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Nel numero:

274 luglio
, anno 2021

Vita da Scrum Master

XIV parte: La facilitazione e la struttura di un meeting

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Giovanni Puliti

Giovanni Puliti ha lavorato per oltre 20 anni come consulente nel settore dell’IT e attualmente svolge la professione di Agile Coach. Nel 1996, insieme ad altri collaboratori, crea MokaByte, la prima rivista italiana web dedicata a Java. Autore di numerosi articoli pubblicate sia su MokaByte.it che su riviste del settore, ha partecipato a diversi progetti editoriali e prende parte regolarmente a conference in qualità di speaker. Dopo aver a lungo lavorato all’interno di progetti di web enterprise, come esperto di tecnologie e architetture, è passato a erogare consulenze in ambito di project management. Da diversi anni ha abbracciato le metodologie agili offrendo ad aziende e organizzazioni il suo supporto sia come coach agile che come business coach. È cofondatore di AgileReloaded, l’azienda italiana per il coaching agile.

Scrum Master Life

Vita da Scrum Master

XIV parte: La facilitazione e la struttura di un meeting

Giovanni Puliti

Giovanni Puliti

  • Questo articolo parla di: Lean/Agile, Organizzazione aziendale, Processi di sviluppo, Project Management, Scrum, Soft skills

La struttura di un meeting

Nella conduzione o facilitazione di un meeting è molto importante conoscerne, fra le altre cose, lo scopo, l’ambito — cosa è oggetto della riunione e cosa è fuori, e che nelle figure sottostanti è definito confine di interesse —, le aspettative e gli output attesi in modo da massimizzarne l’efficacia e soddisfare le aspettative dei partecipanti.

Come abbiamo visto nell’articolo precedente, il facilitatore dovrebbe quindi aver chiaro cosa ci si aspetta dal quel meeting e tenere sotto controllo fasi e tempistiche per capire, durante lo svolgimento della riunione, a che punto siamo e se si sta rispettando quanto richiesto.

È utile per questo seguire uno schema dove si possano intrecciare tempi e contenuti, per capire in ogni momento se sia necessario accelerare, dare maggior spazio ad approfondimenti o aiutare il team a convergere verso una sintesi di chiusura.

Fra i molti schemi che sono stati proposti negli anni, ne ho trovato molto utile uno che, sebbene sia molto semplice, è applicabile nella stragrande maggioranza dei casi: che si tratti di una semplice conversazione, di un workshop di envisioning di progetto, o di una retrospettiva, questo schema è di grande aiuto.

Divergenza, indagine, convergenza

Questo modello prevede essenzialmente tre fasi: apertura (o divergenza), esplorazione (o indagine), sintesi (o convergenza). Ogni incontro dovrebbe essere strutturato secondo queste tre fasi, nella sequenza giusta, e non dovrebbe mai mancarne una.

Per esempio, senza la parte di apertura si rischia che il gruppo lavori in esplorazione senza aver compreso i presupposti o il punto d’inizio e non condivida quindi il motivo della riunione. Senza la parte di convergenza/chiusura invece si rischia di rimanere in uno stato di discussione circolare che non porti poi ad alcuna azione successiva: è ciò che spesso capita in meeting di brainstorming dove ci si concentra solo sull’esplorazione senza una sintesi finale… Il rischio è quello di una gran confusione e basta.

Vediamo un po’ meglio le azioni da intraprendere in ciascuna di queste tre fasi.

Apertura: la fase di divergenza

Durante la prima fase, in genere si lavora per identificare i temi della discussione. Si dice in questo caso che si va in apertura, ossia che si esplora un tema per trovare tutti i sottoargomenti, i dettagli e i punti che lo compongono.

Figura 1 – La parte iniziale della riunione è dedicata a preparare i temi di cui si vorrà parlare.
Figura 1 – La parte iniziale della riunione è dedicata a preparare i temi di cui si vorrà parlare.

È una fase molto importante perché di fatto definisce l’elenco degli argomenti da trattare; in una retrospettiva questa fase viene chiamata data gathering, ossia raccolta dei dati di cui parlare.

Come facilitatore dovete stare estremamente attenti alla fase divergente: non dimenticatevi di farla e di dedicarvi il giusto tempo. Al termine di questa fase, sinceratevi che i punti salienti siano stati evidenziati, anche se ancora non avete iniziato a esplorarli, e che il gruppo sia d’accordo nel parlare di queste cose.

No U-Turn

Un tipico errore, che di fatto è il rischio maggiore legato all’apertura, è che il gruppo torni in fase divergente dopo che era passato a una di quelle successive. Infatti, se siete in esplorazione o, peggio ancora, verso la chiusura, andare nuovamente in apertura rischia di invalidare totalmente tutta la riunione, perché ne usciremo con niente in mano.

Osservate bene quindi quello che accade per evitare per esempio che il tempo a disposizione termini quando la riunione ancora giunta a chiudere nulla.

Se un membro del gruppo di discussione apre una parentesi, fate attenzione a chiuderla. Se durante la fase finale di sintesi sentite frasi del tipo “Sì, ma attenzione anche a questa tema…”, “Mi è capitato di vedere anche questo tipo di cose, che ne pensate?”, “In realtà il problema è un altro”… in tal caso dovete subito andare in allerta per gestire la situazione.

Possibililità e opzioni

Se osservate questo tipo di momenti, fatelo presente e scegliete quale strategia adottare: se il vostro dovere è mantenere il formato della riunione — perché, per esempio, non si può sforare o perché dovete necessariamente uscire con un piano d’azione o perché vedete che il gruppo non ne può più — bloccate tentativi di divergenza fuori posto.

Se invece avete un ruolo di pura facilitazione potreste semplicemente farlo notare e lasciar scegliere al gruppo: “Sto osservando che avete aperto un nuovo fronte di discussione; adesso sarebbe il momento di dedicarci alla discussione degli elementi che abbiamo già identificato prima, ma lascio a voi la scelta: cosa trovate più interessante?”.

Indagine: la fase di esplorazione

Lo scopo di questa parte centrale è quello di affrontare ogni elemento di discussione individuato prima e di provare ad analizzarlo, smontarlo, trovando connessioni e approfondimenti. Spesso in questa fase sono utili approcci di brainstorming, pensiero laterale, fantasia, creazione delle connessioni.

Non ci sono particolari consigli su quale sia il modo corretto di condurre questa fase. Ricordate però che, in linea di principio, tutto quello che viene aperto dovrà poi essere chiuso.

Figura 2 – Nella parte centrale del meeting, si esplorano i punti individuati precedentemente e si trovano nuove connessioni o sottoargomenti.
Figura 2 – Nella parte centrale del meeting, si esplorano i punti individuati precedentemente e si trovano nuove connessioni o sottoargomenti.

È quindi possibile al limite anche dare un po’ di spazio a ulteriori fasi di divergenza, se emergessero elementi davvero interessanti e proficui. Ma fate attenzione a non trovarvi poi con un groviglio di temi che cresce in modo esponenziale: in fase di chiusura potreste avere troppe cose da selezionare.

Chiusura: la fase di convergenza

In questa fase lo scopo è far convergere la discussione verso una visione condivisa e approvata da tutti di quello che è emerso nella riunione stessa.

Aiutate quindi il gruppo a muoversi dalla fase di totale esplorazione per convergere verso un punto comune, che dovrebbe essere collegabile con lo scopo della riunione stessa. Se, per esempio, siamo in una retrospettiva, dovreste favorire la discussione in modo che, partendo da una serie di considerazioni su cosa è andato bene o male, il gruppo arrivi a produrre un elenco di azioni di miglioramento.

Figura 3 – La chiusura o convergenza serve per arrivare a un punto conclusivo che risponda alle necessità della riunione stessa.
Figura 3 – La chiusura o convergenza serve per arrivare a un punto conclusivo che risponda alle necessità della riunione stessa.

Se invece la riunione era finalizzata a condividere idee o comunicare un nuovo progetto o piano di lavoro, accertatevi che tutti abbiano chiaro cosa è stato portato, cosa ci si aspetta da ognuno di loro e quali saranno i prossimi passi.

Qui il rischio è che si torni indietro verso l’esplorazione o, peggio ancora, addirittura in apertura. Imparate a riconoscere i segnali, i comportamenti, le frasi “tipiche”. Il successo dell’intero meeting, e del vostro ruolo di facilitatore, si basa su quanto sarà concreto l’output che produrrete e da quanto sarà vicino alle aspettative del gruppo.

Tempistiche

Chiarito il senso di questi tre momenti, un banale trucco per rendere il meeting efficace è quello di tenere sotto controllo il tempo in relazione alla fase che si sta affrontando.

Dato che ognuna delle tre fasi è molto importante, potreste decidere di dedicare il medesimo tempo a ciascuna e di guidare la discussione di conseguenza. Ma poi, a seconda del caso specifico potreste decidere di sbilanciare dedicando maggior tempo alla parte di esplorazione se per esempio siete confidenti che il gruppo è ormai pratico ed esperto nella parte di convergenza. Ad esempio, in una retrospettiva, produrre action plan può essere aiutato dal format stesso.

Di fatto poi, se mancano 10’ alla conclusione e sentite “odore di riapertura” nelle frasi di qualche partecipante, sapete che a quel punto o andate in chiusura o non la chiuderete più…

Il libro [1] riportato nei riferimenti bibliografici parla di un tema non strettamente collegato alla facilitazione di meeting e conversazioni: tratta infatti di come progettare un gioco — qui si parla di serious gaming — ma, personalmente, ho trovato molto interessanti gli esempi fatti e gli approfondimenti sulle varie fasi di un gioco che ben si adattano anche al formato della riunione.

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Giovanni Puliti

Giovanni Puliti ha lavorato per oltre 20 anni come consulente nel settore dell’IT e attualmente svolge la professione di Agile Coach. Nel 1996, insieme ad altri collaboratori, crea MokaByte, la prima rivista italiana web dedicata a Java. Autore di numerosi articoli pubblicate sia su MokaByte.it che su riviste del settore, ha partecipato a diversi progetti editoriali e prende parte regolarmente a conference in qualità di speaker. Dopo aver a lungo lavorato all’interno di progetti di web enterprise, come esperto di tecnologie e architetture, è passato a erogare consulenze in ambito di project management. Da diversi anni ha abbracciato le metodologie agili offrendo ad aziende e organizzazioni il suo supporto sia come coach agile che come business coach. È cofondatore di AgileReloaded, l’azienda italiana per il coaching agile.

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Giovanni Puliti ha lavorato per oltre 20 anni come consulente nel settore dell’IT e attualmente svolge la professione di Agile Coach. Nel 1996, insieme ad altri collaboratori, crea MokaByte, la prima rivista italiana web dedicata a Java. Autore di numerosi articoli pubblicate sia su MokaByte.it che su riviste del settore, ha partecipato a diversi progetti editoriali e prende parte regolarmente a conference in qualità di speaker. Dopo aver a lungo lavorato all’interno di progetti di web enterprise, come esperto di tecnologie e architetture, è passato a erogare consulenze in ambito di project management. Da diversi anni ha abbracciato le metodologie agili offrendo ad aziende e organizzazioni il suo supporto sia come coach agile che come business coach. È cofondatore di AgileReloaded, l’azienda italiana per il coaching agile.
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MokaByte è una rivista online nata nel 1996, dedicata alla comunità degli sviluppatori java.
La rivista tratta di vari argomenti, tra cui architetture enterprise e integrazione, metodologie di sviluppo lean/agile e aspetti sociali e culturali del web.

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