Una nota “metodologica”
In questo e nel prossimo articolo faremo spesso riferimento a due fonti ufficiali che monitorano costantemente l’ecosistema Bitcoin: da una parte il Bitcoin Mining Council [1], o BMC, ossia un’entità molto vicina a Bitcoin e quindi in apparente conflitto d’interessi (vedremo più avanti che in realtà non è così), e dall’altra il Cambridge Center for Alternative Finance [2], o CCFA, dell’Università di Cambridge, ossia un’entità indipendente.
Quel che si dice comunemente
A tutti sarà capitato di sentire una notizia al telegiornale, o di leggere un articolo su un quotidiano, in cui veniva posta l’enfasi sull’eccessivo consumo energetico di Bitcoin, o sul suo elevato impatto ambientale, additandolo come un soggetto importante per questo problema, senza tuttavia argomentare questa tesi o fornire dati comparativi.
Ad esempio, se vi dicono: “Bitcoin consuma la stessa energia elettrica dello stato del Pakistan”, voi trasalite seduta stante e vi fate una certa idea del sistema; ma se il vostro interlocutore contestualizza un po’ meglio la sua esposizione dicendovi: “Bitcoin consuma la stessa energia elettrica dello stato del Pakistan, ma a livello mondiale influisce per lo 0,59%”, l’effetto che questa informazione ha su di voi è diverso. Lo stesso si può dire per l’impatto ambientale. Se vi dicono: “Bitcoin inquina quanto lo stato di Singapore”, la visione che avete di questo sistema è sicuramente negativa; ma se questa frase viene argomentata un po’ meglio dicendovi: “Bitcoin inquina quanto lo stato di Singapore, ma a livello mondiale influisce per lo 0,14%”, ecco che il messaggio percepito è diverso.
Il motivo di questa superficialità dell’informazione deriva principalmente da due fattori:
- la stragrande maggioranza delle persone, giornalisti compresi, non ha idea di cosa sia o di come funzioni Bitcoin, e quindi tende a essere approssimativa nelle spiegazioni che lo riguardano;
- nell’era contemporanea, dove i consumatori sono continuamente bombardati di informazioni, i titoli sensazionalistici riscuotono molta più attenzione, e poco importa se sono fuorvianti rispetto all’argomento trattato.
Uno sguardo realistico
Nessuno vuole negare che Bitcoin utilizzi una notevole quantità d’energia, o che produca un significativo impatto ambientale ma, prima di additarlo come una tecnologia inutile e pericolosa, bisogna cercare di capirne il funzionamento e l’utilità, così da poterlo comparare con altri sistemi e settori più o meno affini. Solo in questo modo, saremo in grado di avere una visione complessiva e realistica dell’argomento.
I “capi d’accusa” nei confronti di Bitcoin
Di norma, quando si sente parlare di Bitcoin in riferimento a temi come l’energia e l’ambiente, viene fatta almeno una delle seguenti affermazioni:
- consuma troppa energia elettrica;
- inquina;
- è causa dell’aumento del prezzo dell’energia elettrica al kWh.
Nei prossimi paragrafi cercheremo di analizzare cum grano salis queste tre affermazioni e arrivare a delle conclusioni basate su dati reali e fatti oggettivi.
A cosa serve l’energia consumata?
Ma prima di addentrarci nel vivo di questa trattazione, rinfreschiamoci brevemente la memoria sul perché tale sistema utilizzi molta energia elettrica. Come abbiamo appreso negli articoli precedenti, il processo che consuma la quasi totalità dell’energia necessaria a Bitcoin, è il mining, ossia la competizione per risoluzione del puzzle crittografico. Il mining a sua volta consente l’esistenza stessa del sistema, in quanto assicura:
- la protezione da attacchi informatici;
- l’immutabilità del ledger distribuito;
- la creazione di scarsità assoluta.
Grazie a Bitcoin siamo infatti capaci di:
- trasferire valore senza intermediari;
- eseguire transazioni finanziare con costi modesti e senza censure;
- assicurare a quasi tutta la popolazione la capacità di trasferire denaro (unbanked);
- creare uno strumento digitale che gode delle proprietà della moneta e della scarsità assoluta (è il miglior bene rifugio come riserva di valore).
Già così, non vedere i benefici di questo sistema rispetto a eventuali consumi energetici e/o impatti ambientali è abbastanza difficile. Tuttavia, nelle discussioni successive introdurremo altre proprietà interessanti che il sistema Bitcoin assicura a tutta la popolazione (non solo agli utilizzatori del network).
Bitcoin consuma troppa energia elettrica?
Per dimostrare che Bitcoin non consuma troppa energia, compariamolo all’industria del mining fisico tradizionale, ossia l’estrazione aurifera dalle miniere.
Facendo una semplice ricerca su internet [3], o per i più tecnologici chiedendo direttamente a ChatGPT [4], si ricava che circa il 15% di tutto l’oro estratto annualmente viene utilizzato nei processi industriali (p.e. elettronica, dispositivi medici, componenti elettrici, etc.), mentre il restante 85% finisce nella gioielleria e nei mercati finanziari.
Continuando a navigare si possono trovare informazioni sulle stime del consumo annuale di TWh sia del mining di Bitcoin che di quello tradizionale aurifero, constatando che quest’ultimo consuma una quantità di energia che va dal 100% al 200% di quella consumata da Bitcoin (più avanti vedremo i numeri forniti da fonti ufficiali).
Quindi, se l’energia spesa per l’oro necessario alla gioielleria e ai mercati finanziari non è troppa, com’è possibile affermare che la stessa quantità, se non addirittura meno, sia eccessiva per ottenere tutti i benefici intrinseci di Bitcoin?
Bitcoin inquina?
Facciamo un esempio molto semplice e concreto per dimostrare che Bitcoin non inquina.
Tutti conoscono l’azienda Tesla e le sua linea di automobili full electric. Queste macchine vengono alimentate a energia elettrica e producono come scarti vapore acqueo e calore. Quindi chiunque si sente libero di affermare che tali automobili, almeno nell’utilizzo quotidiano, non inquinano.
Ora pensiamo al processo di mining di Bitcoin: un insieme numeroso di computer altamente specializzati vengono alimentati a energia elettrica e producono come scarto solo calore. Quindi, com’è possibile affermare che tale processo inquina?
Bitcoin, così come tutti i processi energivori, è un consumatore finale di energia elettrica, non un produttore; quindi, se l’energia elettrica che viene utilizzata per il mining arriva da fonti energetiche rinnovabili, possiamo affermare che il produttore di tale energia ha un basso impatto sull’ambiente. Viceversa, se quest’energia arriva da combustibili fossili, possiamo affermare che il produttore ha un impatto significativo sull’ambiente.
Ogni qualvolta si parla di sistemi che inquinano perché utilizzano energia, è necessario spostare l’attenzione dal consumatore al produttore.
Bitcoin causa l’aumento del prezzo dell’energia elettrica al kWh?
La risposta a questa domanda è più articolata delle precedenti ma la conclusione è sempre la stessa: Bitcoin non è causa dell’aumento del prezzo dell’energia elettrica al KWh.
La prima cosa da osservare è che il mining di Bitcoin è un vero e proprio settore industriale, dove ogni entità che vi opera è obbligata a minimizzare le spese e a massimizzare i ricavi per non essere esclusa dal mercato.
Se pensiamo a cos’è e a come funziona il mining, è semplice capire che i costi principali sono:
- l’acquisto dei computer dedicati;
- il consumo dell’energia elettrica;
e i ricavi principali sono:
- i bitcoin ottenuti.
Sull’acquisto dei computer dedicati, i miners non hanno molto margine di manovra: essendo componenti altamente specializzati, i produttori a livello mondiale sono pochissimi e i costi sono abbastanza omogenei. Anche sulla voce dei ricavi i “minatori” hanno possibilità limitate: l’unico modo per aumentare la probabilità di minare un blocco è aumentare la potenza di calcolo della propria farm, ma questo comporta notevoli costi iniziali e di mantenimento. L’unica voce su cui i miners possono avere un buon margine di manovra è quella relativa al costo dell’energia elettrica.
Sarà quindi nell’interesse stesso dei miners ricercare il produttore di energia capace di garantirgli il minor costo possibile della corrente al kWh. Quindi, il mining di Bitcoin non solo non spinge il prezzo dell’energia elettrica al rialzo ma lo comprime verso il basso. A oggi, fine 2023, l’attività di mining è profittevole se fatta con un costo dell’energia elettrica minore o uguale a 0,05 $/kWh.
Stabilizzazione delle reti elettriche
Un altro aspetto fondamentale del mining di Bitcoin è l’effetto stabilizzante che opera sulle reti elettriche. Cerchiamo di capire cos’è questo effetto e come avviene.
Le reti elettriche devono essere operative in due scenari distinti:
- uno normale, rappresentato dalla quantità minima di energia che deve essere erogata in ogni istante della giornata, necessaria per alimentare tutti quei sistemi industriali e non che hanno bisogno di essere operativi 24/7/365 (p.e. un ospedale);
- uno eccezionale, rappresentato dai picchi massimi di energia che la rete elettrica deve sopportare, erogati nelle fasce orarie di punta (p.e. nell’orario lavorativo) e in periodi particolari (p.e. durante i periodi di grande caldo in cui si ricorre maggiormente all’uso dei condizionatori d’aria).
Per poter funzionare in entrambe le situazioni, le reti elettriche vengono progettate per resistere ai picchi, e questo comporta una serie di conseguenze:
- i costi di costruzione e manutenzione sono sensibilmente più alti;
- per buona parte del tempo le reti elettriche lavorano nello stato normale, e quindi non sono sfruttate al pieno delle loro capacità;
- picchi eccezionali di richiesta di energia elettrica portano comunque a blackout più o meno generalizzati, con conseguenti disagi per gli utenti finali e manutenzioni supplementari per l’azienda erogatrice;
Ognuna di queste conseguenze si traduce in un aumento in bolletta della componente di trasporto e manutenzione dei costo finale dell’energia elettrica.
Ora, considerando che il mining di Bitcoin, oltre a essere notevolmente energivoro, è anche modulabile, ossia in ogni istante il miner può decidere quanta corrente elettrica richiedere alla rete, si potrebbe pensare di trovare un accordo tra l’azienda erogatrice dell’energia elettrica e chi fa mining (vedi l’esempio del Texas [5]), basato sui seguenti punti:
- Quando la rete elettrica è in una situazione di utilizzo normale, ossia sottodimensionata, anziché perdere parte dei ricavi che questa potrebbe generare, non vendendo energia a nessuno perché non serve, si potrebbe vendere tale corrente ai miners a basso costo generando un effetto win-win-win. Infatti, l’azienda erogatrice guadagnerebbe più di prima, i miners avrebbero corrente a basso costo, e gli utenti finali della rete elettrica avrebbero bollette più basse proprio grazie ai maggiori guadagni del fornitore.
- Nei momenti di picco, anche estremi, il mining potrebbe essere modulato fino allo spegnimento completo, rendendo la rete capace di soddisfare i picchi e gestire meglio le situazioni limite. Ovviamente, a fronte di questo sacrificio, i miners potrebbero essere ricompensati dal fornitore di energia.
- Il terzo aspetto è quello degli sprechi legati ai sistemi di produzione e trasporto dell’energia elettrica. Questa voce, oltre a comportare un aumento del costo finale della materia prima, produce anche un forte impatto ambientale.
Ridurre gli sprechi
A oggi, le tre principali fonti di spreco dell’energia elettrica sono: l’effetto Joule [6], il gas flaring [7] e il non pieno sfruttamento delle energie rinnovabili.
L’Università di Cambridge ha stimato la quantità di energia elettrica che si potrebbe recuperare annualmente da queste tre “fonti” derivanti dagli sprechi, rapportandola al consumo annuale del mining di Bitcoin (figura 1).
Osservando l’immagine si evince che annualmente:
- le perdite annuali dovute a effetto Joule nei soli USA, causate dal trasporto di corrente elettrica su lunghe distanze, coprirebbero il fabbisogno energetico di Bitcoin per circa 1,6 anni;
- il recupero dei gas di scarto dell’estrazione petrolifera, che attualmente vengono bruciati in un anno, genererebbe energia elettrica capace di alimentare il mining di Bitcoin per circa 5,3 anni;
- in Cina, le centrali idroelettriche sono sfruttate solamente in parte perché c’è un disavanzo di energia elettrica nei mesi delle piogge; con tale quota si alimenterebbe il mining di Bitcoin per circa 10 mesi.
Grazie al mining di Bitcoin, qualsiasi inefficienza della produzione energetica può essere sfruttata per ridurre drasticamente gli sprechi e massimizzare il rendimento dell’impinato. Possiamo quindi affermare che Bitcoin funge da compratore di ultima istanza per l’energia.
Conclusioni
In questo articolo abbiamo cercato di dare uno sguardo più relalistico al consumo energetico e al conseguente impatto ambientale di Bitcoin. Riassumendo, il mining di Bitcoin è capace di:
- favorire e prediligere l’energia a basso costo, che normalmente deriva dalle fonti rinnovabili;
- favorire la stabilità delle reti elettriche, potendo modulare la loro richiesta di energia in maniera programmabile;
- minimizzare gli sprechi di energia elettrica, rendendo gli impianti sfruttabili al massimo.
Tutti questi fattori concorrono sia a livellare verso il basso il costo finale dell’energia elettrica al KWh, che a diminuire l’impatto ambientale (ossia vanno a vantaggio dell’intera popolazione).
Nel prossimo articolo sostanzieremo queste deduzioni con una serie di dati interessanti.
Riferimenti
[1] Bitcoin Mining Council
https://bitcoinminingcouncil.com/
[2] Cambridge Center for Alternative Finance
https://ccaf.io/
[3] Stefano Gandelli, Oro: storia, caratteristiche, usi e valore. GeoPop
https://www.geopop.it/oro-storia-proprieta-usi-e-valore/
[4] Definizione di ChatGPT da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/ChatGPT
Query di ricerca: “In che percentuali l’oro estratto viene suddiviso nelle varie industrie?”
[5] Intervista al CEO di Ercot su Electric energy and Bitcoin dalla CNBC
https://cnb.cx/3MQJ7pO
[6] Definizione di Effetto Joule da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Effetto_Joule
[7] Definizione di Gas flaring da Wikipedia
https://it.wikipedia.org/wiki/Gas_flaring
[8] Cambridge Bitcoin Electricity Consumption Index
https://ccaf.io/cbnsi/cbeci