Copertina: Foto di Pramod Tiwari su Unsplash
Avvertenza
Questa storia non è proprio vera. Ma non è affatto finta.
È il resoconto verosimile di un processo di trasformazione aziendale e organizzativa basato su fatti ed eventi reali che però sono stati opportunamente modificati, adattati e combinati per far loro assumere un significato più generale e per dare al racconto anche un valore “didattico”: la narrazione di una trasformazione organizzativa ispirata ai principi e alle pratiche Lean/Agile e alle conoscenze e alle tecniche dell’Organisational Design.
Pertanto i nomi, l’azienda, i luoghi non fanno riferimento a elementi precisamente identificabili e i personaggi sono da intendersi come di fantasia. Anche se poi magari qualche persona potrà riconoscersi in essi.
La storia comincia nei primissimi mesi del 2021 ed è tuttora in svolgimento…
Imparare dalle api
Ormai molti anni fa abbiamo scelto con la mia famiglia di andare a vivere in campagna, nonostante il lavoro che faccio mi porti spesso nelle metropoli e nonostante sia cresciuto in città. Abito in una casa di collina, non lontanissimo dal paese, e questo comporta anche qualche piccola difficoltà logistica, ma riserva tante possibilità. Una delle ragioni che mi ha portato a questa scelta è poter coltivare una delle mie passioni: l’apicoltura.
Non si tratta certo di un’attività svolta in maniera “industriale”, ma di avere un certo numero di arnie con le loro colonie di api che siano gestibili in modo compatibile con tutte le altre attività, lavorative e no.
Pensare alle api e alle arnie fa ovviamente venire in mente il miele o, magari per chi ne sa qualcosa di più, anche la propoli. Ed è indubbio che ottenere questi prodotti è in genere il primo motivo per cui si comincia a interessarsi di apicoltura.
In realtà, come poi tutti gli apicoltori sanno, quello delle api è un mondo affascinante in sé e non solo per i prodotti naturali che consente di ottenere. Non nego che in molti casi poter osservare da vicino l’alveare, scoprendo i mille segreti della vita comunitaria di questi insetti sociali, diventa uno dei motivi principali per continuare a svolgere questa attività.
Dalle api si impara tanto: la loro organizzazione, il loro comportamento, la suddivisione dei compiti, la sciamatura… tutti aspetti che ce le fanno comprendere come superorganismo più che come singoli individui e che hanno anche rappresentato un’ottima metafora per introdurre il concetto di sistema complesso, nei tanti momenti di formazione che ho svolto.
E poi le api hanno una straordinaria capacità di percepire gli stimoli esterni e di reagire ad essi, sia come singoli individui, sia, con modalità più articolate, come sciami, come superorganismo composto da migliaia e migliaia di insetti sociali.
E oggi sembra che stiano percependo il mio nervosismo. Nello svolgere le normali operazioni di sistemazione dei telaietti, sto continuamente sbattendo le parti tra di loro e sto facendo movimenti meno accurati di quel che sono solito fare. Le api attaccano più del dovuto e, nonostante sia ben protetto dalla mia tuta, me ne rendo conto. Ma hanno ragione loro. In effetti ho un po’ d’ansia oggi, perché sono incerto su quel che dobbiamo fare per portare avanti al meglio le attività da poco cominciate in azienda. E continuo a pensarci da ieri, quando ho avuto una conversazione telefonica con Alessio.
Ricapitolare non è tempo perso
C’è stata infatti una telefonata con valutazione del lavoro fatto. Da un lato ho sentito che i nostri clienti sono contenti per le tante attività svolte la settimana scorsa nel nostro primo workshop in azienda. Il direttore tecnico, infatti mi ha detto che per loro è stato importante riuscire ad arrivare a una definizione degli obiettivi strategici:
- creare una Digital Company;
- creare una Value Driven Company;
- creare una Data Driven Company.
E che hanno apprezzato il passaggio da obiettivi strategici a obiettivi operativi secondo un approccio simile a quello degli OKR, Objective and Key Results [1]. Lo schema, infatti, è molto chiaro.
Objective 1: Ecosistema digitale
KR1: I-O X-O
- 2 peodotti digitali cross company (end2end su almeno due aziende del gruppo) per il secondo trimestre
- 1 servizio cross organisation per il primo trimestre
KR2: Platform
- Creare una piattaforma tecnologica a servizi abilitante la nascita di processi I-O e X-O.
- Sviluppare entro il trimestre un prodotto pilota che metta in funzione un processo cross dipartimento e uno cross company.
Ma, dall’altro lato, Alessio mi ha riferito che la gran mole di concetti e proposte che sono emerse ha un po’ “sovraccaricato” i partecipanti. C’è necessità di far sedimentare le idee e poi riprenderle un po’ per volta.
“Ho capito quello che mi dici”, lo rassicuro. “Direi che è normale, che succede spesso. In quello che proponiamo di fare insieme c’è sicuramente anche un cambiamento di prospesttiva che può risultare spiazzante”.
“Sì, sicuramente. Ma non credo sia solo quello. C’è proprio la necessità di riprendere certi concetti e approfondirli. E se questo richiede un po’ di tempo in più, va comunque bene”, mi dice Alessio dall’altra parte del telefono.
Ha ragione. Ad esempio, lo so che è suggestivo e valido parlare di ecosistemi digitali, ma so anche che un conto è parlare del concetto ad alto livello di astrazione, un conto è entrare nel dettaglio e nell’operatività, anche con certe implicazioni tecnologiche.
“Penso che per venire incontro a questo tipo di incertezze, si potrebbero organizzare delle giornate di formazione, non credi?” mi propone Alessio.
“Certamente. Una volta che avremo potuto approfondire, far sedimentare certi concetti, sicuramente l’operatività potrà procedere molto più speditamente…”.
Ho detto questa frase un po’ perché convinto, un po’ per circostanza. Il fatto, però, è che adesso viene il difficile, non tanto perché occorra fare una o più giornate formative, ma perché queste sono tutte da progettare e svolgere al meglio.
Le api “lo sanno”…
Credo che le api stiano percependo proprio questo nervosismo, che deriva più che altro dal mio rimuginare su cosa proporre e su come farlo nelle giornate di formazione.
Ho quasi finito quel che devo fare, e mi fermo un attimo. Intorno a me l’uliveto, degli orti, le case isolate. Più in alto il bosco. Le api, adesso, sembrano meno interessate a pungermi. Penso ai lunghi voli che sono capaci di fare, come singoli insetti, per andarsi a cercare il nettare. Penso a come facciano, quando sono tutte insieme, a volare, nutrirsi e allevare la nuova generazione senza che il loro numero diventi d’intralcio allo svolgimento della loro vita. E mi rendo conto, però, che per comprendere il loro mondo, non posso fermarmi alle api.
Esse vivono in uno spazio fatto di rocce, acqua, piante, altri animali, e anche edifici e presenza umana. La loro società è un sistema complesso che però è inserito in un ecosistema naturale ancor più complesso, senza il quale non sarebbe data loro la possibilità di vivere e prosperare. E il mio intervento, che è anch’esso importante, non può però che armonizzarsi con questi sistemi, assecondandone le dinamiche, limitandosi a migliorarne alcuni aspetti.
Credo di poter ripartire da qui, per quello di cui ho parlato con Alessio. Almeno come concetto. Anche se occorrerà trovare un modo concreto e coinvolgente per passare dai concetti alle operazioni pratiche.
Meccanismi, sistemi, ecosistemi
Sono di nuovo in azienda, dopo qualche settimana, ma le sensazioni di questa trasferta sono molto diverse dalla prima volta in cui sono arrivato qui. Un po’ per la situazione pandemica che, nonostante sia ancora lontana dalla risoluzione, ha iniziato a mostrare spiragli di uscita. Ma un po’ perché il ghiaccio è stato rotto, la collaborazione sta decollando, si intravedono tanti possibili sviluppi e, anche questo, mi sto trovando bene con l’atteggiamento delle persone con cui interagisco e con l’atmosfera che si respira in queste aziende.
Ho pensato a varie possibilità per le nostre giornate di formazione — serious gaming come prima opzione — valutando con i colleghi della mia azienda di coaching/consulenza [2] se non valesse la pena di trovare o inventare un modo per trasmettere il concetto di “ecosistema digitale” tramite un gioco formativo.
Mi sono però convinto che, in questo caso, forse era meglio restare su una formazione più “tradizionale”, certo non noiosa o nozionistica, in cui andare ad approfondire i concetti, creando tra l’altro una base comune di conoscenze e una terminologia condivisa ai diversi livelli, che eviti i fraintentimenti.
Di orologi, foreste e piattaforme…
E proprio di questo stiamo discutendo adesso, nella stessa sala in cui avevamo fatto il nostro primo workshop qualche settimana fa. Nella nostra metafora, abbiamo usato il termine ecosistema proprio perché quel che vogliamo creare, per quanto artificiale e digitale, ha delle similitudini con gli ecosistemi naturali.
Anzitutto, sempre restando in metafora, ci siamo chiariti il fatto che un orologio non è una foresta…
Ho infatti affermato: “Un meccanismo, per quanto voglia essere complicato e perfetto, manca di alcune caratteristiche che invece sono tipiche di un sistema…”
“Per esempio?” mi incalza Luca.
“Per esempio… pensate a un orologio automatico, di quelli contemporanei di alta orologeria, che costano decine e decine di migliaia di euro e che propongono soluzioni innovative e precisione impensabile anche solo fino a pochi anni fa per un meccanismo del genere”, rispondo. “A partire dal movimento, ci sono centinaia di pezzi, che funzionano incastrati alla perfezione, ciascuno con il suo ruolo ma ognuno importante in quanto collegato al funzionamento degli altri. Che cosa manca che invece in un ecosistema naturale c’è?”.
“Mah, a dire il vero tutte queste differenze non ce le vedo”, dice Luca. “Alla fine si tratta di elementi che si armonizzano perfettamente e svolgono delle funzioni. È comunque un sistema”.
“Sì. Ma, per esempio, che differenza c’è con una foresta, con una campagna con i prati, i fiori, le api…”, cerco di stimolare.
Dopo un po’ di silenzio, Fabio se ne esce con questa frase: “Il meccanismo non cresce, e non si riproduce, a differenza delle piante o degli animali”.
“Ecco! Hai centrato il problema!” esclamo. “Il meccanismo, per quanto complicato, e per quanto soggetto a variazioni legate alle condizioni esterne e interne, resta sostanzialmente quello. L’ecosistema, invece, è evolutivo anche perché gli elementi vivi che lo costituiscono crescono, si riproducono e il materiale genetico può ricombinarsi e dare origine a nuove forme. Per questo abbiamo preso la metafora dell’ecosistema dal mondo naturale e l’abbiamo trasferita nel mondo digitale. Perché anche nel nostro caso ci sono vari elementi che, oltre a interagire tra loro e a funzionare insieme, possono a loro volta ricombinarsi e far nascere qualcosa di nuovo”.
Gli elementi di un ecosistema digitale
Ormai la discussione ha preso una direzione chiara e, davanti a una lavagna, con Post-it e pennarelli, riusciamo a poco a poco a creare uno schema che riassuma quel che si intende per ecosistema digitale.
Anzitutto, ne individuiamo le componenti:
- persone/utenti
- prodotti/servizi
- dati (DDD)
Poi, discutendo, con successivi approfondimenti, arriviamo a darci delle definizioni e a creare un discorso intorno al concetto.
Le interazioni tra questi elementi creano un processo di retroazione che a sua volta ha effetto sull’evoluzione dell’ecosistema digitale. A mano a mano che gli utenti utilizzano i servizi in maniera sempre più coinvolgente, finiscono per produrre sempre più dati. E queste nuove informazioni possono essere usate per migliorare i servizi esistenti, ma anche per sviluppare nuove offerte e migliorare l’esperienza utente nel suo complesso. A sua volta, tutto questo attrae ancor più utenti e favorisce un coinvolgimento maggiore, creando un ciclo virtuoso di crescita e innovazione.
Un altro aspetto interessante, insito in un ecosistema digitale florido, è rappresentato dai cosidetti comportamenti emergenti. A mano a mano che utenti, servizi e dati interagiscono tra loro, possono emergere nuovi comportamenti, inizialmente non previsti, i quali possono portare allo sviluppo di soluzioni e tecnologie innovative e a nuovi modelli di business.
Questi comportamenti emergenti possono rappresentare un cambiamento significativo all’interno dei vari settori produttivi fino al punto di alterare le tradizionali modalità di gestione e spingere più avanti i confini di ciò che è reso possibile dal digitale. Qui sta l’evoluzione.
Microservizi e piattaforma
Mi rendo conto di come, nel corso della giornata, la situazione sia cambiata. Chiarirsi alcuni concetti ha dato infatti il via a discussioni via via più “pratiche”. E anche se a questo aspetto saranno riservati altri momenti, è bene lasciare spazio alle energie creative del momento.
Adesso, ad esempio, stiamo parlando di piattaforme vale a dire di quelle infrastrutture tecnologiche che consentono lo scambio di dati e informazioni, mettendo in relazione il tradizionale mondo fisico con un’interfaccia digitale in grado di “disciplinare” la domanda e l’offerta di un servizio/prodotto.
Con una metafora che può essere quella del mercato, da una parte c’è l’offerta di qualcosa, dall’altra c’è la domanda di quella “merce”; in mezzo la piattaforma che consente alle due esigenze di incontrarsi in modo più semplice e lineare possibile.
In questi casi è evidente come la tecnologia, che è fondamentale per il funzionamento di tutto il business, svolga però “solamente” il ruolo di abilitatore del servizio: pensando al nostro caso, chi deve gestire l’autovettura in manutenzione o stabilire il tipo e la scadenza di assicurazione RCA non deve conoscere la tecnologia che c’è sotto, ma si limita solo a utilizzare l’interfaccia della piattaforma.
È chiaro comunque che, per realizzare applicativi IO e XO è comunque fondamentale uno stile architetturale a microservizi, perché i microservizi fanno cose piccole e facilitano un modello “ricombinante”. L’architettura a microservizi è sicuramente un altro fattore abilitante, ma non importa che chi usa la piattaforma lo sappia…
La questione dei dati
“La piattaforma va pensata bene, ma è lo strumento che potrebbe aiutarci a gestire in modo coordinato uno dei nostri problemi principali, quello dei dati degli utenti”, riassume Alessio. “I dati personali, considerando che dentro ci sono anche dati sensibili, ormai sono un costo gestionale e legale non indifferente, con le norme attuali derivanti dal GDPR…”.
“Nella gestione dei dati, ci sono aspetti diversi”, mi inserisco. “Sicuramente c’è un aspetto organizzativo, e poi c’è quello tecnologico, e poi c’è quello, appunto, legale connesso al GDPR. Ma ve ne suggerisco uno in più: quello della riconciliazione semantica”.
“Cioè?”, mi chiedono in diversi.
“Pensate di mettere insieme dati in qualche modo affini provenienti da database diversi con campi diversi. Pensate a un elemento identificativo tanto scontato per noi, come il Codice Fiscale. Da noi ha una precisa struttura di 16 caratteri, con lettere e cifre; in altri Stati è un codice alfanumerico diverso, oppure è composto solo di 9, 10, o 11 numeri. In Spagna è estremamente complesso, più del nostro, perché dipende da tanti aspetti legati alla residenza. In Svizzera non ce l’hanno neanche…”.
Qualcuno sorride.
“Quel che voglio dire”, continuo, “è che la piattaforma, in un ecosistema digitale, deve assolvere anche a questa necessità di gestire dati diversi e farli interagire”.
It’ a long way home…
Ci sto ripensando, mentre torno verso casa in auto. Sto cercando di ricapitolare mentalmente tutto quello che abbiamo fatto. O meglio, tutto quel che ci siamo detti oggi. Giudico positivo il fatto che molti dubbi si siano sciolti, anzitutto per me, e che la discussione sia poi decollata naturalmente: dai concetti ad alto livello di astrazione discussi al mattino siamo riusciti nel pomeriggio ad arrivare ad aspetti già piuttosto “implementativi”, come la piattaforma digitale e la gestione dei dati.
A questo punto è fondamentale non perdere tempo e proseguire spediti con i nostri obiettivi.
Riferimenti
[1] Giovanni Puliti, Digital revolution: La teoria – Tema 2: Il framework OKR. MokaByte 292, marzo 2023
https://www.mokabyte.it/2023/03/08/digitalrevolutiontema-2/
[2] Agile Reloaded