Copertina: Foto di Pramod Tiwari su Unsplash
Avvertenza
Questa storia non è proprio vera. Ma non è affatto finta.
È il resoconto verosimile di un processo di trasformazione aziendale e organizzativa basato su fatti ed eventi reali che però sono stati opportunamente modificati, adattati e combinati per far loro assumere un significato più generale e per dare al racconto anche un valore “didattico”: la narrazione di una trasformazione organizzativa ispirata ai principi e alle pratiche Lean/Agile e alle conoscenze e alle tecniche dell’Organisational Design.
Pertanto i nomi, l’azienda, i luoghi non fanno riferimento a elementi precisamente identificabili e i personaggi sono da intendersi come di fantasia. Anche se poi magari qualche persona potrà riconoscersi in essi.
La storia comincia nei primissimi mesi del 2021 ed è tuttora in svolgimento…
Obiettivi strategici e operativi
Il pomeriggio riprende da dove avevamo lasciato. Quanto è emerso nella mattinata è stato molto positivo, ma vorrei provare a tradurre la vision di alto livello in qualcosa di strutturato e misurabile. In iniziative eseguibili.
In questo, il mio compito di agile coach sta nel facilitare la conversazione affinché emergano visioni, ipotesi, soluzioni dal gruppo di persone, dall’interno dell’organizzazione, come risultato di un processo di presa di consapevolezza e assunzione di responsabilità.
Non sta a me proporre soluzioni già pronte o direzioni migliori, sulla base di esperienze pregresse, cosa che attiene più propriamente all’ambito della consulenza.
La verità, però, è che occorre bilanciare fra questi due ruoli, calandosi in qualche caso anche nel ruolo di consulente e, di fatto, provare a proporre qualche soluzione.
Sono le persone stesse nell’azienda che spesso richiedono questo cambio di ruolo. E sta a noi, alla nostra professionalità e alla nostra correttezza, decidere se accettarlo. E spiegare bene le differenze tra i due approcci.
Quando rientriamo nella sala, sono questi i ragionamenti che mi girano in testa e mi rendono pensieroso, al punto che qualcuno si preoccupa che non mi sia piaciuto il pranzo o che sia insoddisfatto per quello che abbiamo fatto nella prima seduta. Per non sminuire il risultato prodotto alla mattina, ma al contempo per proseguire e completarlo con una parte importante, penso che sia utile illustrare bene la differenza tra obiettivi strategici e obiettivi operativi.
“Stamani abbiamo lavorato per definire la vision della trasformazione. Adesso dovremo lavorare per declinare tale visione in obiettivi strategici e poi in obiettivi operativi. Siccome spesso si fa confusione fra questi concetti, consentitemi di fare una breve spiegazione teorica. Parto con un esempio semplice, ma spero chiaro, che spiega bene la differenza tra un obiettivo strategico e una serie di obiettivi operativi. Immaginiamo che un collega vi dica: ‘Desidero rimettermi in forma fisica per sentirmi meglio e migliorare la salute’. Bene, questo potremmo definirlo un obiettivo strategico, espressione di una visione ad alto livello legata al concetto di salute e benessere fisico. Ma cosa deve succedere affinché questo obiettivo strategico diventi realtà? Sarà necessario tradurlo in obiettivi concreti e operativi: adottare una dieta sana ed equilibrata; fare attività fisica corretta per l’età e le condizioni generali di salute; garantire un adeguato riposo all’organismo; e così via. Questi sono obiettivi operativi”.
“È chiaro”, mi rispondono. “Continua”.
“Ecco, ma anche gli obiettivi operativi di per sé non sono attività concrete. Per concretizzare un obiettivo operativo occorrono una o più iniziative — le chiamiamo così — che, se portate avanti per diverso tempo, alla fine concorrono al raggiungimento dell’obiettivo operativo. Continuando con l’esempio di prima, ‘adottare una dieta sana ed equilibrata’ si traduce in iniziative ben precise che possono essere tante: mangiare più frutta e verdura, eliminare il ‘cibo spazzatura’… che ne so…”.
“Pesare le porzioni!”, aggiunge Fabio.
“Appunto, ‘pesare le porzioni’… È chiaro che stiamo facendo un esempio”, aggiungo. “Non sono un nutrizionista… Ma il concetto è quello. Manca ancora un ultimo aspetto al nostro discorso. Ed è quello di valutare, di misurare in qualche modo i risultati delle iniziative. Se mi metto a dieta, devo anche pesarmi e valutare gli effetti che tale iniziativa sta avendo. Perché, paradossalmente, l’iniziativa va corretta sia se non perdo peso, sia se ne perdo troppo tutto insieme, il che non è salutare. E poi l’iniziativa va messa in stretta correlazione con le altre. Sto facendo anche attività fisica? Quale? Quanta? Capite dove voglio arrivare?”.
“Sì”, rispondono in diversi. Ma si sono fatti più pensierosi. Intuisco perché e cerco di arrivare a una conclusione: “Quindi, ricapitolando, stamattina voi avete individuato una serie di obiettivi strategici che andranno poi declinati in obiettivi operativi. Tenendo sempre presente che, per raggiungere un determinato obiettivo operativo occorrono delle iniziative concrete e che il risultato di tali iniziative deve essere misurato con qualche metrica adeguata. Si tratta quindi di decidere gli obiettivi operativi, stabilire le iniziative per implementarli, trovare delle metriche adeguate a valutarli”.
Metriche e sperimentazione
Alessio prende la parola: “A dire il vero, noi dalla casa madre un sistema del genere già ce l’avremmo…”.
“Ne esistono di vari, misurare il raggiungimento dei vostri obiettivi operativi”, aggiungo.
“Ma dovremo definirli tutti noi? Come con quelli strategici? Non potreste effettuare voi la ‘traduzione’ dei nostri obiettivi strategici in quelli operativi?”.
Ecco, è la domanda che temevo e che mi mette sempre in crisi, perché costringe a scegliere se agire, almeno in quel frangente, da coach o da consulente…
“Ne parleremo sicuramente”, rispondo un po’ evasivo. “Però c’è un ulteriore aspetto su cui vorrei che ci fosse piena comprensione tra noi e che serve a definire il nostro modo di lavorare insieme. Quello che come agile coach noi proponiamo è un approccio ‘sperimentale’. Questo non significa che faremo le cose a caso. Approccio ‘sperimentale’ significa che lavoreremo per individuare le iniziative che di volta in volta ci parranno più sensate per implementare un obiettivo operativo. Proveremo e osserveremo i risultati. E per farlo definiremo insieme le metriche più adatte per ‘misurare’ i risultati. Non dobbiamo quindi cadere nella trappola di pensare che, se facciamo qualcosa in un certo modo, poi automaticamente i risultati saranno quelli che ci attendevamo. Qualche volta non sarà così. E va messo in conto. Un sistema complesso non ha comportamenti lineari e deterministici. E quello in cui ci troviamo, l’avete detto voi, è un sistema complesso. Un ecosistema, naturale o digitale, è per definizione un sistema complesso”.
L’approccio OKR (o quasi)
Ora che abbiamo fatto chiarezza sulla differenza fra obiettivi operativi e strategici, devo trovare un modo per farli emergere e per poi collegarli fra loro.
Cerco nella mia “cassetta degli attrezzi”, per capire cosa potrebbe aiutarmi a semplificare questo passaggio. Serve qualcosa che ci faccia atterrare più in basso senza perdere il controllo.
Decido di ispirarmi alla logica di frazionamento di un backlog Scrum (epiche, feature, storie), ma utilizzando la separazione fra obiettivi e risultati abilitanti, che è tipica del framework OKR [1]. In estrema sintesi si tratta di definire degli obiettivi agganciati alla vision e poi, per ogni obiettivo provare a elencare quelle iniziative che possano portare a dei risultati chiave. L’insieme dei risultati chiave contribuisce al raggiungimento dell’obiettivo strategico.
Quindi, tanto per non tradire il mio ruolo da coach, inizio con una domanda: “Partendo dalla definizione di stamattina, secondo voi quali sono le cose che potrebbe valer la pena perseguire per creare l’ecosistema digitale? Parlo di macro-obiettivi, che non sono alti come la vision di prima, ma che ancora non sapremmo come realizzare praticamente domani mattina. Prima di rispondere pensateci un po’ in silenzio. Poi, appena siete pronti, provate a buttare giù questi obiettivi, scrivendoli sui Post-it. Cercate di non influenzarvi a vicenda, scrivete di getto e non guardate cosa scrivono gli altri. Ricordate: per ogni obiettivo, scrivete un biglietto. È una fase che chiamiamo storming, quindi sentitevi liberi di proporre. Ci prendiamo cinque minuti; poi, quando sarete pronti, attacchiamo i Post-it alla parete”.
Tutti si mettono a pensare, poi a scrivere, infine ad attaccare i biglietti. La parete si riempie di Post-it colorati.
“Adesso date un’occhiata a tutto quello che c’è attaccato, prima in silenzio. Poi, se avete qualche dubbio, a turno chiedete cosa vuol dire quel biglietto”.
Clustering
Dopo dieci minuti di discussione mi intrometto nuovamente: “Adesso provate a riunire i biglietti simili fra loro, a formare dei gruppi omogenei per argomento. RIcordate che queste cose poi dovrete farle in concreto voi. Se c’è qualcosa che non è nella vostra sfera di competenza, su cui tanto non potreste agire, potete accantonarla”.
La parete colorata si semplifica: alcuni biglietti finiscono nel cestino. La discussione porta alla creazione di tre macrogruppi; in letteratura si chiamano cluster e questo esercizio finale di raggruppamento prende il nome di clustering.
I tre gruppi sono: creazione di prodotti digitali, introduzione di metriche per la misurazione del valore rilasciato dai prodotti digitali e il terzo è quello che dice di introdurre una strategia che guidi i due punti precedenti in base all’osservazione dei dati.
Dato che gli slogan aiutano a fissare le idee e quindi gli obiettivi, lavoriamo brevemente per creare definizioni rapide ed efficaci; dopo una veloce consultazione e un po’ di confronto, abbiamo tre macro-obiettivi espressi da altrettanti slogan che ci paiono efficaci:
- Creare una Digital Company
- Creare una Value Driven Company
- Creare una Data Driven Company
Ci guardiamo soddisfatti. È evidente che ci aspetta un lavoro enorme, ma quello che si vuole fare è chiaro, condivisibile e in linea con quanto definito la mattina.
Il primo punto in particolare è strettamente collegato alla definizione di Digital Revolution. Il secondo è una colonna portante del pensiero Lean/Agile, quindi sapremo come implementarlo. Il terzo è uno degli argomenti più di moda del momento.
Probabilmente nei prossimi incontri dovremo rivedere la definizione della vision per “accordarla” maggiormente al secondo e terzo punto.
Dagli obiettivi strategici a quelli operativi attraverso le iniziative
A questo punto del pomeriggio siamo stanchi. L’energia sta finendo, ma penso che sia importante non lasciare il discorso incompleto. Provo a rischiare e mi gioco un’ultima mano: “Abbiamo fatto molto, siamo stanchi, ma vorrei proporvi un ultimo esercizio. Che ne dite se adesso provassimo a identificare un elenco di iniziative concrete che potremmo realizzare per contribuire alla realizzazione dei tre obiettivi?”.
Ripartiamo con il solito approccio storming + clustering. In breve arriviamo a completare anche questa fase.
Mentre le persone lavorano con i Post-it, riporto su una board digitale di Miro i tre macro-obiettivi con associate alcune iniziative pratiche che potrebbero contribuire alla realizzazione di tali obiettivi (fig. 1).
“OK, grazie. Direi che adesso abbiamo finito per davvero. Abbiamo messo in piedi tutta l’architettura vision + obiettivi strategici + obiettivi operativi. Nei prossimi giorni proverò a mettere in ordine gli appunti di questa ultima parte e a creare qualcosa di presentabile”.
Tirare le somme
Il modo di lavorare nella nostra azienda di coaching e consulenza [2] prevede che si operi spesso in team: a volte lo facciamo per dividere il carico di lavoro, ma più spesso per contribuire con competenze e approcci differenti alla risoluzione dei problemi. Strumenti come la supervisione da parte di un collega e il pair coaching sono pratiche comuni e importanti per aiutarsi a vicenda a fare meglio.
Per questo, quando esco dall’ufficio e mi dirigo nel parcheggio, ho già in mente la telefonata che devo fare. Controllo la ricarica dell’auto, sistemo lo zaino e imposto l’itinerario sul navigatore. Salgo in auto, allaccio la cintura, bevo un sorso d’acqua. Mando un messaggio a casa “Sto arrivando” : ogni tanto quella fastidiosa abbreviazione di Siri è comoda. Parto. Mi assesto mentalmente sul viaggio. Ora posso chiamare Marco per raccontargli come è andata e ascoltare le sue considerazioni.
“Allora? Cose fatte? Impressioni?”. Marco è sempre capace di aprire conversazioni ampie con domande solo apparentemente stringate. Gli racconto un po’ come si è svolta la giornata e quali sono stati i risultati e le impressioni.
“Urca. Tanta roba! Mi sembra di capire che procediamo su quanto già era emerso in precedenza. Trasformazione aziendale, ecosistemi digitali. O l’inverso, se preferisci”.
“Sì”, gli rispondo. “Ma qui ci sono alcuni altri aspetti da tenere in considerazione, a cominciare dal numero delle aziende e delle persone coinvolte”.
Marco mi rassicura: “Sì ormai ci muoviamo in questi contesti di grande realtà. Bene, vedrai che anche questa ce la portiamo a casa. Del resto se fosse una cosa più piccola, tutto il lavoro che stiamo portando avanti sugli ecosistemi digitali qui non lo potremmo fare”.
“È vero… e credo che in questo caso l’aspetto tecnico sarà ancor più importante del solito. Occorrerà per prima cosa effettuare un assessment tecnologico per capire cosa già usano in azienda. Un esame ragionato del parco applicativo, dei processi, dei flussi di dati e informazioni. Capire che cosa è usato e dove, e ipotizzare il modo in cui eventuali cambiamenti potrebbero impattare sulle operazioni e sulle persone. Poi occorrerà pensare a costruire uno strato intermedio, basato su microservizi, che tenga insieme tutto. Potremmo utilizzare un prodotto già pronto, come la piattaforma a microservizi dei nostri amici. Oppure pensare a costruire un layer ad hoc, facendolo realizzare dai tecnici della nostra azienda partner…”.
Mi rendo conto che sto andando come un torrente in piena, ma Marco mi invita a continuare.
“Poi gli ho proposto intanto di individuare un’area, un problema, una situazione che sia rappresentativa…”
“Il famigerato ‘progetto pilota’…”, mi interrompe finalmente Marco.
“Sì, il pilota. Qualcosa che sia sufficientemente complesso e sufficientemente rappresentativo, senza abbracciare però tutto. E lì cominceremmo a fare esperimenti: installare la piattaforma, mettere su i microservizi, agganciare un’applicazione multicanale e così via. Ma poi c’è dell’altro…”.
Sento che, dall’altra parte, il mio collega ascolta ma non interviene. “C’è dell’altro. Mi sembra di capire che ai piani alti qui ragionino molto per ‘prodotto’ più che per tecnologia. A loro interessa creare qualcosa per il loro cliente, che consenta un modo più rapido e integrato di fare ciò che hanno sempre fatto, e magari aggiungere qualcosa di nuovo. E questo ben si presta a riproporre quanto abbiamo fatto in altre situazioni, con le nostre tecniche per facilitare l’inception e l’ideazione del prodotto from vision to backlog… anzi penso sia il contesto corretto per un Digital Archetipo”.
“Bene, bene”, mi dice Marco. “Siamo partiti insomma”.
“Siamo partiti”.
Riferimenti
[1] Giovanni Puliti, Digital Revolution: la teoria – Tema 2: Il framework OKR. MokaByte 292, marzo 2023
https://www.mokabyte.it/2023/03/08/digitalrevolutiontema-2/
[2] Agile Reloaded
http://www.agilereloaded.it/