Copertina: Foto di Pramod Tiwari su Unsplash
Avvertenza
Questa storia non è proprio vera. Ma non è affatto finta.
È il resoconto verosimile di un processo di trasformazione aziendale e organizzativa basato su fatti ed eventi reali che però sono stati opportunamente modificati, adattati e combinati per far loro assumere un significato più generale e per dare al racconto anche un valore “didattico”: la narrazione di una trasformazione organizzativa ispirata ai principi e alle pratiche Lean/Agile e alle conoscenze e alle tecniche dell’Organisational Design.
Pertanto i nomi, l’azienda, i luoghi non fanno riferimento a elementi precisamente identificabili e i personaggi sono da intendersi come di fantasia. Anche se poi magari qualche persona potrà riconoscersi in essi.
La storia comincia nei primissimi mesi del 2021 ed è tuttora in svolgimento…
Una ripartenza
“Ma allora com’è ‘sta bici?”, mi chiede Marco.
“Un missile”, rispondo. E aggiungo ridendo: “Ma bisogna comunque pedalare”.
Torno a pensare alla bicicletta da corsa che ho ritirato circa due ore prima e che adesso è nel bagagliaio dell’auto, legata e opportunamente “tamponata” con spessori morbidi affinché non subisca neanche un graffio durante il trasporto verso casa. È una bella bicicletta, che desideravo da tempo, con ruote in carbonio e una linea molto particolare. Non è neanche l’ultimissimo modello della casa produttrice, ma questa mi piace di più e risponde maggiormente alle mie esigenze.
E poi c’è qualcos’altro. Questa nuova bici rappresenta, o almeno così è nelle mie intenzioni, una sorta di “ripartenza”. Nell’anno precedente ai fatti che sto raccontando, la pandemia ha pesantemente modificato la nostra vita: per molte persone, ha significato lutti e disperazione; per noi tutti ha voluto dire restare confinati in casa e nelle immediate vicinanze, tranne brevi periodi di apparente calma. E in questa primissima serata di fine inverno, superata la seconda o terza ondata — dobbiamo ancora capirlo — cominciamo a intravvedere l’uscita dal tunnel, anche se non ne siamo ancora fuori. Quindi ho voluto comprare questa bici da corsa anche come “speranza” di una ripartenza verso la normalità, per quanto sia consapevole che la vita, e il lavoro, non saranno come prima.
Ma questa è solo l’ultima riflessione, a termine di un pomeriggio impegnativo e fruttuoso. Che ha a che fare più con il mio lavoro di Agile Coach come socio di un’azienda di coaching e consulenza strategica [1] che con la mia passione per il ciclismo…
Il fatto è che sono andato a ritirare la bici nello stesso pomeriggio in cui ho in programma una importante videochiamata. Forse sarebbe stato meglio restare a casa e andare a prendere la due ruote qualche giorno dopo. E se poi la mia Regione entrasse nuovamente in zona rossa? E se dovessi aspettare ancora tanto per provare la bici? No. Meglio andare e, casomai, fare la videochiamata fermandosi con l’auto da qualche parte. Del resto, una delle conseguenze — positive? — della pandemia è proprio questa normalizzazione dei mezzi di lavoro da remoto, che si è ormai affermata globalmente.
Il primo contatto
Con i soci e i collaboratori della mia azienda, svolgiamo attività di coaching e consulenza strategica. Con un claim che deve sintetizzare il concetto, diciamo: “Trasformiamo organizzazioni”. Ma ovviamente non lo facciamo con la bacchetta magica, implementando soluzioni preconfezionate. Applichiamo i principi e le pratiche Lean/Agile e ci basiamo sulle conoscenze e le tecniche del cosiddetto Organisational Design, ossia la “progettazione organizzativa”, che si fa, eccome, anche se non è certamente quel processo di imposizione dall’alto di un piano prestabilito a priori che molti potrebbero pensare. Anzi, a dirla tutta, è l’esatto contrario… ma ne riparleremo.
Quando qualche azienda ci contatta per richiedere i nostri servizi di consulenza e coaching, la prima cosa da fare è proprio cercare di capire insieme al potenziale cliente anzitutto se siamo adatti a ciò che ci verrà richiesto. E, una volta intuito uno sviluppo positivo, dobbiamo cominciare a identificare le sue reali necessità. Questi primi incontri li abbiamo spesso fatti anche in presenza, ma la situazione contingente ci obbliga alla distanza.
Cerchiamo di fare tutto questo con una telefonata, che serve come primo contatto ed è, se la collaborazione prende forma e procede, solo il primo contatto. Dopo un anno abbondante di “remotizzazione” del lavoro, ormai le videochiamate di gruppo sono diventate lo standard.
E quindi mi ritrovo in questo tardo pomeriggio, parcheggiato in macchina, con la bici che ho appena ritirato ben sistemata nel bagagliaio e la preoccupazione e la curiosità per come potrà andare la videoconferenza con questa azienda a diffusione mondiale che ci ha contattato e con cui ci apprestiamo a parlare.
Il fatto è che parleremo direttamente con l’amministratore delegato, e suoi tre collaboratori di livello apicale. Io e Marco, il mio collega esperto di Agile HR e Organizational Design, cercheremo di capire se e come possiamo aiutarli a definire un possibile percorso di trasformazione aziendale.
Parleremo con un’azienda del ramo automotive, ma non con una fabbrica di automobili. Piuttosto si tratta di un’azienda che fornisce servizi di supporto alla vendita e all’assistenza di un importante marchio del settore.
Cominciare a conoscere il cliente
La videochiamata parte. Anche se spesso finiamo per darci del tu con i nostri interlocutori, partiamo in questo caso con un più prudente “lei”. Dopo i primi convenevoli, i nostri interlocutori cominciano a spiegarci meglio chi sono.
“Non siamo propriamente una sola azienda. Siamo quattro aziende separate, appartenenti allo stesso gruppo”, ci dice il CEO. “Dobbiamo lavorare insieme, per fornire servizi diversi a supporto della nostra marca: la gestione della rete di vendita e dei concessionari, le assicurazioni RC auto, l’assistenza meccanica e attività legate alla mobilità sostenibile”.
Questo è il momento in cui ho sentimenti contrastanti. Da un lato, le esperienze maturate con altri clienti e su tanti progetti mi suggeriscono già cosa posso aspettarmi. So che verranno fuori alcune problematiche tipiche e determinate dinamiche ricorrenti, per le quali ho già sperimentato certe soluzioni. Dall’altro, basta entrare un po’ di più nella discussione, e accanto all’impressione del già visto e del conoscere già almeno in parte dove andremo a parare, si affaccia la convinzione esattamente contraria: ogni azienda ha le sue caratteristiche peculiari, non esiste una soluzione preconfezionata già pronta e adatta a chiunque, alla fine si tratta sempre di fare un lavoro “sartoriale”, cioè cucito addosso a quel particolare cliente.
A scuotermi da questi pensieri arriva una domanda dell’amministratore delegato, rivolta direttamente a me: “Scusi, eh. Ma quello che ha dietro è uno sfondo? O lei è veramente in auto, fermo da qualche parte? Perché, sa, in questi mesi abbiamo visto gli sfondi e le situazioni più incredibili…”. Le risate che ne seguono aiutano tutti a stemperare quel po’ di tensione che ancora c’era, e la videochiamata prosegue entrando nel cuore delle necessità del cliente.
Le necessità del cliente
Il mio socio e collega Marco è un esperto di Organisational Design e HR. Detto più prosaicamente, è una persona che aiuta le aziende a progettare l’organizzazione interna nel modo più consono alle esigenze e agli scopi dell’azienda stessa. Spesso un’azienda ha un modello organizzativo ereditato da situazioni pregresse, non più adatto all’attuale realtà delle cose; oppure imita pedissequamente un modello altrui, magari efficace altrove, che però alla fine non è “il suo”. Riprogettare l’organizzazione dell’azienda, dall’interno, comprendendo quali possono essere le scelte operative da fare, senza imporre dall’alto a priori strutture preconfezionate, è qualcosa di strategico e anche molto delicato. Per farlo occorre anzitutto chiedere, ascoltare, far emergere necessità vere del cliente, raccogliere feedback e adattarsi costantemente. In questo, oltre che in tante altre cose, Marco è molto bravo e si inserisce nella discussione proprio al momento giusto.
“È chiaro che non possiamo avere un quadro completo della vostra situazione dopo mezz’ora di chiacchierata. Però cominciamo a intravedere alcuni aspetti interessanti che ci fanno pensare già che il nostro intervento di consulenti / Agile Coach nelle vostre aziende potrebbe avere un senso e un risultato”. Poi, dopo una pausa che serve a dare maggior enfasi a quello che viene dopo, e che Marco sa fare molto bene, aggiunge: “Ad esempio, se vi chiedessi qual è al momento la necessità, il bisogno, l’esigenza che sentite come più importante per poter lavorare meglio, per raggiungere meglio i vostri obiettivi aziendali, che cosa mi direste?”.
Ci pensano un po’ i nostri interlocutori… la cosa buffa è che, anche se pure loro sono in remoto, viste le esigenze di prevenzione del contagio, sembra dallo schermo suddiviso della videochiamata che si guardino tra loro, come per consultarsi e dirsi: “Sì, è quella cosa lì”.
Prende la parola uno dei manager, che ci dice: “Alla fine, se ci pensiamo, spesso alle nostre aziende fa riferimento un identico cliente. Da un’azienda prenota il test-drive presso il concessionario, poi magari decide di comprare l’auto e di sottoscrivere un finanziamento e allora ha bisogno di un’altra delle nostre aziende. E poi c’è da fare l’assicurazione. E, infine, l’auto va revisionata regolarmente e — speriamo il meno possibile — magari riparata. Ecco, un cliente, per fare queste quattro cose, a noi ci appare come se fossero quattro clienti, lui ci vede come quattro aziende separate”. Marco prende appunti e rilancia: “E invece, la vostra esigenza?”.
“E invece il cliente è uno solo. La nostra esigenza è avere un cliente ‘integrato’: un sistema, un’applicazione, un ‘qualcosa’ di condiviso per cui noi come aziende sappiamo tutto il percorso e le scelte del nostro cliente. E il cliente fa tutte le varie operazioni senza doversi interfacciare con le singole aziende, ma vedendo solo il marchio della casa madre. Un po’ come gli store digitali, no? Da lì io posso acquistare il servizio o l’app che mi serve con un unico account… non è che ogni volta devo fare un utente diverso per ogni prodotto diverso che compro. Non so se mi sono spiegato…”.
“Chiaro!” sintetizza Marco.
“Ecosistemi” digitali
Ciò di cui il nostro interlocutore sta parlando è, sostanzialmente, la necessità di un “ecosistema” digitale. Questo termine prende spunto dal concetto di ecosistema in senso proprio, vale a dire quello coniato nell’ambito delle Scienze Naturali a partire dagli anni Trenta dello scorso secolo.
In tal senso, un ecosistema è costituito da elementi abiotici — come le rocce del substrato, l’acqua, l’aria, la luce etc. — ed elementi biotici, vale a dire comunità di organismi viventi, che interagiscono tutti strettamente fra loro, in un equilibrio dinamico regolato da meccanismi di retroazione. L’aspetto della componente viva e dell’interazione regolata da feedback segna una marcata distinzione tra un ecosistema naturale e, ad esempio, un sistema meccanico, per quanto complesso.
Ora, trasportiamo questo concetto a un ambito come quello dei gruppi di persone che impiegano sistemi informativi digitali e, applicando le necessarie modifiche e i dovuti adattamenti, otteniamo l’idea di “ecosistema” digitale. Un “ecosistema digitale” — e da qui in poi le virgolette non le useremo più — è costituito da un gruppo di risorse informatiche interconesse che l’utente può utilizzare come un unico “ambiente”. Un ecosistema digitale è fatto di venditori, clienti, applicazioni, terze parti fornitrici di dati o di risorse, il tutto con le loro rispettive tecnologie: la chiave è l’interoperabilità in maniera seamless (senza discontinuità) e frictionless (senza attrito).
Mentre mi riformulo questo discorso nel cervello, mi rendo conto che le persone si sono accorte che voglio dire qualcosa. Ho alzato la mano, ma non quella virtuale dell’applicazione di videoconferenza; proprio il braccio attaccato alla spalla, come a scuola…
“Sì, scusate… volevo dire che quello che desiderate ha un nome: ecosistema digitale. È un’esigenza che in questo momento è comune a molte organizzazioni, e su cui noi come azienda di consulenza e coaching stiamo lavorando da un po’. Penso che questo argomento potrebbe essere sviluppato e che rappresenti un possibile elemento centrale nella nostra eventuale futura collaborazione”.
I commenti che seguono sono sostanzialmente positivi. È chiaro che un conto è dire: “Quello che vi serve è un ecosistema digitale!” e un’altra storia è cominciare a implementarlo. Per arrivare alla fase operativa servono ancora tanti passi, ulteriori approfondimenti, decisioni da parte del C-level dell’azienda. E questo non può accadere nella prima videochiamata di poco più di un’ora. Ma sento che la discussione sta prendendo la piega giusta e che lavorare con questo nuovo cliente a creare, appunto, un ecosistema digitale, potrebbe concretizzarsi in un progetto reale.
Ulteriori approfondimenti
Ci rendiamo conto che, da un lato, questa conversazione ha avuto il merito di circoscrivere l’esigenza principale dei nostri interlocutori; ma che, dall’altro, ormai sta volgendo al termine. Per raccogliere altre informazioni e approfondire la conoscenza del cliente, serviranno altri incontri, se la collaborazione si concretizzerà in un rapporto formale. E spieghiamo queste cose all’amministratore delegato.
Ma prima di concludere, Marco si informa su come stanno lavorando nelle aziende in questo momento.
“Siamo ancora ovviamente a lavorare a distanza,” è la risposta, “anche se tornare in presenza è in programma, gradualmente, per quando sarà possibile. Ormai ci siamo abituati; anche se, specie all’inizio, abbiamo avuto i problemi di tutti per capire quali strumenti scegliere, come utilizzarli, come gestire i problemi tecnici e, soprattutto, lo spaesamento della novità. Voi che esperienza avete in questo ambito?”.
“Quella di tutti”, risponde ridendo Marco. “Abbiamo provato tanti strumenti, abbiamo sperimentato tante modalità di interazione, abbiamo fatto errori e capito cose. Come un po’ tutto il mondo in questo momento, stiamo scoprendo modi nuovi di fare cose che già facevamo. Pensate solo che l’ultima ‘trasformazione’ in senso agile effettuata in un’azienda si è conclusa da poco. Il progetto era cominciato il primo marzo dell’anno scorso… e dopo tre giorni l’azienda è entrata in lockdown… È stato faticoso, fisicamente e cognitivamente. Ricordo che i primi due mesi la sera eravamo stanchissimi. Pian piano abbiamo messo a un punto un modo migliore per fare le cose che dovevamo fare”.
Una modalità operativa
Prima di lasciarci, facciamo presente ai nostri nuovi clienti — pensiamo che la cosa andrà in porto, ormai — che il nostro modo di agire punta a rilasciare del valore per il cliente.
“Come Agile Coach, noi abbiamo un particolare modo di intervenire”, spiega Marco ai manager C-level, “che punta anzitutto a rilasciare del valore per il cliente. Questo vuol dire che, se per qualsiasi ragione a un certo punto si decidesse di interrompere il rapporto, al cliente deve comunque rimanere qualcosa di concreto, e non l’idea di aver perso del tempo. Poi, su questi aspetti, ci sarà modo di approfondire, se la collaborazione si concretizzerà. Ma fin d’ora vi dico che ci sono alcuni elementi basilari che ci porteremo avanti per tutta la durata del nostro intervento: insieme a voi cercheremo di tradurre la vision ad alto livello in una serie di attività più ‘concrete’ e creeremo una lista di iniziative, di cose da fare per soddisfare determinate esigenze di business, che poi raffineremo e ordineremo per priorità. E questo, che non è un semplice elenco, si chiama backlog. Poi ci daremo dei criteri che ci permettano di definire con certezza se e quando una determinata iniziativa è completata oppure no. E questo insieme di criteri si chiama DoD (Definition of Done) e ci serve a ‘battezzare’ come conclusa, come portata a termine con successo, una delle varie iniziative che avevamo messo in lista e ordinato per priorità. In questo modo, se anche decidessimo di concludere la collaborazione in un qualche punto, lo faremmo comunque avendo completato una o più attività che avevamo messo nel backlog”.
Un arrivederci
È giunto il momento dei saluti. Credo che ci rivedremo e che la collaborazione con questo cliente partirà, ma solo nei prossimi giorni potremo saperlo. Chiudo la chiamata e penso che devo fare ancora qualche chilometro per arrivare a casa. Mi ricordo del perché sono qui e non davanti al mio computer. Scendo dall’auto, controllo — sì, con un po’ di ossessività — che la bici sia perfettamente fissata nel bagagliaio e poi rimonto in macchina per partire.
Non appena mi reimmetto sulla strada, squilla il telefono. È Marco. In vivavoce cominciamo a conversare.
“Allora, cosa te ne pare?”, mi chiede.
“Mah, bene, no? Il cliente è grande, è interessante. Noi abbiamo capito ciò che gli serve. E, in questo momento, abbiamo il valore dell’esperienza positiva appena conclusa nell’azienda telcom. Se le cose hanno funzionato lì, con tutta la prima fase del lockdown e lo smarrimento generale che ne è conseguito… penso che con queste aziende potremo utilizzare molte delle esperienze già fatte”.
“Sì, però questo è tutto un altro settore. Questo è automotive” osserva Marco.
“Certo… ma in definitiva non è che dobbiamo andare in fabbrica a costruire motori… Si tratta di creare un ecosistema digitale, di ‘armonizzare’, come dicevano loro, le diverse parti in gioco: persone, applicazioni, dati, risorse informatiche”.
“Sì, forse è così”, risponde il mio socio. “Certo andrà fatto un lavoro importante per approfondire quel poco che ci siamo detti in questa prima chiamata. Sarà cruciale definire con chiarezza degli obiettivi strategici per l’azienda. E poi tradurre tutto questo in obiettivi operativi, anche con un uso adeguato degli OKR. E solo allora potremo cominciare a creare nel concreto un ecosistema digitale”.
Concordo e lo faccio presente a Marco. E penso che serviranno altri passi ancora. Ma per ora mi limito a dire che penserò io a preparare l’offerta economica.
“Ma allora com’è ‘sta bici?”, mi chiede Marco.
“Un missile”, rispondo. E aggiungo: “Ma bisogna comunque pedalare”.
Riferimenti
[1] Agile Reloaded
https://agilereloaded.it/