Ognun per sé?
L’uomo è un animale sociale e, come diceva Giorgio Gaber, “non è fatto per stare solo, il suo bisogno di contatto è naturale come l’istinto della fame” [1].
Il contatto, la comunicazione permette lo svilupparsi di idee e azioni e la crescita personale come quella della comunità. Ha anche dei difetti, che ultimamente sono riscontrabili specie nel mondo del web: la “mala-comunicazione” porta allo sfociare di aggressività e comportamenti razzisti o comunque discutibili non solo da parte dell’individuo, ma anche da parte della comunità stessa.
E poi, diciamocela tutta: come noi non possiamo stare simpatici a tutto il mondo, così non tutto il mondo ci sta simpatico, è naturale. Ma come fare quando questo tipo di problematica è presente in ufficio? Alzi la mano chi non ha mai sentito o fatto, neanche una volta nella sua vita, una lamentela nei confronti del suo collega di lavoro, che sia d’ufficio o meno.
Dall’antipatia al lavoro di squadra
Questa situazione può diventare problematica nel momento in cui dobbiamo fare un Team Work, un Brain Storming, o comunque un tipo di lavoro collettivo è c’è lui/lei, il/la collega di lavoro che non riusciamo a sopportare, con cui facciamo difficoltà a comunicare o più semplicemente che non conosciamo e non sappiamo come gestire. Che fare?
Nell’articolo precedente abbiamo visto e conosciuto i tre elementi base dello Storytelling: energia, corpo e immagine. Proviamo a sfruttarli nuovamente, questa volta per la comunicazione con i nostri colleghi.
Corpo e respiro
Cominciamo con il Corpo, e soprattutto con il respiro. Non mi stancherò mai di ripetere l’importanza di ascoltare la propria respirazione e conseguentemente lo stato del nostro corpo: è un piccolo momento per noi, anche di stacco dai nostri impegni, in cui possiamo fermarci e staccare il cervello, concentrandoci su come il nostro corpo sta reagendo di fronte alla situazione.
Questo però può anche diventare un momento di osservazione di ciò che ci circonda, con uno sguardo più rilassato: in stati d’animo come nervoso o ansioso o impaziente, o comunque quando siamo molto concentrati su un obiettivo, tendiamo più a guardare che a vedere, ovvero tendiamo a concentrarci più su quello che effettivamente ci interessa piuttosto che alla situazione in generale. Proviamo invece ad osservare tranquillamente i nostri colleghi, ovviamente cercando di essere discreti, non vogliamo certo metterli a disagio!
Osservazione in ascolto
Facendo formazione, ho la possibilità di osservare le persone presenti quando sono in ascolto o quando eseguono esercizi da soli; in quei momenti in cui non si sentono sotto osservazione rivelano tanti piccoli dettagli del loro modo di fare che mi aiutano a capire chi sono, a partire dal loro modo di sedersi.
Sono appoggiate allo schienale? E come? le spalle toccano il supporto per la schiena e il corpo è in posizione di rilassamento? Oppure sono seduti con la schiena dritta, in posizione di attenzione e concentrazione?
Un esempio è osservare la loro posizione quando sono in ascolto nei confronti di qualcuno: vi capita mai di notare come alcune persone tendano ad incrociare le braccia? Quello può essere definito come un segno di chiusura nei confronti di quello che si sta ascoltando o comunque di protezione nei confronti di chi ci parla. Io stessa mi rendo conto di farlo, anche perché sono tendenzialmente timida.
Altra cosa interessante è osservare i loro possibili tic nervosi, o come li definiva un mio insegnante di Movimento Scenico “movimenti inconsulti, che il nostro corpo usa per scaricare tensione ma che il nostro cervello non registra”. In teatro questo tipo di gestualità distraeva il pubblico e facevano uscire l’attore dal personaggio, ma nella vita di tutti i giorni sono ottimi segnali da captare e studiare.
Quando il nostro collega ha questo tic? Quando è rilassato o quando è concentrato su qualcosa?
Tutte queste osservazioni della fisicità del nostro collega ci aiutano in seguito, di fronte a varie situazioni di stress — come un Brain Storming, o un colloquio con il capo, o la presentazione di un progetto — a riconoscere e capire il tipo di energia che emana e comportarci di conseguenza. Sun Tzu diceva: “se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia.” [2]
Ovviamente qui non siamo in guerra, ma è chiaro che a volte vediamo i colleghi di lavoro come ostili o come degli alieni con cui non sappiamo bene come comportarci e la cosa importante è avere coscienza di tale atteggiamento ed essere consapevoli di noi stesso e di loro.
“Aprire” lo spazio dell’ufficio
Bene, abbiamo osservato il collega, un pochino abbiamo iniziato a conoscerlo, ma come ci comportiamo con lui quando dobbiamo fare un lavoro di squadra?
Durante il #Play14 a Milano sono stata avvicinata da un tecnico che mi ha espresso le sue perplessità di fronte la possibilità di fare esercizi di storytelling come “Fotografia” (di cui ho parlato nel mio primo articolo di questa serie) assieme ai suoi colleghi di lavoro, dato che troverebbero la cosa stupida o potrebbero non capirne il potenziale.
È normale: dopotutto questo tipo di esercizi tendono a rompere e invadere lo “spazio privato” di una persona, ossia quella specie di cerchio attorno a noi al cui interno possono entrare solo determinate persone, solitamente quelle che conosciamo di più o di cui ci possiamo fidare, come amici o parenti o i nostri partner; ma all’interno di una situazione “di ufficio” quello spazio diventa una sorta di fortezza, una protezione con la quale difenderci da eventuali situazioni spiacevoli.
Estroversi e introversi
Le persone estroverse tenderanno sempre a lasciar entrare nello spazio privato, non solo perché sono più sicure di quelle introverse, ma anche per vanità: a molte persone estroverse piace essere al centro dell’azione e magari guidarla, per poter avere in cambio l’ammirazione o comunque i complimenti dei colleghi.
Al contrario, alle persone introverse piace molto di più un lavoro fatto al di fuori delle “luci del palcoscenico”, poche persone fidate di cui parlare e tendenzialmente lavorare in silenzio e/o in solitudine. Di fronte ad atteggiamenti troppo espansivi o comunque aggressivi tendono più alla fuga o all’autodifesa.
L’osservazione fatta precedentemente aiuta anche in questo, a distinguere il tipo estroverso da quello introverso, soprattutto se si vuole proporre degli esercizi di gruppo: in base alle persone che fanno parte del proprio team bisogna essere in grado di avere proposte diverse, non solo in base al tipo di progetto che si vuole creare ma anche in base ai caratteri che si hanno in squadra.
Esercizi pratici
“Fotografia” lo trovo adatto per stimolare la creatività e l’ascolto di gruppo, dato che bisogna comunque ricordare quello che i colleghi hanno proposto e visualizzarlo all’interno dell’immagine.
Un altro esercizio che stimola la creatività e il confronto è “Concludi la storia”: si racconta una storia al gruppo, che può essere sia una fiaba come un racconto reale, e si lascia sospeso il finale, invitando chi ascolta a proporre nuovi possibili finali alternativi; personalmente mi diverte molto farlo, e preferisco sempre non raccontare mai il vero finale della storia, anche per continuare a stimolare la creatività.
Un’alternativa al “Concludi la storia” è trovare o comunque sostituire il vocabolo di una frase: si prende un testo narrativo conosciuto, si estrae una frase di senso compiuto abbastanza corposa o un breve estratto, e se ne toglie una parola, preferibilmente un aggettivo, e si invita gli altri a indovinarlo o anche a sostituirlo con delle alternative.
Dal punto di vista creativo è estremamente interessante come una sola parola possa cambiare interamente il senso di una frase, e questo esercizio può essere sfruttato anche nella fase di preparazione di presentazione dell’eventuale progetto o prodotto.
Conclusioni
Sono sicura che molto di voi saranno ancora scettici: non si tratta solo di essere estroversi o introversi, si tratta anche di essere visti come dei pazzi visionari o degli storditi dai propri colleghi nel proprio posto di lavoro. È una scommessa che mi trovo ad affrontare io stessa quando mi devo presentare nei confronti di un’azienda.
Per questo dico che è molto importante avere un’immagine forte di quello che si vuole presentare, e anche di come noi vogliamo presentarci all’altra persona: la nostra sicurezza darà un valore aggiunto a quello che vogliamo proporre.
È quella stessa sicurezza e consapevolezza che hanno i nudisti: niente mette più a disagio una persone dello stare nuda in mezzo alla folla, con addosso la continua sensazione di non essere adeguato, o di essere costantemente giudicato per il proprio aspetto fisico. Quindi, se ci sono persone che hanno la forza e la sicurezza di poter vivere la loro vita restando “come mamma le ha fatte”, allora io posso avere tranquillamente la forza di poter proporre ad altri i miei progetti e il lavoro che voglio fare, no?