, come sono messe le mie gambe?

Durante #Play14 Milano [3] ho mostrato e fatto provare questo esercizio, e molti che seguivano il laboratorio mi hanno dato diversi feedback su come, ascoltando il proprio respiro, hanno provato a cambiare e aggiustare il loro assetto fisico sentendo immediatamente la differenza.

Questo tipo di ascolto sarà molto utile quando tratteremo la comunicazione tra colleghi che condividono lo stesso spazio: l’ascolto degli altri facilita noi stessi quando si tratta di stabilire con loro una comunicazione.

Ma, tornando a noi, oltre all’ascolto, bisogna anche fare pratica per ascoltare, conoscere e capire il nostro corpo e le sue esigenze quando dobbiamo parlare con terzi; un esercizio particolare ma molto utile è quello di raccontare una fiaba interpretando i vari personaggi.

Cappuccetto Rosso, la volta scorsa, ci era servita per creare l’immagine e a migliorarla nel dettaglio; riprendiamo ora la fiaba e, forti delle immagini che siamo riusciti a crearci, proviamo a raccontarla — o a raccontarcela davanti allo specchio se ci sentiamo timidi — cercando adesso di dare un’interpretazione ai vari personaggi: Cappuccetto Rosso, la nonna, il lupo… ognuno di loro avrà una fisicità diversa. In base ad essa proviamo a dare un’energia e una voce ai vari personaggi.

Per chi ha figli, questo esercizio è un buon modo per raccontare le storie della buonanotte, o per passare un po’ di tempo divertendosi con i propri bambini; per chi invece non ha figli, è un modo per mettersi alla prova e, se si ha voglia di osare un po’ si possono usare brani di romanzi, racconti brevi o quello che si vuole, purché sia un lavoro che stimoli l’immaginazione e l’energia, e da esse si arriverà anche a dare forma con il proprio corpo.

 

Conclusioni

Dunque ora abbiamo le immagini, abbiamo l’energia e il corpo per riuscire a dare il nostro messaggio. Siamo ora consapevoli di cosa stiamo dicendo e del come lo stiamo dicendo? Siamo ora in grado di comunicare il nostro messaggio al meglio? La risposta la lascio ai lettori…

 

Martina Rigoni
Martina Rigoni

Martina Rigoni è laureata in Performing Arts. Si occupa di "storie" nell'accezione più ampia possibile esplorando nuovi metodi di narrazione orale, anche attraverso il gioco ed il videogioco.

Dal 2011 al 2015 ha lavorato presso la Compagnia di Storytelling "Raccontamiunastoria". Ha rappresentato la Federazione Italiana Storytelling alla Conferenza FEST (Federazione Europea Storytelling) che si è svolta a Kea in Grecia nel 2015. Ha contribuito all'organizzazione di numerose edizioni del Festival Internazionale di Storytelling svoltesi a Roma e Bolzano, e ha partecipato a svariati altri eventi tra cui "Beyond The Border, Festival di Storytelling in Galles".

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