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268 gennaio
, anno 2021

Vita da Scrum Master

VII parte: Lo Scrum Master come facilitatore. Assiomi della comunicazione

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Giovanni Puliti

Giovanni Puliti ha lavorato per oltre 20 anni come consulente nel settore dell’IT e attualmente svolge la professione di Agile Coach. Nel 1996, insieme ad altri collaboratori, crea MokaByte, la prima rivista italiana web dedicata a Java. Autore di numerosi articoli pubblicate sia su MokaByte.it che su riviste del settore, ha partecipato a diversi progetti editoriali e prende parte regolarmente a conference in qualità di speaker. Dopo aver a lungo lavorato all’interno di progetti di web enterprise, come esperto di tecnologie e architetture, è passato a erogare consulenze in ambito di project management. Da diversi anni ha abbracciato le metodologie agili offrendo ad aziende e organizzazioni il suo supporto sia come coach agile che come business coach. È cofondatore di AgileReloaded, l’azienda italiana per il coaching agile.

Scrum Master Life

Vita da Scrum Master

VII parte: Lo Scrum Master come facilitatore. Assiomi della comunicazione

Giovanni Puliti

Giovanni Puliti

  • Questo articolo parla di: Lean/Agile, Organizzazione aziendale, Processi di sviluppo, Project Management, Scrum, Soft skills

Comunicazione efficace per lo Scrum Master

Nell’articolo precedente abbiamo introdotto il concetto di ascolto attivo parlando di come sia importante conoscerne la tecnica di base per essere più efficaci quando si deve facilitare una conversazione o un meeting.

Per comprendere meglio questo punto, ossia quanto sia importante saper ascoltare per comunicare in maniera efficace e come questo sia legato alla facilitazione, è necessario fare una parentesi e introdurre un po’ di teoria della comunicazione. Per i lettori che già conoscono questi cinque assiomi, consiglio di saltare direttamente all’articolo successivo, pubblicato su questo stesso numero, dove vedremo il modo in cui la comunicazione attiva è utile per essere un bravo facilitatore.

Gli assiomi della comunicazione

Verso la fine degli anni Sessanta del secolo scorso, lo psicologo e filosofo austriaco naturalizzato statunitense Paul Watzlawick e altri ricercatori della cosiddetta scuola di Palo Alto concentrarono il loro lavoro di ricerca sui rapporti tra comunicazione e interazione.

Nel 1967, assieme a J.H. Beavin e D.D. Jackson, Watzlawick  pubblicò una pietra miliare della psicologia mondiale, Pragmatica della comunicazione umana; in questo libro l’autore, ormai fortemente convinto che l’esistenza umana avesse sempre e comunque un aspetto relazionale e uno legato al contesto, arrivò a formulare i cosiddetti assiomi della comunicazione.

Queste “leggi”, che hanno modificato in modo radicale la psicologia contemporanea, sono ormai considerati le colonne portanti di buona parte della teoria della comunicazione, tanto da essere citate in molteplici contesti: dalla psicologia comportamentale, al public speaking, dal marketing al product management.

Per uno Scrum Master, questi principi diventano strumenti indispensabili per mediare una conversazione, facilitare un meeting o guidare un workshop di inception;  servono per impedire fraintendimenti, incomprensioni, sovrapposizioni o inibizioni fra le persone del team. Prima di vedere nel dettaglio perché e come — ne parliamo nella parte VIII —, vediamo quali sono i cinque assiomi della comunicazione.

1. Non si può non comunicare

Ogni volta che interagiamo con una persona, sia che si parli o che si resti in silenzio, che si muova il corpo o che si rimanga immobili, di fatto stiamo comunicando qualcosa.

Quando parliamo non è solo il cosa diciamo che conta, ma conta il tono della voce, l’espressione, il colore che diamo ai concetti, la mimica del corpo.

Anche quando restiamo in silenzio, stiamo comunicando qualcosa: potrebbe essere che non siamo in accordo o non abbiamo alcuna voglia di dare inizio a una discussione; viceversa potremmo essere ammutoliti semplicemente per ammirazione. Potrebbe essere timidezza, disinteresse, supponenza, passività.

Ogni nostra azione quindi possiede un significato che non può non essere comunicato agli altri. Non esiste un non-comportamento, tutto ha un valore di messaggio che comunica e influenza gli altri (e viceversa).

Non ha senso quindi chiedersi se stiamo o non stiamo comunicando, ma occorre invece capire “cosa” e “come” stiamo comunicando, sempre, in ogni situazione o contesto.

2. Ogni atto comunicativo ha un livello di contenuto e uno di relazione, tale per cui il secondo conferisce significato al primo

Quando comunichiamo verbale, il reale significato delle nostre parole viene fornito dal contesto o dalla specifica relazione che si con il nostro interlocutore.

Il contenuto del messaggio trasmette un’informazione. La relazione dice all’altro come deve interpretare tale informazione. “Ma dài… ma cosa diavolo hai combinato?” assume un significato differente se ci viene detto da una persona con la quale abbiamo estrema confidenza e che nutre affetto nei nostri confronti  — si sta preoccupando per noi —  oppure se ce lo dice un collega con il quale abbiamo una relazione di subordinazione — ci sta rimproverando — oppure uno sconosciuto con cui abbiamo solo un rapporto formale.

3. La natura di una relazione dipende dalla “punteggiatura” delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti

Due persone che comunicano lo fanno tramite una serie ininterrotta di scambi di informazioni. Ognuno dei due contribuisce con il proprio punto di vista che usa anche per interpretare i messaggi dell’altro.

La comunicazione è quindi un continuo scambio di informazioni dove ognuno pone una punteggiatura per organizzare la struttura di tale sequenza, per stabilire quindi i nessi di causa ed effetto.

La “punteggiatura” quindi tende a diversificare la relazione che si instaura tra le persone coinvolte nella comunicazione e ne definisce i rispettivi ruoli: essi punteggeranno gli scambi in maniera che questi risultino organizzati entro modelli di interazione più o meno convenzionali.

4. Le persone comunicano sia analogicamente (metacomunicazione) che digitalmente (contenuto)

Per comunicazione “analogica” si intende quella che avviene tramite l’utilizzo di messaggi non verbali, di relazione. Quella “digitale” intende invece il contenuto verbale vero e proprio.

La comunicazione non verbale — la posizione del corpo, le espressioni del viso, i gesti — unitamente a quella paraverbale — tono di voce, colore delle frasi — danno senso alla parte verbale — le parole — della comunicazione.

Secondo una teoria ricavata da uno studio del 1967 dello psicologo Albert Mehrabian, il linguaggio del corpo (non verbale) influirebbe nei confronti dell’interlocutore per il 55%, la voce (paraverbale) per il 38%, mentre il contenuto specifico (verbale) solamente per il 7%. Va anche detto che Mehrabian in seguito ha smentito decisamente questa teoria derivata dai suoi studi, affermando che  “A meno che un comunicatore non stia parlando dei propri sentimenti e atteggiamenti, queste equazioni non sono applicabili”.

Resta comunque invariata la convinzione di gran parte degli studiosi che la parte analogica della comunicazione rivesta una significativa importanza. Ancor prima del cosa inseriamo nel messaggio, è il come noi lo comunichiamo che spiega al nostro interlocutore il modo in cui va interpretato quello che stiamo comunicando.

5. Gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza

L’interazione simmetrica è caratterizzata dall’uguaglianza: in questo caso si rispecchia il comportamento dell’altro. Il processo opposto contraddistingue l’interazione complementare, basata sulla differenza, in cui si hanno due diverse posizioni, up (superiore) e down (inferiore), in cui il comportamento di uno tende a complementare quello dell’altro.

Conclusione

Questo breve articolo ci è servito per introdurre i 5 assiomi. Nel prossimo vedremo più in dettaglio il modo in cui questi possono esserci d’aiuto nel mestiere del facilitatore.

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Giovanni Puliti

Giovanni Puliti ha lavorato per oltre 20 anni come consulente nel settore dell’IT e attualmente svolge la professione di Agile Coach. Nel 1996, insieme ad altri collaboratori, crea MokaByte, la prima rivista italiana web dedicata a Java. Autore di numerosi articoli pubblicate sia su MokaByte.it che su riviste del settore, ha partecipato a diversi progetti editoriali e prende parte regolarmente a conference in qualità di speaker. Dopo aver a lungo lavorato all’interno di progetti di web enterprise, come esperto di tecnologie e architetture, è passato a erogare consulenze in ambito di project management. Da diversi anni ha abbracciato le metodologie agili offrendo ad aziende e organizzazioni il suo supporto sia come coach agile che come business coach. È cofondatore di AgileReloaded, l’azienda italiana per il coaching agile.

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Giovanni Puliti ha lavorato per oltre 20 anni come consulente nel settore dell’IT e attualmente svolge la professione di Agile Coach. Nel 1996, insieme ad altri collaboratori, crea MokaByte, la prima rivista italiana web dedicata a Java. Autore di numerosi articoli pubblicate sia su MokaByte.it che su riviste del settore, ha partecipato a diversi progetti editoriali e prende parte regolarmente a conference in qualità di speaker. Dopo aver a lungo lavorato all’interno di progetti di web enterprise, come esperto di tecnologie e architetture, è passato a erogare consulenze in ambito di project management. Da diversi anni ha abbracciato le metodologie agili offrendo ad aziende e organizzazioni il suo supporto sia come coach agile che come business coach. È cofondatore di AgileReloaded, l’azienda italiana per il coaching agile.
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Nello stesso numero
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Blast from the past

I parte: Che cosa sono le metodologie agili?

Vita da Scrum Master

VIII parte: Lo Scrum Master come facilitatore. I cinque assiomi nella facilitazione

Tic-tac-Jolie

IV parte: Il microservizio “giocatore”

Nella stessa serie
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XV parte: Cosa deve saper fare uno Scrum Master, in sintesi

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XIV parte: La facilitazione e la struttura di un meeting

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XIII parte: Punti di attenzione nella facilitazione

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XII parte: Lo Scrum Master come facilitatore. Gli stili relazionali manipolativo e assertivo

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XI parte: Lo Scrum Master come facilitatore. Gli stili relazionali passivo e aggressivo

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X parte: Lo Scrum Master come facilitatore. Dare e ricevere feedback

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IX parte: Lo Scrum Master come facilitatore. Gestire il sabotaggio nella comunicazione

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VIII parte: Lo Scrum Master come facilitatore. I cinque assiomi nella facilitazione

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VI parte: Lo Scrum Master come facilitatore. L’ascolto attivo

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V parte: L’arte della facilitazione. Introduzione e sommario

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IV parte: Supporto all’organizzazione

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III parte: Tra tradizione e innovazione. Meccaniche di base, sperimentazione e metriche

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II parte: Lo Scrum Master come Agile Coach

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I parte: Una panoramica sui compiti e sulle responsabilità dello SM

Mokabyte

MokaByte è una rivista online nata nel 1996, dedicata alla comunità degli sviluppatori java.
La rivista tratta di vari argomenti, tra cui architetture enterprise e integrazione, metodologie di sviluppo lean/agile e aspetti sociali e culturali del web.

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